Provenendo da Milano e percorrendo l'autostrada dei Laghi, superato lo svincolo per Gravellona, ci si immette sull'Alessandria.
Il traffico si dirada, tanto da portare alla mente la frase di una canzone di Paolo Conte "…si va che è un incanto…", permettendo alla sguardo di volgersi a tratti ad ammirare il paesaggio che costeggia l'autostrada.
Saltuariamente qualche bolide, snobbando eventuali postazioni autovelox, appare per un attimo nello specchietto retrovisore per diventare, pochi secondi dopo, un puntino all'orizzonte.
Usciti a Casale Monferrato, ci accoglie la verde regolarità delle risaie interrotte solo all'orizzonte da ordinati filari di alberi.
La destinazione finale è Valle Lomellina, l'appuntamento con Alberto Ghinzani.
In paese, entriamo dalla parte sbagliata.
Preso come riferimento la farmacia telefoniamo a Ghinzani, che pochi minuti dopo arriva sorridendo: "Avete sbagliato strada, non preoccupatevi, sbagliano quasi tutti".
Prima di accompagnarci nello studio, Ghinzani ci invita nella sua abitazione facendoci accomodare in un salottino, animato da disegni e sculture, per il naturale piacere di parlare di arte e in generale, delle cose del mondo.
Dopo tale gradevole parentesi, ci si trasferisce nello studio dove sono presenti opere di grandi dimensioni, alcune ultimate altre in fase di compimento, dopo di che l'intervista ha inizio.
"A quei tempi il liceo artistico era a Brera ed era a numero chiuso, io sono stato ammesso che avevo tredici anni, avevo i calzoncini corti perché a quel tempo si usava così e avevamo insegnanti del calibro di Guido Valli per storia dell'arte, poi c'era Marino Marini e l'assistente era Alik Cavaliere, questo era il livello, per cui devo dire che rispetto a quello che succede oggi, noi eravamo in una condizione assolutamente imparagonabile, inoltre attorno all'Accademia si svolgeva tutta la vita artistica e culturale di Milano e gli artisti affermati avevano rapporti anche con noi giovani.
La nostra grande fortuna è stata di esserci trovati a confrontarci con artisti come Fontana, Morlotti e lo stesso Marino Marini, cosa che oggi appare incredibile, infatti quando insegnavo a Brera, ma poi anche a Urbino, Napoli e Venezia, parlando agli allievi di uno degli artisti che ho appena citato, dicevo "Sono sicuro che voi state pensando che vi racconti delle storie", ma le cose andavano così, raccontare che Fontana veniva nell'aula di Marini Marini e vedeva le mie cose, ora sembra inverosimile e io avevo vent'anni. Inoltre Milano negli anni '60 era una delle capitali dell'arte europea".
Che ricordo ha della storica Galleria delle Ore, che purtroppo non c'è più, e del suo creatore, Fumagalli ?
"Sono arrivato da Fumagalli perché Alik Cavalire vedendo i miei disegni mi ha mandato da Franco Francese, questi a sua volta mi ha indirizzato alla Galleria delle Ore a suo nome, esisteva una generosità da parte degli artisti affermati nei confronti dei giovani che mi pare oggi non esista più e Fumagalli rivolgeva molta attenzione ai giovani artisti".
Lei non ha mai avuto dubbi sul fatto che sarebbe stato uno scultore.
"Sin da giovanissimo ho sempre pensato di essere scultore. Può darsi sia dovuto al fatto che per tutta l'infanzia ho vissuto nella casa del nonno che era costruttore di strumenti musicali e vedere costruire degli oggetti con differenti materiali che poi avessero il fine di emettere suoni, mi ha inconsciamente fatto nascere il desiderio profondo di essere scultore".
Quanto è indispensabile per lei disegnare?
"Ho sempre disegnato molto, anche in questo ultimo periodo sto disegnando molto, inoltre ho fatto molti anni di studi di progetti di disegni dal vero. Negli anni '70 andavo sull'argine del Po e disegnavo le cose che vedevo attorno a me e che diventavano la base per le sculture di allora; non avevo un riferimento preciso con gli oggetti, ma fungevano da richiamo per quello che avrei fatto".
Per lei lo sguardo verso la natura era principio di ispirazione.
"Si, il mio scopo era creare sculture che intervenissero dentro lo spazio, ho fatto sculture verticali perché dovevano essere degli elementi verticali astratti in mezzo alla pianura al fine di creare un rapporto tra verticalità e orizzontalità".
E di Ghinzani poeta?
"(sorride) Ghinzani poeta non è importante, sono solo scritti che nascono nel momento in cui intendo elaborare l'idea di una scultura. Elaborando schizzi e disegni mi veniva abbastanza semplice scrivere delle frasi, queste frasi le ho poi organizzate e sono diventate brevi testi che sono sempre comunque in relazione con la scultura… (sorride di nuovo) non ho la pretesa di essere poeta".
Quali sono le condizioni che le fanno decidere la scelta dei materiali?
"E' importantissima la scelta dei materiali, qualsiasi tipo di materiale può diventare scultura. Uscendo da una prima fase in cui ho usato il bronzo, in quanto l'ho sentito antico e storico, ho maturato l'esigenza di usare altri materiali meno nobili, mi davano il senso della contemporaneità, quali la resina e il colore che devono intervenire all'interno e sulle forme".
Nella sue ultime opere sta lavorando in sottrazione.
"E' vero, sto lavorando molto sul vuoto, seguendo un'idea di spazio e di forma; queste cose (indicando i suoi ultimi lavori) sono venute senza la necessità di un progetto. La porta è uno dei temi che sto sviluppando, la porta è l'emblema del vuoto, in questo momento sono gli spazi vuoti le cose che
più mi interessano".
Alberto Ghinzani è nato a valle Lomellina nel 1939. Poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale si scrive prima al liceo artistico, poi all'Accademia di Brera frequentando il corso di scultura di Marino Marini.
Una piccola borsa di studio gli permette di soggiornare a Parigi dove ha modo di conoscere le forme più significative della scultura di quegli anni.
Il fermento culturale che anima Milano negli anni '60 gli permette di incontrare i grandi maestri artisti che lo animano.
Nel 1996 terrà la sua prima personale alla Galleria delle Ore a Milano presentata da Mario De Micheli.
L'anno successivo sarà presentato da Luciano Caramel alla galleria Il Girasole a Roma.
Fra le esposizioni di quegli anni da ricordare la Biennale di Carrara, l'invito al Premio Lissone, il premio Ramazzotti a Palazzo Reale a Milano.
Seguono dopo tali riconoscimenti personali in prestigiosi spazi pubblici e privati in Italia e all'estero.
Di questi ultimi anni vanno segnalate la collocazione di una sua opera di grandi dimensioni nel giardino del MART di Rovereto e altre sue opere vanno a fanno parte della VAF Stiftung e del MUSMA di Matera.
Nel 2009 due importanti mostre: alla Fondazione Stelline di Milano e una antologica al Museo di Lissone curata da Luigi Cavadini con un saggio di Francesco Poli.
Due opere vengono installate in permanenza all'idroscalo di Milano e a Villa Recalcati a Varese.
L'accademia di Brera, dove è stato docente per diversi anni gli dedica una antologica di disegni e il Comune di Milano gli conferisce l'Ambrogino d'Oro.
Espone alla rassegna Francia-Italia a Torino ed è presente con un gruppo di progetti al MAXXI di Roma.