Tre quarti di secolo fa moriva, ottantaquattrenne, nella sua Viggiù, Enrico Butti. Nato nel 1847 da una famiglia di scalpellini, imparò il mestiere a bottega nel paese, perfezionandosi negli studi a Milano, all'Accademia di Brera. Presto si fece notare, negli anni '70 dell'Ottocento, divenendo uno scultore affermato della scuola milanese e lombarda.
Fu insegnante amato e stimato a Brera dagli anni '90 per tre decenni, sino a quando si ritirò a Viggiù sul pianoro del San Martino, dove aveva studio e abitazione e dove si fece costruire un museo per accogliere la sua gipsoteca.
Nel recentemente riallestito Museo dell'Ottocento, nella Villa Belgioioso di Milano, spicca Il minatore del Butti in bronzo, opera del 1888, pluripremiata in tutta Europa. Al Cimitero Monumentale di Milano si segnalano almeno due lavori dello scultore viggiutese, la Tomba Besenzanica e la Tomba Casati, per grandiosità di concezione e per sensibilità.
Nel 75mo dalla scomparsa, abbiamo cercato Nino Cassani, scultore nonché da un biennio conservatore del Museo Butti di Viggiù, per una considerazione sullo scultore. Se le ricorrenze servono a qualcosa, è giunto forse il momento di riaprire il discorso critico sull'opera di Enrico Butti.
Ci può dare una sua valutazione sull'arte di Enrico Butti?
Occorre collocarla nel periodo storico: Butti è passato dalla Scapigliatura al Simbolismo, optando per una scultura di committenza. Rispetto ai temi sociali coraggiosamente affrontati in una breve stagione – si pensi al Minatore – ha realizzato soprattutto monumenti civili e funerari condizionati dalla committenza.
Dove sta la qualità scultorea del Butti?
Era un grande modellatore, rapido e sicuro nell'esecuzione. Ma era ancora figlio di una concezione dell'arte come mestiere. Se ha sempre dimostrato eleganza, capacità, forza, non è quasi mai uscito da un discorso di ufficialità.
Quali sono a suo giudizio le sue opere più valide?
Il minatore, purtroppo rimasto isolato come filone di ricerca, Il Guerriero di Legnano, nel genere monumentale, La morente, in quello funerario. Butti ha dato il meglio di sè nel ventennio a cavallo del secolo, ma reputo più innovativi scultori a lui contemporanei come Giuseppe Grandi, Medardo Rosso, Leonardo Bistolfi.
Avete in programma, quest'anno, qualche iniziativa particolare per ricordarlo?
Nel corso dell'anno, qualcosa si farà. Il museo adesso è completo in tutte le sue parti; l'anno scorso abbiamo compiuto due impegnativi restauri: L'Aratura e La Maddalena al sepolcro, che era in pezzi, sono tornati nelle migliori condizioni.
Il professor Cassani ha citato due esempi piuttosto eloquenti del vigore e della fantasia di Enrico Butti, restituiti al pubblico con sforzi non indifferenti da parte di un Comune che non riesce a destinare al Museo Butti le risorse di cui avrebbe bisogno.
"Fisicamente" – è vero – si sono succeduti negli anni interventi basilari e necessari, ma ancora non si è riusciti a incidere sulla comunicazione del patrimonio e sulla sua sistematica valorizzazione, affidandosi per lo più a manifestazioni estemporanee.
La figura e l'opera di Enrico Butti sono mature per una globale riconsiderazione. La sua scultura ha una personalità spiccata, che non passa mai inosservata. I suoi contemporanei l'avevano riconosciuta. I posteri, deposte prevenzioni ideologiche fortunatamente oggi insostenibili, è ora che riscoprano uno scultore dalla potente immaginazione, il cui linguaggio plastico attende nuovi studi, confronti e interpretazioni.