Ascona – Con la mostra dedicata a Karl Hofer (1878-1955), il Museo Castello San Materno celebra il suo primo decennale di attività.

Pittore, disegnatore e grafico tedesco, considerato tra i più prestigiosi artisti figurativi del Novecento Hofer ha mantenuto per tutta la vita, grazie a un suo stile originale, un approccio estremamente indipendente nei confronti dell’arte, muovendosi tra Espressionismo e Nuova Oggettività.

La mostra, a cura di Harald Fiebig, presenta una selezione di 29 opere, tra dipinti e lavori su carta, raramente esposti, provenienti diverse collezioni, pubbliche e private. La rassegna ripercorre la ricerca dell’artista che, da una rappresentazione trasognata di figure, passando per le nature morte, arriva a una concreta pittura paesaggistica. Per documentare l’evoluzione stilistica e i suoi temi pittorici essenziali, sono stati messi a confronto lavori appartenenti a diverse fasi creative. La vita e l’opera dell’artista tedesco furono intimamente legate alla Svizzera, in particolare, al Canton Ticino, che divenne uno dei e soggetti paesaggistici più frequentati che qui sono raccolti in una apposita sezione.

Accompagna l’esposizione, che rimarrà in calendario sino al 29 settembre, un catalogo con saggi e testi oltre a un ricco corredo iconografico. Orari al pubblico: da giovedì a sabato, 10-12/14-17; domenica, 14 -16.

Cenni biografici

Karl Hofer, nato a Karlsruhe nel 1878, si iscrive nel 1897 alla Scuola d’arte del Granducato di Baden nella città natia e prosegue poi gli studi all’Accademia di Belle Arti di Stoccarda. La prima parte della sua carriera risulta caratterizzata dai soggiorni a Roma (1903-1908), dove la sua pittura subisce l’influenza dell’Antichità e del Rinascimento, a Parigi, dove si entusiasma per le opere di Eugène Delacroix e Paul Cézanne (1839-1906) così come per quelle di El Greco e da due lunghi viaggi nel sud dell’India.

Al suo ritorno, la famiglia si trasferisce a Berlino. Durante una vacanza nella località balneare francese di Ambleteuse, gli Hofer vengono colti di sorpresa dallo scoppio della prima guerra mondiale e l’artista, considerato uno straniero nemico, viene internato per tre anni. Rilasciato nel 1917, Hofer si stabilisce in un appartamento con atelier a Zurigo e torna a dedicarsi interamente alla pittura. Matura a questo punto un preciso interesse per l’Espressionismo, anche se in Hofer il colore rimane più legato alla materia. La rappresentazione dell’essere umano, nella sua universalità e sovratemporalità è tuttora centrale tuttavia l’artista cerca anche nuovi soggetti.

Negli anni venti è all’apice del successo: mostre internazionali, un posto di docente all’Accademia di Belle Arti di Berlino, l’intensa attività nel consiglio direttivo della Secessione di Berlino caratterizzano questi anni. A quel periodo risalgono molte delle sue opere migliori: donne silenziose, assorte, la cui immagine si avvicina al modo di concepire la figura umana della Nuova Oggettività, così come clown e maschere, Arlecchini e Pierrot.

Anche la pittura paesaggistica assume una forte valenza nella sua opera da quando, nel 1918, ha visitato per la prima volta il Ticino, dove dal 1925 trascorre buona parte dei mesi estivi e dove, nel 1931, acquista una casa sul Lago di Lugano. Nel corso del tempo realizza oltre duecento tele di grande formato con paesaggi deserti, privi di figure umane, ma dall’aspetto reale in cui edifici, strade e ponti alludono a un territorio abitato dall’uomo.

Con la presa del potere da parte dei nazionalsocialisti ha inizio un periodo infausto: nel 1933 Hofer è licenziato dall’Accademia, nel 1937 trecentoundici sue opere vengono confiscate dai musei tedeschi, dipinti, disegni e stampe sono esposti alla mostra sull’Arte degenerata (Entartete Kunst). All’inizio di marzo del 1943 il suo atelier viene completamente distrutto da un bombardamento che causa la perdita di oltre centocinquanta dipinti, millecinquecento disegni, vari quaderni di schizzi e di tutti i suoi appunti. In quegli anni dipinge cupe visioni della sua epoca, ma raffigura soprattutto giovani figure femminili, paesaggi e nature morte di fiori e frutta.

Al termine della guerra l’artista diventa una delle figure di spicco della ricostruzione culturale di Berlino. Sebbene non abbandoni la figurazione, la sua pittura evidenzia un marcato cambiamento di stile: il colore diventa più luminoso e acquista maggiore espressività, la forma si allontana sempre più dalla natura. La figura umana – tuttora al centro della sua opera – è investita da una deformazione progressiva, con teste piccole, arti allungati e mani enormi.

Messo in ombra dalle violente controversie pubbliche sul ruolo delle arti figurative nel contesto dell’«astrazione come linguaggio mondiale», il 3 aprile 1955 l’artista muore dopo essere stato colpito da un ictus.