«Nell’innamoramento, la scelta è fra il tutto e il nulla. […] La polarità della vita quotidiana è fra la tranquillità ed il disappunto; quella dell’innamoramento fra l’estasi e il tormento. La vita quotidiana è un eterno purgatorio. Nell’innamoramento c’è solo il paradiso o l’inferno; o siamo salvi o siamo dannati.»
Queste le parole di Francesco Alberoni, che ha scritto in un saggio riproposto ai maturandi del 2009 con l’invito a guardare oltre le parole e leggere tra le righe quello che non è stato scritto.
L’estasi è una condizione di cui parlano i poeti e gli scrittori dai primissimi testi, questa condizione di assoluta bellezza contrapposta all’assoluto tormento.
Come spesso accade chi viene prima di noi conosce già esperienze, sentimenti, sensazioni che proviamo, non per niente per gli antichi quando si parlava d’amore tutto girava intorno ad un concetto semplice e al tempo stesso tra i più complessi: il sublime. Il sublime rientra in quello di cui parlava Alberoni, è una condizione di completa estasi che solo il sentimento dell’amore poteva dare, ma non era solo questo. Ad oggi tale termine ha un’accezione del tutto positiva, eppure non è sempre stato così. Per gli antichi era sublime tutto quello che l’amore donava, l’immensa gioia ma anche il più profondo tormento, che era considerato sublime nel momento in cui ciò che lo aveva ispirato aveva origine nobile, perchè anche nel dolore, quello provocato dall’amore, c’è la grande bellezza di ciò che questo sentimento può donare.
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense.”
Il Sommo Dante Alighieri metteva queste bellissime e, ormai, famosissime parole in bocca a Francesca, nell’inferno. Francesca si era innamorata di Paolo ma il loro amore sarebbe dovuto rimanere vano essendo sposata con il fratello di lui, invece eccoli qui, insieme all’inferno, perchè l’amore non perdona chi è amato e non ricambia, perchè neanche l’inferno ha spento la fiamma che l’amore ha acceso: “che come vedi ancor non m’abbandona”. Ancora, dopo gli anni, dopo i tormenti eterni, dopo la morte, ancora Francesca ama Paolo, ecco l’essenza dell’amore.
Dante ci fa capire che sì, Paolo e Francesca sono all’inferno perchè non poteva tralasciare il loro peccato eppure vuole sottolineare che l’amore è quello per cui si va all’inferno insieme, se necessario, perchè nemmeno il diavolo in persona, che per Dante è Lucifero e sta in fondo a quel cono rovesciato che è il suo inferno, può cancellare quanto di buono ha fatto l’amore.
Li ritroviamo anche qui, l’estasi e il tormento: il sublime.
Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
Ingenerò la sorte.
Cose quaggiù sì belle
Altre il mondo non ha, non han le stelle.
Nasce dall’uno il bene,
Nasce il piacer maggiore
Che per lo mar dell’essere si trova;
L’altra ogni gran dolore,
Ogni gran male annulla.
Bellissima fanciulla,
Dolce a veder, non quale
La si dipinge la codarda gente,
Gode il fanciullo Amore
Accompagnar sovente;
E sorvolano insiem la via mortale,
Primi conforti d’ogni saggio core.
Leopardi, il grande poeta solitario, colui che con il pensiero prima e con le parole poi ci ha insegnato che dietro ogni ostacolo c’è qualcosa di stupefacente ma dobbiamo imparare a guardare con il cuore, non solo con gli occhi.
Anche Leopardi come Dante, ci ricorda che ciò che genera il più grande bene e il più profondo male sono fratelli, vicini, quasi confondibili.
“Cose quaggiù sì belle
Altre il mondo non ha, non han le stelle.”
Non abbiamo nulla di meglio quindi, dell’amore, perchè è un sentimento che appartiene agli uomini e agli dei, alla vita e alla morte. Leopardi ci racconta che questi due fratelli hanno ragione di esistere perchè uno, l’amore, ci regala tutto il bene, tutto il bello, tutto il piacere ma anche tutto il dolore, tutto il tormento, mentre l’altra, la morte, annulla ogni male. Non sono uno l’opposto dell’altro, si completano, come il male completa il bene quando si parla d’amore.
Non si può vivere un amore mediocre, l’amore deve essere sublime per essere tale, deve contenere l’immensa gioia e il più profondo dispiacere, il massimo della passione in ogni sua sfaccettatura. Se così non fosse non esisterebbero poeti, non esisterebbero canzoni.
Al poeta non basta decantare il bello dell’amore, la grandezza, la dolcezza. Il poeta canta i giorni col sole e quelli con la pioggia ed è proprio in questi, con uno sforzo che solo un animo puro può fare, che trova tutto il vero sublime dell’amore.
Veronica Pagin