"Cose di cuore", dice il detto, che la ragione non conosce. O meglio, che conosce e comprende fin troppo bene. Organo cavo che riempie la cavità del petto, sede dell'intelletto, come lo definirono i Sumeri, o padrone assoluto del corpo, come veniva chiamato dagli Egizi. Per finire con l'essere ritenuto meccanica pompa, adibita ad un lavoro vitale.
Il materialismo ha conculcato e offeso per bene quell'afflato spirituale che è un'esigenza metafisica intrinseca all'essere umano.
Ma il cuore batte e palpita e con il suo ritmo resta sede del sentimento, della paura, della felicità. Forze più spirituali che biologiche, come sembra aver suggerito anche Henri Matisse nel suo famosissimo Icaro.
"καρδία,-ας", "cor, cordis", "heart", "herz", "coeur", "corazón": la radice è la medesima. E come gli scienziati, così anche gli artisti sono sempre rimasti affascinati dall'organo cardiaco, dal suo essere muscolo pulsante che scandisce, senza interruzione, il ritmo della vita.
In arte, in pittura come in musica, non si tratta di riprodurre o di inventare delle forme, bensì di captare delle forze, delle energie sintetiche e magnetiche, "la carne del mondo", avrebbe detto Maurice Merleau-Ponty.
Fuori dalla finestra si intravvede il paesaggio: è l'opera di Édouard Vuillard, intitolata Il dottor Vaquez e il suo assistente dottor Parvu. Sull'estremità destra, per noi che guardiamo, un elettrocardiografo; il cardiologo manovra la sonda dell'apparecchio e, al contempo, appoggia l'altra mano – rassicurante – sul capo del degente. È lo scorrere del tempo ritmato, la riflessione sulla disabilità fisica e sul limite umani, lo scambio di sguardi, il susseguirsi di gesti e operazioni competenti e misurate.
Cézanne lottò una vita intera per superare la raffigurazione e ne ottenne una mela, Morandi dipinse sempre lo stesso quadro, Picasso ci mostrò l'oggetto da tutti i punti di vista e Bacon ci consegnò un lascito di forme organiche che rinviavano alla familiarità della figura pur essendone una distorsione.
Arte: ovvero splendore e disfacimento, trionfo e perdita priva d'appello, gloria e miseria. Il dipingere cose, fatti concreti e persone nella loro quotidianità è uno degli elementi che caratterizza i grandi maestri di tutti i tempi.
Il quadro di Jean-Frédéric Bazille, L'improvvisato ospedale da campo, è il ricordo di Monet a letto; gli stessi oggetti nella camera finiscono per tenere compagnia al degente che guarda verso l'esterno dell'opera. In questo dipinto, che sembra optare per una suggestione più intuitiva e sensitiva, ispirata forse all'occhio interno di William Blake, è fortissimo il concetto di compartecipazione e di vicinanza.