Zanella, Ricci, Sambini, ManganoZanella, Ricci, Sambini, Mangano

Il riscatto della marginalità – È la direttrice della GAM Emma Zanella ad aprire la serata, con uno stringato riassunto, un punto della situazione, di un'edizione del Premio dedicata, per la prima volta e interamente, alla fotografia. La direttrice prende le mosse dai criteri di scelta dei fotografi selezionati, che hanno visto privilegiare artisti giovani che si servono della fotografia sia come unico mezzo della loro ricerca, sia come strumento utilizzato accanto ad altri media, come il video o la performance. Il discorso si sofferma poi, sul titolo del Premio, "Terzo Paesaggio. Fotografia italiana oggi", emerso dopo un confronto tra le opere degli artisti selezionati, lavori curiosamente accomunati da uno sguardo attento alle situazioni nascoste e meno evidenti della realtà, fotografie che dichiarano visivamente, un chiaro riscatto della marginalità.

Richard Symspon –
Assenti fisicamente, ma presenti attraverso i loro scritti (letti dalla Zanella), Cosimo Pichierri e Marco Trinca Colonel, in arte Richard Sympson, descrivono il loro approccio fotografico nei confronti della realtà come metodico, operato e rituale: la serie Palmo a Palmo, iniziata nel 2006, e rappresentata, in mostra, dalla fotografia Palmo a Palmo #3, è una chiara testimonianza dell'ansia documentaristica che pervade i due giovani, impegnati a registrare, fotograficamente, alcuni luoghi protagonisti di vicende tragiche, attorno ai quali, attraverso l'influsso mediatico, è andata a costruirsi la coscienza del popolo italiano. L'opera di Sympson, risultato di una ricostruzione, con photoshop, di centinaia di scatti dello spazio preso in esame, viene restituita agli spettatori in scala reale. L'immagine ottenuta risulta priva di prospettiva centrale e traduce l'intento degli artisti di definire luoghi comuni dell'emotività italiana, in modo realistico, distaccato e neutrale.

In urbe – Dopo un caloroso e affettuoso saluto telefonico alla curatrice Roberta Valtorta, è stato Tancredi Mangano a prendere la parola. Una ricerca sulla natura antropizzata lega i lavori che il fotografo conduce dal 2002, un percorso che si concretizza, nel ciclo In Urbe, in una catalogazione fotografica delle piante che crescono in metropoli come Milano e, nella serie di immagini esposte alla GAM, Inabitanti, in fotografie in cui simil-abitazioni costruite con materiali improbabili, riaffiorano da una vegetazione fitta del quartiere milanese, Bovisa. Pur essendo immersi in uno spazio metropolitano e comune a tutti, queste sorte di moderne capanne, e chi vi abita al loro interno, risultano invisibili ad uno sguardo distratto, inesistenti, Inabitanti, appunto. E la natura diventa una protezione, ma anche una barriera che, in questo caso, solo la curiosità del fotografo è riuscita ad eliminare.

Palmo a palmo, R.SympsonPalmo a palmo, R.Sympson

Terzo artista – Alessandro Sambini non poteva scegliere un titolo migliore per le sue fotografie: immagini di convivialità e dialogo, riprese durante il momento della cena (una cena veneta, per essere precisi) sono al centro di tutta la serie Ghè Pronto. Intrufolatosi nelle case di alcune famiglie Sambini ha realizzato i suoi scatti, senza alcuna costruzione scenografica, ma catturando, con un flash fortemente direzionato, degli attimi significativi del pasto. Come spiega il fotografo, la sua intenzione è quella di concentrarsi su un ambiente privato, ma comune a tutti, e sull'importanza del momento del pranzo, quale rito, appuntamento e momento fondamentale in cui i dialoghi possono essere letti come risorse per leggere la società. 


Ricordi al femminile – La serata si conclude


con l'intervento di Moira Ricci, che illustra in modo fresco ed emozionante la matrice fortemente autobiografica dei suoi lavori: 20.12.53-10.08.2004 è infatti il titolo della sequenza fotografica esposta in quest'edizione del Premio, un titolo che racchiude le date di nascita e morte della madre. In questo lavoro, l'artista si inserisce, con l'aiuto di appositi software, all'interno di fotografie che ripercorrono tutta la vita di sua madre, riproducendo attentamente, dopo uno studio approfondito, la luce che invadeva la scena nel momento dello scatto e immedesimandosi totalmente nel periodo rappresentato, con vestiti e pettinature d'epoca. Nel corso del discorso, Moira evidenzia come il suo sguardo, nelle fotografie, sia sempre rivolto verso la madre, in una sorta di avvertimento a prestare attenzione agli incidenti tremendi della vita. La vena autobiografica che percorre tutte le opere di Moira, dalle fotografie, ai video e alle installazioni, porta l'artista a vivere l'opera fotografica come conseguenza di un'esigenza interiore e a realizzare immagini dal significato intenso, emozionante, al limite della liricità.