Nel corso dell’importante carriera dello scultore Alessandro Vittoria non possiamo non notare una fase di apparente irrigidimento classicistico nella scultura raffigurante Cristo, del 1578, un tempo facente parte del monumento funerario del vescovo Domenico Bollani a Brescia. Oggi conservato nel museo civico della città.
Vittoria, trentino di nascita ma veneziano di adozione, all’inizio degli anni ottanta del Cinquecento, e quindi poco dopo la realizzazione dell’opera sopra enunciata compiva la sua svolta creativa che lo portò ad essere un artista protobarocco. Evidentemente i segni di tale mutamento erano già presenti nel kunstwollen (volontà artistica) dell’autore ma come possiamo chiaramente vedere, completamente assenti nel Cristo di Brescia.
La rigidità ottenuta può esser spiegata con il coinvolgimento eccessivo di assistenti, seppur di grande prestigio.
Proprio quest’opera mi consente di introdurre il rapporto dei collaboratori nel lavoro del maestro, mettendo il luce le dinamiche sulla vita di bottega che Vittoria “respirò”, prima come apprendista in quella di Sansovino e poi nella propria come maestro sempre a Venezia.
La decisione si stanziarsi nella città lagunare avvenne nel 1569 quando lo scultore acquistò due case in calle della pietà, andate distrutte durante il XIX secolo. Lo studio doveva essere di ridotte dimensioni ma ben illuminato, visto che lo stesso Alessandro decise di aggiungere due finestre. Il soprannome di “magazeni” dato alle due stanze laterali indica la grandezza dei vani, che
dovevano ospitare i modelli a grandezza naturale. La bottega si trovava in zona strategica a due passi da san Marco e Rialto, dove risiedevano mercanti e patrizi che formavano la committenza prediletta da Vittoria. Le calli (vie) che circondavano la casa permettevano inoltre un facile accesso ai tre principali canali navigabili; il Canal Grande, il rio della pietà e quello dei greci. Questa peculiarità permise certamente il contenimento dei costi del trasporto.
Come era usanza per gli scultori del tempo anche Alessandro prediligeva il disegno quale segno distintivo dell’idea e da cui tutto deriva. Il compito di schizzare il soggetto da scolpire spettava quindi al maestro. Su queste indicazioni veniva realizzata l’anima di filo metallico sulla quale trovava forma il bozzetto in cera, successivamente ripolpato in argilla e messo in forno per stabilizzarne la forma. A questo punto l’assistente, grazie all’utilizzo del compasso (talvolta di grandi dimensioni) creava il modello a piena grandezza in gesso o in argilla.
In questo caso l’ossatura usata era il legno, sul quale venivano legate la paglia e stoppa, per dare una buona tenuta all’argilla. Quest’ultima, affinché non si asciugasse in maniera troppo veloce, veniva mischiata con la farina tostata.
Finito questo secondo modello, venivano prese nuovamente le misure sempre con l’utilizzo di compassi e trasferite sul blocco dal quale poi si scolpiva la figura. Anche questo passaggio era responsabilità dell’assistente, ma certamente il maestro poteva intervenire quanto lo riteneva opportuno. Sappiamo con certezza che lo scultore trentino teneva molto ai suoi bozzetti di terracotta o gesso. La storia dell’arte ci consegna infatti un suo ritratto, firmato da Paolo Veronese, con in mano il bozzetto del san Sebastiano di Montefeltro.
Il Commissaria Vittoria ci permette di capire quali altre figure professionali si impegnassero negli ultimi stadi
della produzione della scultura.
Alla base della bottega, vissuta in senso sociale/famigliare si trovavano i garzoni, solitamente i meno capaci e quindi impegnati nei lavori più umili. Sappiamo che tra il 1555 e il 1591 Vittoria ne assunse dieci. Ad un gradino superiore trovavano posto gli allievi. Questi venivano nutriti e vestiti dal maestro e per questo motivo non percepivano paga. Tra i più importanti emergono certamente Andrea dell’Aquila e Altobello. Gli assistenti invece erano lavoratori finiti e per questo potevano prestare la loro opera a chiamata. Il loro impiego era quindi legato essenzialmente al singolo progetto. Lo “squadrador” era colui che creava il contorno della figura sul blocco finale. In seguito la figura veniva lavorata da Vittoria con ceselli e trapani sempre più sottili per perfezionare i lineamenti. L’ultima fase, quella della pulitura veniva lasciata all’assistente. Normalmente nella sua bottega vi era un solo apprendista e un assistente per progetto. Solo tra gli anni settanta e ottanta del Cinquecento arrivò a chiamare due allievi.
Sappiamo anche che all’occorrenza il maestro ricorse a operai di giornata. Naturalmente l’intervento di Alessandro Vittoria variava da commissione a commissione a secondi di vari fattori. Dopo questo breve affondo sulle dinamiche della sua bottega possiamo convenire che vi era un ragionato gruppo di lavoro. Per quanto riguarda il busto di Cristo, oggi al museo civico di Brescia, sappiamo che Vittoria si fece assistere da Giovanni Vicentin e dal “squadrador” Antonio Gazino(Commissaria Vittoria). Il primo ricevette quattordici Lire Tron per diciannove giorni di lavoro, mentre il secondo fu liquidato il 2 dicembre del 1578 con cinque Lire Tron per aver prestato due giorni di servizio.
La scelta di Vittoria di legarsi ad un modello classicistico per il Cristo di Brescia indica la sua precisa volontà di cimentarsi in quell’atteggiamento che non sarà più suo da lì a poco. La responsabilità del risultato scultoreo, dopo ciò che si è scritto, non potrà certo ricadere sull’assistente ne tanto meno sul “squadrador” che certamente seguirono le linee programmatiche del maestro. La firma di Alessandro Vittoria denota sempre il suo sigillo di approvazione, e questo fa del Cristo Bottai un’opera dalla valenza storica rilevante in quanto ultima testimonianza di un artista che dopo poco guardò verso altre direzioni.