Impossibile in tema di ville storiche non toccare Somma Lombardo che a leggere la “Grande Illustrazione del Lombardo Veneto” era “circondata da mura” e possedeva un saldo fortilizio. Quest’ultimo esiste ancora ma non è più quello originario perchè i marchesi Visconti di San Vito a partire dalla metà del Quattrocento e poi soprattutto nel Cinque e nel Seicento lo ingrandirono fino a trasformarlo in “un palazzo a forma di castello”.
Con simile destinazione, e giusto per assecondare lo svago prediletto dei Visconti, gli si affiancò uno sterminato parco disteso lungo il pendio della collina in vista della valle del Ticino, adorno di uno scenografico ingresso barocco da cui si intravvede, tra gli alberi, una mastodontica statua di Diana cacciatrice. Un’altra parte del giardino lambiva invece le prime case del borgo con frutteti e fattorie che la strada napoleonica del Sempione separò dal castello sancendo il loro inarrestabile declino.
Il castello esibisce tutti i segni della dovizia e della potenza dei Visconti con affreschi di inizio Seicento nella cappella gentilizia, sulla volta dello scalone d’onore e in alcune sale, affreschi per i quali si è fatto il nome di Carl’Antonio Procaccini, fratello dei più noti Camillo e Giulio Cesare. I saloni, improntati a fasto e grandiosità, ebbero camini monumentali, soffitti lignei cassettonati e arredi pomposi; in un ambiente poi è riunita – passione di uno degli ultimi castellani – un’incomparabile collezione di piatti da barba che il “cavaliere” doveva reggere sotto il mento mentre un “Figaro bravo bravissimo” insaponava e radeva.
A Somma altre dimore si distinguono ancora per marcata dignità: una è quella appartenuta ai Campana, famiglia tra le più distinte alla quale appartenne Francesco, storico e giureconsulto oltre che pastore in Arcadia. Una villa non di delizia, ma ampia residenza stabile, situata appena dopo le case del borgo, alle spalle della chiesa di San Bernardino e circondata dalla campagna dove furono rinvenute tracce di epoca romana al momento della sua edificazione, intorno al 1660. Oggi, privata degli originari caratteri ambientali e distintivi, ha perso gran parte del suo autorevole prestigio.
Anche l’edificio che ospita tuttora il municipio fu a suo tempo residenza di un nobile: il marchese Sebastiano Viani, milanese con palazzo in contrada Cerva, proprio dove stavano i Visconti di cui sposò un’erede: Teresa. A pochi passi dal castello, di fronte alla Parrocchiale dedicata a Sant’Agnese, era una dimora signorile conformata alle esigenze e alle mode settecentesche, dunque con porticato, sale di rappresentanza e una loggia affacciata sul giardino posteriore a cui si accedeva da una breve scala a doppia rampa ingentilita da un raffinato parapetto in ferro battuto. Dopo i Viani il palazzo subì non poche traversie, anche non lievi, a cui si è cercato di rimediare negli ultimi decenni del secolo scorso. Impossibile da recuperare tuttavia la raffinata, elegante atmosfera di quando i Viani lo abitavano.
Altra villa da conoscere prima di lasciare Somma, anche per pensarci su, è quella appartenuta al conte Giovanni Antonio Melzi che trasformò in residenza di campagna un seicentesco convento francescano confinante con i possedimenti dei Visconti. Si era ormai nel terzo decennio dell’Ottocento e la villa, scenograficamente disposta su uno slargo selciato visibile dalla strada del Sempione, si qualificò per misurata imponenza e per la veste tardo neoclassica. Ora mette solo una gran malinconia a vederla nel suo desolato abbandono mentre la natura, giorno dopo giorno, ha riconquistato sui muri consunti i suoi eterni diritti.
Giuseppe Pacciarotti