Fausto Agnelli "esteta ribelle" –"Colletto e cravatta, fazzolettino, ghette alle scarpe: con tutto ciò Fausto Agnelli era molto diverso dal tipo dell'artista come il pubblico se lo immaginava: trasandato, chiassoso, insofferente alla vita borghese" (Vinicio Salati, 1964). La sua figura alta, dinoccolata, elegante, il fiore e il fazzoletto appuntato sulla giacca non lo facevano certo passare inosservato in una Lugano conservatrice, dove non si era avvezzi ad abbigliamenti tipici delle metropoli francesi o inglesi. "Il Ragno", giornale satirico dell'epoca, più volte ne fece un bersaglio, effigiandolo come un damerino. Un'eleganza nel vestire che mai l'abbandonò, anche quando negli anni a venire non godette più di quella agiatezza economica a cui si era abituato. Fu in fondo sempre un re, anche senza corona: pur privo dei principali mezzi di sostentamento, non volle mai scendere a compromessi.
Pittore, scultore e uomo di cultura – La Pinacoteca Züst anche quest'anno continua il proprio percorso di riscoperta di figure oggi in parte dimenticate, rimettendo in luce Fausto Agnelli (1879-1944), vero protagonista della Lugano di inizio Novecento, sino agli anni Quaranta: richiestissimo dai committenti e presente con le sue opere anche in musei e nei salotti più prestigiosi.
Patrizio luganese e discendente dalla celebre famiglia di tipografi, Agnelli non fu solo pittore, ma anche attento uomo di cultura. Fece parte di giurie espositive e della Commissione del Museo di Lugano dal 1928 al 1936 e fu incaricato di allestirlo, occupandosi tra l'altro degli acquisti (ad esempio il Socrate allora attribuito a Pier Francesco Mola). Solo saltuariamente si dedicava alla scultura, che apprese sui banchi dell'Accademia di Brera. Vinceva infatti nel 1928 il concorso per il monumento al pilota vodese Adriano Guex, schiantatosi con il suo aereo sul Passo del San Gottardo nei pressi dell'Ospizio. Agnelli vinse il concorso sbaragliando, come narrano le cronache dell'epoca, quaranta concorrenti.
Fantasie macabre e visioni fantastiche –C'è in Agnelli una forte componente letteraria, un decadentismo traslato anche in pittura. Nel primo periodo, di cui non si conservano molte opere, forse perché vendute al di fuori del Ticino, si assiste a raffigurazioni di scheletri che ballano, che ascoltano la musica, ma che non sono resi espressionisticamente. C'è piuttosto una visione di disincanto ironico. In effetti anche il commento anonimo riportato per uno dei suoi quadri più riusciti, Accordi primaverili, ben ci mostra l'intento per nulla drammatico: "seduta su d'uno steccato, una figura macabra suona il violino; lo circonda la natura rigogliosa, fiorita; è la vita e la morte, la natura e l'umanità, ambedue soggette al De nihilo, nihilum; dopo la primavera l'estate, dopo la nostra morte, nascono altre generazioni, tutto inneggia alla vita e tutto si spegne ed entra nell'immenso baratro del mistero". E' indubbio che le tematiche macabre, gli scheletri con connotazioni satiriche, così vivi nel primo periodo della sua attività, gli derivavano anche dagli artisti simbolisti belgi: il primo riferimento va a James Ensor (1860-1949), a Odilon Redon (1860-1917) e ad Arnold Böcklin (1827-1901).
Agnelli troverà comunque le sue fonti principali di ispirazione nella lettura di grandi scrittori americani, inglesi e francesi del XIX secolo. Si conservano ancora i libri della sua biblioteca, che confermano quali erano le sue passioni: in primis Edgard Allan Poe, di cui possedeva delle intere raccolte di poesie e racconti, ma anche Charles Baudelaire, che fu il primo in Europa a tradurre l'americano Poe e con il quale Agnelli condivideva alcune passioni, tra cui quella per i gatti. Anche Oscar Wilde non poteva mancare nella sua biblioteca. Come non pensare al Dorian Grey e al suo culto per la propria bellezza? Per la sua effige fotografica Fausto Agnelli sembra, agghindandosi come un dandy, far riferimento alle immagini che circolavano di Wilde. Infine non si possono non vedere i rimandi a Paul Verlaine, seguace di Baudelaire e del movimento decadentista, soprattutto alle fantasie delle Fêtes galantes, che saranno musicate da Debussy, con le
pantomime di Pierrot, Colombine, Arlecchini, Pulcinella.
"Siamo senza saperlo i pagliacci della vita" –Risale, stando ai cataloghi delle esposizioni, al 1918 circa la serie che Agnelli amava chiamare "Poemetti carnevaleschi": sarà la sua produzione più feconda e per cui oggi è ancora conosciuto, tanto da essersi meritato l'appellativo di "pittore delle maschere". Sono sempre figure evanescenti, spesso deformate. L'uso della luce è artificiale, l'ambientazione per lo più notturna: ballerine e personaggi della Commedia dell'arte sono spesso rappresentati all'aperto. Riconoscibilissimi sono i portici dei Palazzi Riva e la Piazza Riforma di Lugano: vedute reali, spettacoli irreali. Il tutto rimanda, come all'inizio della sua carriera, alla precarietà e alla fugacità della vita, che si sviluppa tra verità e finzione. Come non ricordare l'opera I pagliacci di Leoncavallo "Vesti la giubba, la faccia infarina. La gente paga, e rider vuole qua"?
C'è quindi nel pittore una vena pessimistica in questa rappresentazione continua, monocorde, di temi carnevaleschi. Quella che appare solo frivolezza ha qualcosa di ben più profondo: "la gioia gli ordina il quadro: la tristezza glielo dipinge". Il mondo è un palcoscenico popolato da maschere che vorrebbero vivere: vivono ma sono morte. E' l'illusione fugace, giocosa e dolorosa insieme della felicità, spenta nel gesto stanco delle maschere sfiancate dalla lunga notte di baldoria.
"Arte moderna ticinese di vecchio stampo" –Il nuovo capitolo pittorico sarà a partire dagli anni Trenta, quando non presenterà più carnevali e maschere, ma si dedicherà esclusivamente al paesaggio ticinese: quasi sempre assolato e dai colori brillanti, trasfigurato con uno stile geometrizzante e reso con una materia densa e luminosa. Si tratta soprattutto di scorci delle valli – alta Val Colla, Capriasca, Malcantone, Valle di Muggio -, mentre le città e i laghi, ad eccezione di quello di Origlio, compaiono di rado.
La folta serie delle vedute più caratteristiche del Ticino lo fecero conoscere e apprezzare anche a nord delle Alpi, dove trovò un mercato attento e interessato e venne insignito del titolo di Maler des Tessins.
Luci e ombre –Luci e ombre hanno in fondo caratterizzato tutto il cammino artistico di Fausto Agnelli. Da tanti osannato, da altri negletto. Elegante e amante del lusso, si vantava delle sue amicizie altolocate, ma volle avere funerali francescanamente umili.
Lasciò il suo patrimonio, composto solo da quadri e libri, a Nadia Zaitschek, ebrea cecoslovacca che gli fu vicina negli ultimi dieci anni di vita e che divenne fida segretaria. Ed è grazie a lei, che gli fu sempre riconoscente per averle evitato il campo di concentramento, e alla figlia, Renata Lidia Arcuno, che la Pinacoteca Züst ha potuto realizzare questo lavoro, in virtù del molto materiale che hanno gelosamente conservato.
La mostra resterà aperta al pubblico fino al 19 agosto.