Angera – L’Ala Scaligera della Rocca ospita la collettiva “Oltre il buio”, a cura di Alberto Salvadori e in collaborazione con Galleria Franco Noero. Una mostra suggestiva rappresentata da quindici artisti: Lothar Baumgarten, Pablo Bronstein, Jason Dodge, Sam Falls, Lara Favaretto, Piero Gilardi, Henrik Håkansson, Mark Handforth, Jim Lambie, Jac Leirner, Robert Mapplethorpe, Mike Nelson, Henrik Olesen, Simon Starling, Francesco Vezzoli. Si celebra lo straordinario divenire della luce che, sin dalle origini dell’umanità, che ha favorito una forma di convivenza tra uomo e natura, tra l’uomo e l’arte. Centrale è l’evoluzione della percezione dell’uomo che attraverso la luce ha scoperto la necessità di vedere qualcosa che non fosse solo il visibile naturale ma bensì il visibile del nostro inconscio, della nostra parte imperscrutabile.
Il percorso espositivo si snoda tra le sale del castello, luogo simbolo dove dall’antichità l’uomo oltre a proteggersi cercava l’equilibrio armonioso tra interno ed esterno, tra natura e artefatto.
Le opere di luce di Mark Handforth, illuminano un luogo testimone vivo di un lavoro stagionale, di una cura quotidiana del prodotto e ci inizia ad un percorso dove il rapporto tra uomo e natura è manifesto e reso intenso dal dialogo tra esterno e interno, tra architettura e paesaggio, tra due rappresentazioni di maestosità che non nascondono comunque le loro fragilità.
Tema questo anticipato dalla meridiana, rifugio e appoggio per gli uccelli del castello posta sulle mura esterne dell’edificio da Henrik Håkansson. Il rapporto con gli elementi della natura, già nell’epoca classica, nello straordinario De rerum natura di Lucrezio, era prerogativa della filosofia epicurea e distingueva nettamente tra chi in vita è mosso da illusioni inutili e dannose e chi possiede la dottrina dei sapienti, ed abita dunque i “templa serena”.
La seconda stanza del percorso trasmette una riflessione fondata sulla concezione dello spazio, la rocca, inteso come protezione dagli altri uomini e dalla natura. Tre opere dialogano tra loro in termini apparentemente antitetici ma essenzialmente coordinati: Mike Nelson riassume in un assemblaggio rude e diretto, testimonianza di un’archeologia spontanea, legname destinato ad uso quotidiano, probabilmente da ardere. Una rappresentazione che esprime tutta la fatica della vita rurale e tutte le affascinanti spigolosità che essa può restituire. Le radici e tronchi di legno estratti e posti in termini di scultura appaiono così, crudi, nella loro essenza, allo stesso tempo fragili, poiché estratti dal loro contesto naturale. Algidi levrieri fotografati da Simon Starling affiancano e dominano questa catasta. Il tutto è tenuto assieme da un’immagine solitaria di fiori, piena della sensualità tipica della fotografia di Robert Mapplethorpe, che fissi rimandano alla caducità del tempo e della vita, rimanendo assorti nella loro bellezza.
Procedendo nel percorso, si incontra l’esplorazione in canoa, sempre di Simon Starling che ci guida verso un assoluto ignoto nel quale possiamo rifugiarci in controcanto alla sicurezza di difesa ispirata dalla rocca. L’ascesa verso i piani alti dell’Ala Scaligera inizia con l’incontro dissacratorio di una scultura pensile, leggera e leggiadra di Jim Lambie, che ribalta la certezza dell’essere ancorati a terra.
La prima grande stanza di ambienti un tempo domestici e oggi destinati alla visita pone subito il visitatore in una relazione diretta tra interno ed esterno. Un richiamo floreale, una composizione dal sapore cortese, di Sam Falls, contribuisce assieme all’opera di Jason Dodge a instillare una prima quiete, un arrivo, un riposo, subito dopo il primo sforzo che aiuta, grazie ad una scultura fragile ed immediata di Henrik Olesen, Biology is Straight, a ricondurci alla verità del mondo naturale, grazie alla quale equivoci e interpretazioni faziose sono messi a tacere. Henrik Håkansson, nella sua opera a parete, trasforma il quadro in soggetto vivente e riverbera così in maniera assertiva e poetica come la natura possa liberamente appropriarsi o riappropriarsi di spazi dati o lasciati liberi dalla mano dell’uomo. In questa stanza ci poniamo in ascolto per quello che troveremo subito dopo.
Uno dei più importanti esploratori dell’altro, un artista fondamentale nell’aver contribuito alla conoscenza di altere forme di vita e civiltà diverse dalle nostre, Lothar Baumgarten, ci trasporta in un lontano, apparentemente fragile contesto, dove una capanna sembra fluttuare sul fiume delle nostre sensazioni. Le immagini di Robert Mapplethorpe ancora una volta cercano di creare un bilanciamento con la forza espressiva della scultura a terra e la trovano nel controcanto del reperto industriale simbolo di una mobilità e di un’epoca come il maggiolino dell’artista. Una piccola preziosa stoffa, un haiku, di Jason Dodge ci sposta ancora più lontano verso la Birmania, luogo prezioso e da sempre magnificato.
Al piano superiore, ecco la dicotomica presenza tra la sprezzatura dei disegni di Pablo Bronstein, dove il sentore della vita di corte emanato dall’amore dell’artista per il cavalier Castiglione e la sua trattatistica, presentata da un fantasmagorico calamaio, immerso e sommerso nelle acque nere di una lago immaginifico, convive e contrasta con la crudezza e gioiosità di Jim Lambie che trasforma in scultura il frutto del lavoro quotidiano, il prodotto prosaico e determinante per intere popolazioni, resistente ai climi più austeri, la patata. Tutto avviene non tanto con l’utilizzo del tubero stesso bensì con i sacchetti che le contengono per la loro distribuzione. Lambie colora con pigmenti pop, preziosi, industriali, questi sacchetti formando assemblaggi da parete, goffi e ironici allo stesso tempo, che ben si raccordano con l’eterea presenza di Jac Leirner e la sua scultura aerea creata da una pratica che affonda le radici negli anni ’80 e nella quale il quotidiano, nelle sue espressioni più anonime, diviene opera, scultura, oggetto risignificato.
La mostra si chiude in un dialogo tra l’albero che accoglie le persone di Lara Favaretto, i tappeti naturali di Piero Gilardi e il ricamo da tombolo di Francesco Vezzoli, con soggetto una famosa tela di Fragonard, che dialoga con la classicità messa in gabbia come fosse un animale esotico. La natura entra direttamente nell’edificio e i materiali usati dagli artisti divengono antitetici agli elementi naturali che circondano la rocca facendo sì che non ci sia quella sparizione dell’espressione e del pensiero di un tempo come è stato nel passato quando si usava costruire tutto in legno o altri materiali deperibili.
Ala Scaligera
L’Ala Scaligera del castello è risalente al XIII secolo ma è frutto di innumerevoli alterazioni subite nel corso degli anni successivi. Sostanziale fu l’intervento del 1370 attribuito a Bernabò Visconti in onore della moglie Regina Della Scala. Attualmente quest’ala del Castello, che tra il 2015 e il 2017 è stata sottoposta ad un restauro conservativo, viene prevalentemente utilizzata per esposizioni temporanee, soprattutto di arte contemporanea.
La mostra “Oltre il buio” è visitabile sino al 1^ottobre. Orari: dalle 10 alle 17.30
Il titolo di ingresso al castello include anche la mostra: €14 adulti, €9 ragazzi dai 6 ai 15 anni