Busto A. – Da Borsano a Dairago il tragitto è breve e già da lontano si individua questo paese grazie “ad un altissimo belvedere della casa di villeggiatura” dei Lampugnani, una famiglia di antico lignaggio che tanto fra terre e case possedette nella zona del Legnanese.
La dimora, più un palazzotto che una villa, si presenta con un affaccio diretto sull’abitato e non presenta significative caratteristiche se non, appunto, l’agile torretta voluta nel 1812 dal giureconsulto e notaio Luigi Lampugnani che tenne a ricordare con marmorea lapide questa sua impresa. Lì intorno altri edifici mostrano un’antica dignità come il palazzo che fu dei conti Casati, popolarmente chiamato “Camaón”, illeggiadrito da un portico a cinque arcate e intrigante per via di affreschi e scritte che si vedono ancora, sia pure a stento, sulle pareti.
Non è lontano da Dairago Busto Garolfo che di ville ne ha tante, quasi come certi paesi sul Naviglio. Ma invece di placide acque il borgo aveva terre fertili dove crescevano il gelso e la vite. Chi non conosce i versi del Porta che, con gran scorno di quelli di Busto Grande, inneggiava: “Che granada! Varda, varda! /Sent che odor!/Che bel color!/Viva Bust/e i so vidor!/Quest chi sì l’è el ver bombas/che consola, che dà gust/alla bocca, ai occ, an nas…”? I signori dalla città vi venivano quindi per controllare i momenti della vendemmia, appena si faceva autunno, mentre nei mesi precedenti c’erano altre piantagioni da seguire. Questi “signori” si chiamavano, a leggere la “Grande Illustrazione del Lombardo Veneto” pubblicata nel 1857, Litta Modignani, Bellotti, Bellone, Battaglia, ma nei secoli prima risuonavano ben altri e più prestigiosi cognomi: Brentano, Arconati, Fossati, Castelbarco Visconti e Rescalli, questi ultimi diventati i feudatari del borgo.
Disposte a pochi passi dalla Piazza Grande dove stava anche la Parrocchiale per la cui facciata diede disegni il prestigioso architetto Francesco Maria Richini, tutte queste “dimore da nobile” non creavano allora, e tanto più oggi, un caratteristico ambiente omogeneo; ciascuna sembrava vivere nel suo spazio concluso, quasi gelosa della propria “privacy”. Una discrezione che si palesa anche nella loro architettura, parca di originalità e di ricercatezza di forme, invece sobria e funzionale nelle sue ordinate sequenze di aperture e provvista degli immancabili, necessari portici che insieme alle ali laterali più basse racchiudevano le corti spaziose. Da qui passaggi studiati conducevano ai rustici, sede dell’attività agricola, mentre sul fondo il portico della facciata era snodo degli ambienti di rappresentanza: lo scalone, sale e salone d’onore.
Anche a Busto Garolfo non tutti i palazzi villerecci sono giunti fino ai nostri tempi nella integrità voluta dalle originarie famiglie proprietarie, anzi l’ambiente rurale di una volta si è perso del tutto.
Ma si resta sorpresi quando si raggiunge, alla fine di un percorso alberato, l’accesso alla dimora che appartenne ai Rescalli (ora Villoresi), dominato da un solenne portale a ragione assegnato a Domenico Valmagini, architetto al servizio di Ranuccio II Farnese nel contado di Parma, ma anche originale autore del Mortorio presso San Giovanni nella non lontana Busto Grande.
In questo complesso i portici sono addirittura su tre lati e da quello centrale, passando per il salone di ricevimento, si accede al parco disegnato da Luigi Canonica, infaticabile architetto del periodo napoleonico, autore anche della serra di elegante disegno, fortunatamente giunta intatta fino a noi.
Anche i conti Brentano, forti dei prestigiosi incarichi che significavano anche un patrimonio doviziosamente in crescendo, si diedero da fare per imprimere tono signorile alla loro casa ingentilendola con una balconata e con ringhiere in ferro battuto preziose nella loro barocchetta eleganza apprezzabile anche nel cancello sormontato dall’aquila bicipite di riferimento imperiale, messa lì a palesare la riconoscenza della famiglia per gli uffizi e i titoli ricevuti.
Ora questa dimora è diventata proprietà del Municipio che, del resto, ha la sua sede ufficiale in un’altra storica villa, quella originariamente della famiglia Bellani ma nota ai più come Molteni. La si individua facilmente tra le case per l’inconsueto paramento di mattoni a vista, sapientemente messa a sfondo della Contrada Larga.
Giuseppe Pacciarotti