Polittico d'Ognissanti, partic.
La lunetta. La prima opera attribuita a Giovanni da Milano, nativo di Caversaccio, è la lunetta situata nella chiesetta di S. Maria delle Grazie a Mendrisio, ma proveniente dall'Oratorio dell'Ospedale dei Pellegrini di San Giovanni che apparteneva agli Umiliati, un ordine con il quale il maestro avrà altri, ben più lusinghieri, rapporti negli anni Sessanta per il Politico destinato all'altar maggiore della loro Chiesa d'Ognissanti a Firenze. L'affresco raffigura a mezza figura la Vergine col Bambino in piedi davanti a lei; alla loro sinistra si trova il Battista riconoscibile dal cartiglio che mostra nella mano sinistra ECCE AGN[US] DEI, e alla destra una santa identificata fin dalle prime descrizioni come Santa Caterina, ma riva in realtà degli attributi iconografici. Il dipinto orna oggi l'altare della chiesa di S. Maria delle Grazie, ma in realtà si tratta di un affresco staccato a massello dal primitivo edificio, l'antica chiesa dell'ospedale di San Giovanni. Prima del restauro, la pittura si trovava in precarie condizioni con alcune crepe risalenti al momento dello stacco, abrasa in più punti e con diversi rifacimenti, come l'oro delle aureole e dello sfondo; diversamente l'incarnato dei volti si presentava in discrete condizioni e permise subito di apprezzare la finezza dell'esecuzione e la particolare tecnica di tratteggio sottile e fitto con cui il frescante conferisce volume e luminosità alle figure.
Una spontanea domanda nasce nel visitatore: chi è l'autore della lunetta? Già situata nella tradizione di Giovanni da Milano dal Toesca che la datava alla fine del secolo, e più stringentemente dalla Matalon, la lunetta è stata restituita al lombardo da Luciano Bellosi. Per Mina Gregori si tratta della prima opera di Giovanni da Milano mentre più cautamente Giuseppe Martinola assegna il dipinto a un allievo del grande pittore.
Influenze e relazioni. Nelle prime analisi sono state
Caterina e san Giovanni Battista
sottolineate le relazioni con i giotteschi operanti in Lombardia nella sfumata e crepuscolare tenerezza del modellato della testa della Vergine e del busto della Santa e nel fitto e luminoso tratteggio negli incarnati. L'espressione del viso appena scorciato della Santa fa pensare agli Angeli adoranti nella Gloria del tiburio di Chiaravalle (restituita dopo un estenuante dibattito critico a Stefano fiorentino). Questa ipotesi non è nuova, se già Toesca nel 1951 pensava ad un esordio di Giovanni al fianco del frescante dell'Assunta del Camposanto di Pisa, identificabile, come è noto, proprio con l'autore del ciclo milanese di Chiaravalle. La particolarità morfologica delle due teste femminili può ricordare i precedenti del Primo Maestro di Santa Margherita e di altri comaschi, ma è ottenuta con il variante di un morbido chiaroscuro.
È già stato notato come la figura della Madonna col Bambino sembri poi riallacciarsi alle vigorose figure proposte da un altro frescante, quale il Maestro di Castel San Pietro. Un altro interessante confronto è con gli affreschi nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Como (pittore attivo nel 1340), dove il volto della Santa sulla destra mostra un'impressionante somiglianza con
la Vergine di Mendrisio e ne costituisce un precedente risolto da Giovanni ben diversa maestria e modellato.
L'affresco ha subito strappato parole di ammirazione a più di uno studioso: Johann Rodulf Rahn ha apprezzato la pienezza plastica delle teste che si direbbero quasi eseguite da Giotto; a Piero Bianconi è piaciuta santa Caterina che alza con vivo fervore il volto giovane e pieno, delicatamente dipinto di rosa e incorniciato di biondi e folti capelli; Giuseppe Martinola ha sottolineato la vivacità del colore, la raffinatezza delle mani, il contenuto naturalismo del Bambino.
Quanto alla data di esecuzione dell'opera, pare attendibile il 1350 proposto da Mina Gregori. Una tale datazione si accorda bene del resto con i dati della moda che ci fornisce l'elegante veste della giovane santa, fornita da lunghi e sottili manicotti e di uno scollo molto ampio, da spalla a spalla. L'attribuzione a Giovanni da Milano trova poi valido argomento nella tecnica esecutiva: il tratteggio fitto che contraddistingue le sue opere più note e che rende vibrante la luce.
L'ascrizione a Giovanni da Milano di questa lunetta risulta particolarmente importante per i risvolti dell'arte lombarda perché il dipinto si lega per alcuni aspetti alle testimonianze pittoriche lombarde del secondo quarto del Trecento e pare pertanto confermare il loro importante ruolo nella così discussa formazione dell'artista.