Busto A. – Lo vedevo in via Galilei camminare a passo svelto, il cappotto appoggiato con noncuranza sulle spalle, e talvolta ci si fermava a parlare: di cose d’arte, soprattutto di pittura di cui il dottor Giuseppe Merlini, scomparso qualche giorno fa, era appassionato e raffinato collezionista.
Sempre discreto e riservato, mai che magnificasse un quadro da lui posseduto; piuttosto impressioni su mostre visitate o su incontri con artisti, studiosi e galleristi, appagato di conoscere e approfondire con loro lo svolgersi dell’arte e il significato delle opere che sceglieva sempre con sensibilità e competenza.
Le abbiamo viste, queste opere, con stupita ammirazione non a Busto, dove risiedeva e aveva un autorevole studio di commercialista, bensì a Venezia, e qui ben due volte. La prima nel 2011, al prestigioso Istituto Veneto di Scienze e Lettere; la seconda sette anni dopo nel palazzo di quell’artefice enciclopedico e irrequieto che fu Mariano Fortuny, con le opere della collezione disposte tra arredi, quadri, stoffe preziose, bozzetti e attrezzi di teatro di cui si occupava appunto l’originale padrone di casa. Restano nel catalogo della rassegna alcune immagini del suggestivo allestimento a provare come le opere “moderne” della collezione Merlini convivessero in felice armonia entro gli impegnativi spazi, non so se più proustiani o dannunziani, del museo.
Dei grandi artisti italiani del secolo scorso non ne mancava uno. Si partiva con un suggestivo ed efficace “incipit” – una scultura di Wildt e a fianco le ceramiche di Melotti e Fontana, il maestro e due allievi – ad indicare il procedere inarrestabile dell’arte. S’incontravano poi Modigliani con tre inconfondibili disegni, De Chirico col “Cheval d’Agamènnon” del 1929 e l’“Apollo” del fratello Alberto (Savinio). Insieme con loro tutti gli “Italiens” di stanza a Parigi e i pittori, sia in ambito figurativo, sia astratto, attivi fra le due guerre per poi proseguire oltre
la metà del secolo scorso e fino alle esperienze dei nostri giorni.
Ammirevole davvero l’accuratezza sagace delle scelte: Merlini doveva essere convinto della loro qualità e rappresentatività; eventuali investimenti economici proprio non gli si addicevano. Anche lui poi, come tutti i collezionisti, aveva le sue predilezioni. Una su tutte per Giorgio Morandi e la sua “poetica ricognizione del mondo di natura” citando Roberto Longhi. Anche con le opere presenti nella raccolta vennero predisposti alla Fondazione Longhi di Firenze una puntuale mostra e un volume, prezioso e rigoroso, volti a indagare i rapporti di stima e di amicizia fra il pittore e il critico d’arte.
Altro artista prediletto Ennio Morlotti di cui Merlini seppe riunire esempi di grande bellezza, dagli irruenti paesaggi degli anni Cinquanta fino a un testoriano “Teschio” del 1980. E di sicuro ve ne saranno stati altri, anche fra gli informali (mi vien da scrivere Fontana: cinque “Concetti spaziali” non son pochi!) e i giovani.
Di questi e altri artisti si parlava in via Galilei ma anche della sua profonda amarezza, da me pienamente condivisa, per il disinteresse di Busto, o meglio di qualche suo amministratore, per la collezione che sarebbe stato ben felice di destinare alla città così che diventasse patrimonio di tutti. Dopo lo sdegno, mai comunque espresso sopra le righe come era nel suo stile, tornava un sorriso se si veniva a parlare di una Busto più bella e garbata e della sua mamma – la signora Luigia – sempre sorridente e gentile nel porgere deliziosi africani e cannoncini nella pasticceria di famiglia in via Cavour, un luogo del cuore per Giuseppe Merlini che volle far evocare nella “Composizione 17” degli scultori- ceramisti Bertozzi & Casoni. Qui c’è anche la Madonna dell’Aiuto e tutto il mondo di Giuseppe Merlini, uomo poco incline a comparire, ma di quelli che a Busto “con tacer pudico” tanto, davvero tanto, hanno saputo dare.
Giuseppe Pacciarotti