La Basilica di San Fedele, antico cuore religioso e storico della città, conserva testimonianze del periodo medievale di notevole interesse.
Importanti affreschi si radunano una sorta di nicchia dall'aspetto irregolare e provvisorio rispetto a tutto l'impianto architettonico, e si trova -per chi entra- sul lato sinistro della chiesa, vicino all'abside settentrionale. Su questa parete, divenuta nel tempo così ricca di testimonianze culturali e votive da non poter più essere eventualmente demolita, si infittiscono i dipinti, non legati da un'univoca scelta tematica.
La parete su cui si concentra l'attività dei frescanti è suddivisa in due registri sovrapposti. Nella parte inferiore si individuano, da destra, la famosa Majestas Mariae (la Madonna in mandorla); un santo non meglio identificato inserito in un tempietto; e il San Giovanni Battista.
Sulla parte superiore del muro vediamo il Martirio di San Fedele; una Madonna col Bambino; il gruppo di Sant'Anna, Maria e il Bambino; infine la Trinità, il Trono di Grazia.
Sull'imposta dell'arco d'ingresso alla nicchia è affrescato il San Bartolomeo, mentre in basso sul piedritto di rilevano due figure: a destra quella di San Paolo, a sinistra probabilmente il Cristo. Tra questo pilastro e il muro sbieco troviamo il volto del Salvatore, proprio sopra la porta di passaggio.
Nascosta dietro l'arco, la Santa Caterina d'Alessandria faceva parte di una serie di altre decorazione, forse una teoria di Santi come si può vedere al Battistero di Varese.
Dietro il muro sbieco, nel vestibolo del portale istoriato, sono rappresentate l'Ultima Cena e una Madonna in Maestà tra Santi.
Per quanto concerne gli affreschi del primo livello, l'analisi dal vivo sia della pellicola pittorica sia dello stile, ci porta a
pensare che siano stati realizzati da una medesima bottega, perché emerge unità sia di intenti che di stile ed in tempi ravvicinati, in un arco cronologico collocabile alla fine del XIII secolo, 1290, in virtù di debiti confronti stilistici con affreschi coevi: penso ad esempio a quelli di San Giovanni in Conca, oggi alle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano: le analogie negli eleganti atteggiamenti, studiati con cura ma non innaturali, così come l'uso della luce, sembrerebbero suggerire l'appartenenza ad una medesima koiné.
Gli affreschi del secondo livello, diversamente, sono stati realizzati in un periodo successivo non solo perché, banalmente, abbiamo un dislivello di intonaco non indifferente, ma soprattutto dall'analisi del linguaggio figurativo capiamo che è in corso un mutamento a livello culturale: alle tendenze convenzionali ("bizantineggianti" come si dice) ormai consumate della vecchia generazione è subentrato un nuovo codice linguistico goticamente moderno e adeguato a una rinnovata visione del mondo.
In definitiva la decorazione della chiesa di San Fedele nella sua prima fase si colloca all'interno di una rete di rapporti che risalgono a prototipi frutto della maniera del momento, quando nella pittura monumentale verso gli ultimi decenni del XIII secolo si manifesta una certa apertura verso il neoellenismo bizantino. Le aggiunte che seguirono mostrano invece delle spinte innovative e una maggior curiosità culturale in rapporto a quello stile lombardo che si stava muovendo verso forme più originali con un codice linguistico rinnovato. Queste decorazioni, che costituiscono un'antologia pittorica più che un testo compiuto, probabilmente sono sostenute da committenti laici e corrispondono a un momento di interesse delle famiglie notabili della città per il sacro edificio, da sempre riconosciuto come importante luogo di vita religiosa.