Dopo quattro anni di assenza dalla scena espositiva – almeno per quanto attiene alle mostre personali – Luca Lischetti si rimette in discussione nel suo spazio milanese di riferimento, la Galleria Vinciana, che dagli anni '80 segue l'artista di Montonate. Abbiamo tastato con lui gli umori e le posizioni della vigilia.
Che cosa vedremo a Milano?
"Lavori degli ultimi anni, dove continuo il mio discorso fra pittura e scultura: su un fondale dipinto innesto delle figure di legno scolpito, non riuscendo ancora a lasciare del tutto la superficie: sono sempre un pittore, dopo tutto"
C'è ancora il rosso…
"Sì, non riesco a liberarmene, anche se a volte mi pesa"
Quando lo ha scoperto per la prima volta?
"Circa dieci anni fa, ormai. Tutto nacque da un colloquio tra me e il critico Riccardo Barletta, che mi richiamò al figurativo…disse che mi occorreva un'esplosione, una Torre di Babele piena di disastri e vulcani…il mio rosso corrisponde a tutto questo, forse"
E Thomas Beckett?
"Thomas Beckett fu una mia ossessione per un certo tempo, mi concentrai sulla sua schiena fustigata a sangue…di qui uscirono personaggi ancora più rossi, ora non riesco a dipingere altrimenti, anche se talvolta, tutto quel rosso, nello studio, non è proprio rilassante"
Che tipo di pigmento usa?
"Sono pigmenti fluorescenti, che mi faccio preparare e che mi danno l'effetto e la forza che voglio. Non un rosso qualsiasi"
Non teme la maniera, la ripetizione di una formula?
"Avverto questo rischio e tanti – anche colleghi – ormai mi etichettano, ma non mi sento assolutamente ripetitivo. Ogni opera aggiunge un tassello nuovo alla rappresentazione"
Ecco, rappresentazione, magari teatrale: c'è del teatro nella sua pittura-scultura?
"Può essere, ma io vorrei che fosse più ironico che addolorato. In effetti, come alcuni critici hanno notato, io vedo le cose da fuori, da giudice e burattinaio, più che da vittima"
Per il teatro sta realizzando un lavoro: quale?
"La compagnia Studio Danza Millennium mi ha commissionato un paesaggio di sette metri, smontabile, che s'illumina, sul tema della Strada di Fellini. Quindi c'è il paesaggio e c'è il carrozzone di Zampanò. Ma non chiamatemi scenografo, ho semplicemente eseguito quel che mi è stato richiesto per un balletto che andrà in scena a Busto Arsizio il 21 maggio"
Come si sta, da artisti, in provincia di Varese?
"Non molto bene"
Che cosa le manca?
"Gli spazi, gli incontri, le discussioni. Negli anni '70, c'era Gianfranco Maffina che ci riuniva e ci si sentiva vivi, partecipi. Oggi, nessuno comunica più, gli artisti fra loro non si parlano, hanno segreti, e anch'io sto chiuso nel mio studio"
Una certa delusione trapela dalle ultime parole di Luca Lischetti, ma la sua opera rimane incendiaria, onirica, senza cedimenti, ribelle alle costrizioni di ogni tipo e basata su una manualità invidiabile.
L'artista è pronto alla prova di Milano, a fare uscire tutto quel rosso dallo studio di Montonate, dove c'è il rischio di chiudersi, in un teatro introverso, che parla solo a se stesso. La mostra della Vinciana, in effetti, s'intitola Davanti al muro.