I luoghi che ci circondano vivono una continua evoluzione, legata anche all’intreccio tra la loro funzione e la storia. Sono tanto più affascinanti quando nascono per fornire all’uomo gli oggetti del quotidiano, ma sanno poi rinnovarsi e diventare dei poli di cultura e creatività.
E’ quello che è successo alle Fornaci Ibis di Cunardo, oggi “Museo all’aperto” ricco di bellezza, un tempo luogo di produzione di utensili in ceramica di ogni genere.
Le Fornaci di Cunardo hanno una storia antica. Come ricorda il proprietario Giorgio Robustelli «viviamo in un territorio ricco di argilla, legna e acqua e noto per l’alta concentrazione di forni fin dai tempi di Tiberio, come testimoniano i tanti reperti di epoca romana trovati in prossimità dell’antica strada». Il secondo imperatore romano già nel 34 d.C. avrebbe mandato degli esperti artigiani nella zona per avviare una produzione e le fornaci iniziarono a diffondersi nel 1200.
La fine del XVIII secolo portò grandi cambiamenti: Camillo Ardeani diede nuova vita alle ceramiche di Cunardo. Si specializzò nella realizzazione di vasi per profumi e unguenti, utilizzando una ricetta segreta risalente al Seicento per ottenere quella tonalità lucente di blu, il “Blu Cunardo”, che diventerà caratteristica delle ceramiche prodotte nella zona.
La fama delle creazioni della Valganna si diffuse, tanto che lo scenziato Carlo Amoretti, nel suo “Viaggio da Milano ai tre laghi” del 1814 scrisse: “di là non lungi v’è una buon’argilla, che serve alle fabbriche di maiolica di Ghirla, e di Cunardo”.
La fornace di Cunardo – oggi di proprietà della famiglia Robustelli – venne edificata nel 1800 e, inizialmente, vi si lavorava la calce: si scaldava ad oltre 800 °C la roccia calcarea per trasformarla in “calce viva” e, quindi, in malta.
Il complesso venne affittato dai Robustelli nel dopoguerra.
«Con il tempo e grandi sforzi economici, abbiamo ricomprato la nostra fornace. – racconta il titolare – Abbiamo quindi riconvertito l’attività in ceramica, che era la grande passione di mio padre, e scelto il nome Ibis, che compare nel nostro marchio”.
Le Fornaci aspettano il visitatore, immerse nel verde. Paiono silenziose, ma fervono d’attività perché ospitano un laboratorio, artisti internazionali, mostre e un’Associazione: l’Associazione Culturale Cun-Art.
E’ affascinante ascoltare le parole di Giorgio Robustelli, che guidano alla scoperta di questo luogo.
«Il laboratorio nasce nel 1950, ‘51 come laboratorio artigianale tradizionale, poi ha iniziato a essere frequentato dagli artisti e nel 1964 è nata la prima Associazione, creata da 3 artisti varesini: Vittore Frattini, Gottardo Ortelli e Nino Cassani, che era cugino di Ortelli. Loro frequentavano l’ambiente, creavano in questi spazi. Proprio lavorando insieme, parlando, è nata l’idea di dare vita a un centro culturale».
«Erano davvero tanti quelli che venivano – ricorda il titolare – c’era Piero Chiara (che ha lasciato una collezione di piatti, dipinti da lui e destinati a essere riprodotti sulle copertine di alcuni suoi romanzi), c’era Hermann Hesse… Erano scrittori, poeti e musicisti.
Le Fornaci sono diventate un polo culturale e, dal 1964, hanno continuato a funzionare, eccetto un vuoto di due, tre anni, dovuto alla malattia di mio fratello Gianni. Adesso sono la mia attività e conto di andare avanti ancora a lungo!».
Tra le opere rimaste alle Fornaci ed esposte al loro interno, ma anche all’esterno, si leggono anche le illustri firme di Fontana e Burri, di Guttuso, di Baj e di Schumacher.
«Questo è’ sempre un posto frequentato da artisti. Ad esempio all’inizio dell’estate e poi ad agosto, come ormai accade ogni anno da 45 anni, è qui il noto artista danese Nes Lerpa. Frequenta le Fornaci Ibis dal 1975 e crea delle splendide ceramiche, oltreché dipinti, in cui infonde gli stimoli raccolti nei suoi viaggi in giro per il mondo: dall’India all’Africa, alla Scandinavia, fino ad arrivare al deserto del Nevada. Con lui c’è ormai una simbiosi: riusciamo a lavorare insieme anche via telefono!».
«C’è ancora una grande attività che ferve all’interno delle Fornaci. – spiega Robustelli – Nel corso degli anni ci siamo trasformati: ovviamente non c’è più il laboratorio artigianale com’era inteso prima. Abbiamo l’Associazione Culturale che è aperta sia all’artista che viene a lavorare che agli hobbisti. Questi ultimi, magari a casa non hanno uno spazio per creare, quindi vengono qui, realizzano le loro opere e possono usare il forno per la cottura. Diventa anche un momento di confronto».
«Quest’anno abbiamo anche avviato il progetto di alternanza scuola-lavoro con il liceo artistico Frattini di Varese: è stata qui per tre giorni la IV B! Stiamo anche realizzando un’altra idea che è un filmato con interviste che verrà poi caricato su youtube, ma non è ancora terminato per motivi contingenti.
Qualche tempo fa abbiamo realizzato un corso specialistico per l’avviamento all’artigianato ceramico, finanziato dalla Comunità Europea: in due anni sono stati una ventina i giovani che avrebbero voluto intraprendere il mestiere, ma si sono scoraggiati dinnanzi ai costi di avviamento e alla burocrazia che richiede un’attività in proprio!».
«Le possibilità di creare ed inventare cose nuove sono davvero ampie, anche perché le idee nascono proprio lavorando insieme. Oggi alle Fornaci Ibis non c’è più una regolare produzione di ceramica, come avveniva in passato, quando abbiamo fatto grandi lavori, per ditte private e anche per Enti pubblici. Sono rimasto da solo e faccio quello che posso con le mie forze!».
«Quattro o cinque anni fa io e mia moglie ci siamo chiesti come utilizzare tutto il materiale creato dagli artisti che avevamo qui, negli spazi delle Fornaci.
E’ nata così l’idea del “Museo all’aperto”.
Non c’è nessun biglietto da pagare: il pubblico può venire in qualsiasi momento – perché è sempre aperto – e noi ci auguriamo che la fruizione di queste opere susciti nuovi stimoli».
«La struttura delle Fornaci risale all’Ottocento e si tratta di archeologia industriale allo stato puro! – conclude Robustelli – Appartiene alla mia famiglia, ma io stesso mi rendo conto che dovrebbe essere un bene di tutti, del territorio».
Chiara Ambrosioni