Quando gli eventi della storia paiono serrare le maglie del tempo, l’urgenza di compiere scelte diviene stringente.
Tale necessità prende forma nelle pagine, con cadenza di diario, scandite da Pietro Chiodi in “Banditi” (Einaudi, pp. 157, Euro 11) con illuminata introduzione di Gian Luigi Beccaria.
Pietro Chiodi, filosofo (Ortengo Golgi 1915 – Torino 1970) compare col nome di Monti tra i personaggi de “Il Partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio, di cui fu professore al liceo di Alba.
Franco Fortini definì “Banditi” (così erano chiamati i partigiani da SS e fascisti) “un capolavoro che tutti vorrei che leggessero” e Davide Lajolo “il libro più vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana”.
Scritto tra il 1945 e il 1946 “Banditi” è un diario dove fatti e personaggi sono realmente accaduti e esistiti.

Pietro Chiodi

La prosa secca e concisa testimonia la tensione di chi era quotidianamente costretto a guardarsi le spalle, di chi sottoposto alla violenza della dittatura si sentiva clandestino in casa propria.
E’ la figura di Cocito ad aprire le pagine del diario, dal primo incontro tra i banchi del liceo, in veste di allievo, sino all’impiccagione da parte dei nazifascisti.
Privo di enfasi e retorica, poiché i fatti parlano da sé, di “Banditi” Gian Luigi Beccaria scrive “C’è l’essenziale, l’indispensabile, e basta”.

A volte per intendere la disumanità nazifascista sono sufficienti i dettagli, come nell’episodio che riguarda il partigiano Villa ucciso e posto in mezzo alla strada dove i fascisti obbligavano i passanti a sputargli addosso. O come alle soglie del secondo conflitto mondiale quando i gerarchi facevano gridare ai giovani nelle adunate “Viva la guerra!”.

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“Banditi” – Pietro Chiodi – Einaudi, pp. 157, Euro 11

Mauro Bianchini