Non si è fatta mancare proprio nulla Villa Panza per celebrare l'arrivo di uno dei lasciti artistici più importanti degli ultimi anni, la collezione privata dei capolavori di Claudia Gian Ferrari.
Sul colle di Biumo, in una gremita sala Impero c'erano i vertici del Fai, il presidente Giulia Maria Mozzoni Crespi e l'amministratore delegato Marco Magnifico. Era presente la triade leghista, l'assessore regionale Massimo Zanello, il presidente Marco Reguzzoni, il sindaco Attilio Fontana. C'era il curatore scientifico della mostra, il professore Antonello Negri. E' arrivato da Milano puntuale anche Vittorio Sgarbi. C'era Inge Feltrinelli, anche lei a far tanto Milano engagé.
E ovviamente c'era lei, la regina degli archivi, la collezionista quasi per eccellenza, l'erede di un nome e di una cultura che a Milano soprattutto, in Italia ea livello internazionale, ha voluto dire acribia mercantile, intelligenza, professionalità, passione, prudenza e imprudenza insieme, con il suo cappello Miyake, di vaghissimo sapore boccioniano, Claudia Gian Ferrari. Che sorride, sorride, con un sorriso disarmante.
Dicono che sul lavoro sia sempre stata una dura, tenace, come si dice, una “tosta”. Vittorio Sgarbi, tra le tante cose, gratifica i presenti di una battuta non banale. “Qui, al tavolo dei relatori – dice – gli unici due uomini presenti sono Giulia Crespi e Claudia Gian Ferrari”. La prima di “carattere tedesco”, la seconda “austro-ungarica”. E' vero, si vede da come si sono mosse, nella vita, da quello che hanno fatto e messo insieme. Privilegiate, certo.
La Gian Ferrari cresce all'ombra di un padre ingombrante, “dalla grande dirittura morale e ossessionato nel difendere l'autenticità dell'arte” – rivela nella bella intervista fattale da Francesca Bonazzoli e pubblicata nel catalogo edito per l'occasione da Skira.
Ha una formazione da storica dell'arte, ma dalla sua ha tuttavia qualcosa che altri meno fortunati non hanno: una straordinaria cultura visiva dell'opera d'arte che le viene dal vivere a contatto con la galleria di famiglia, con la contiguità con gli artisti.
Suo padre poi per un certo periodo è responsabile dell'ufficio vendite della Biennale di Venezia. La collezione di famiglia intanto cresce e così l'attività di gallerista. Parallelamente quella sua personale di consulente per archivi storici, per grandi mostre, fino ad essere nominata, pochi anni fa, la regina degli archivi. E' davvero il mercante che fa cultura, quando la cultura, in special modo la cultura visiva pittorica e scultorea, ti entra nella pelle e si fa casa e famiglia.
La Gian Ferrari ora lo ammette senza pudori. Ora che è malata e che ritrova più che mai affinità elettive con le sue opere, un senso di appartenenza che altri trovano direttamente nel figlio o nel marito. La sua collezione, quella che ha ereditato in fondo dal padre, l'ha quasi trasformata. Proprio come un organismo vivente e non come un qualcosa di muto e statico.
Ha venduto, ha scambiato, ha modificato opere finché non trovava quel quadro o quella scultura di quell'autore confacente alla personalità al suo mondo emotivo. Alla sua casa. L'ha fatta crescere, proprio come un figlio. Il tutto nel rispetto della storicità dell'arte, dei valori dell'opera, dell'occhio che coglie al volo il gesto maestro.
Poi si è guardata intorno, in una Milano che ad un certo punto non le è più piaciuta, che istituzionalmente l'ha delusa. Non ha trovato un Museo del '900, come da tempo promesso. Ha trovato il Fai, prima che il Fai trovasse lei, prima ancora che il Fai pensasse a lei.
E senza perdersi in chiacchiere ha notificato dal notaio la donazione a Villa Necchi Campiglio, nobile residenza anni Trenta, in via Mozart a Milano, già di proprietà del Fondo per l'Ambiente Italiano, priva di arredi e in fase di restauro. Lì alla morte, speriamo lontana, della gallerista, le 44 opere di Boccioni, Sironi, Balla, Oppi, Marussig, De Chirico, Morandi, De Pisis, Martini, Wildt, e via dicendo troveranno definitiva sede.
Nell'attesa che il “destino si compia” e questa civile, storica, parlante, collezione di capolavori del primo Novecento si accomodi nella lussuosa dimora milanese, ci sarà dunque modo di ammirarla nelle scuderie di Villa Panza, fino al 18 febbraio 2007. L'avvertenza è quella di andare il prima possibile. La piccola, algida sala delle sculture, dove sono state raccolte, quasi come una cripta mistica, Gli amanti, il Busto di fanciulla, L'amante morta e L'ospitalità di Arturo Martini, destinatario insieme a Mario Sironi di infinito amore da parte della Gian Ferrari, rimarrà vuota. Le opere saranno richiamate a Milano per riapprodare in una antologica del maestro.
Il conte Panza nell'occasione non si è espresso pubblicamente. L'hanno fatto i politici. E il Presidente del Fai che, bacchettando gli esponenti della Lega, ha tuttavia ammesso la loro importanzaper la nascita quanto per la sopravvivenza di Villa Panza.
Marco Reguzzoni ha rilanciato: facciamone il centro delle manifestazioni culturali durante i Mondiali di ciclismo del 2008. Sgarbi si è agganciato immediatamente lanciando il suo progetto di una Biennale milanese a partire proprio dal 2008 concomitante con le Olimpiadi di Pechino nel segno della cultura, dello sport e dell'etica e intitolata Babele.
Già oggi, il vulcanico assessore afferma a mezzo stampa di essere pronto a dimettersi, l'anno prossimo cambierà la giunta provinciale, i finanziamenti per i mondiali non si sa ancora quanti siano, soprattutto per la cultura…I soliti annunci roboanti?
Intanto godiamo della collezione Gian Ferrari, dei suoi due Morandi, la tinca di De Pisis, il folle di Wildt, il Casella di De Chirico. Di una donna che senza annunci, ha fatto.