Il mondo dell'arte, della cultura e della scuola piange la scomparsa, nella mattina dello scorso 11 aprile, di Piero Cicoli, artista, docente e uomo di cultura.
Una vivace personalità artistica, di vigoroso spessore culturale, ancorata a un espressionismo saldamente legato all'esperienza umana e alla persona. Il colore in ogni sua forma ha dato vita alla sua arte: nella pittura, nella ceramica, nel disegno e nella scultura.
La dissoluzione della forma, il prevalere della materia sulla forma, il gusto espressionista del colore, il tema della donna, sono alcuni degli elementi che hanno caratterizzato la sua ricerca artistica, condotta con tenacia e con intenti innovativi. Fedele ai generi classici della pittura, Piero Cicoli ha restituito con i suoi quadri una rilettura del ritratto, della natura morta e del paesaggio, mentre con la ceramica la libertà del gesto che nasce dentro l'esercizio severo della composizione nel bidimensionale della tela.
Marchigiano di origine, parlava sempre con grande ammirazione della sua terra ma da molti anni viveva con la famiglia a Varese. Inizia la sua attività ceramica giovanissimo, guidato dal prof. Federico Melis, figura determinante per la rinascita della ceramica di Urbania.
A soli 24 anni è già responsabile tecnico e artistico della fabbrica di ceramiche "Metauro" di Urbania e contemporaneamente consegue il diploma di Maestro d'Arte per la sezione Ceramica presso l'Istituto di Belle Arti di Urbino.
Per anni generazioni di ragazzi varesini si sono seduti davanti a lui nelle aule del Liceo Artistico Angelo Frattini. Cicoli ha trasmesso loro tutta la sua esperienza, stimolandoli con il suo entusiasmo e il suo esempio. Tra i fondatori dell'Associazione Liberi Artisti della Provincia di Varese, ha attraversato la stagione artistica contribuendo alla diffusione dell'arte.
Così Raffaele De Grada scriveva sul Corriere Della Sera «…ci si accorge che da tempo è sorto un gruppo di artisti i quali riprendono i temi della morale realista, spoliticizzati dai contenuti degli anni Cinquanta, ma ugualmente immersi nel sociale, con un linguaggio di acuta ironia e con una deformazione espressionistica. Cicoli è uno di questi. Compone le sue immagini su fondi scanditi con geometrie, orizzontali e verticali che di per se potrebbero risultare come quadri astratti e racconta la musicale ripetizione del quotidiano, le diverse situazione dell'esistenziale fornendo loro un'eco, ampliata come da un altoparlante, del gesto, la ragazza che fuma o che si attilla la veste, il colloquio, la lettura. I problemi di questi nuovi realisti non sono tanto quelli apparenti di una composizione che vuole superare il naturalismo descrittivo. Questi problemi sono ormai a monte, propri della generazione più anziana: da Sughi a Calabria. Sono piuttosto quelli, ben evidenti in Cicoli, di comporre la norma del quotidiano con gli aspetti più forti e perfino violenti che rompono la medesima norma producendo la nostra infelicità. Un realismo espressionista ben lontano dalla cultura contadino-artigiana degli anni Cinquanta e che, avendo consumato i contenuti urbanistico-industriali della Pop-art negli ultimi decenni, si trova a interrogare questa situazione postmoderna cercando di trarne ciò che resta di poesia».
Alla Famiglia e in particolare al prof. Matteo Cicoli le più sentite condoglianze.
Qui potrete risentire la lunga intervista ad Artevarese.