Che l'arte non sia lettera morta é più o meno sotto gli occhi di tutti. Ma che anche quel settore particolare che risponde al nome di arte sacra non sia vicino al baratro é cosa più ardua da motivare e di cui rendere ragione. Per i più, dopo i lumi del XVIII secolo e qualche languore Romantico, la ventata delle rivoluzioni XX secolo e ancor di più la spaccatura delle militanti Avanguardie ha fatto piazza pulita di qualsiasi iconografia, messaggio, riferimento alla tradizione, o possibilità stessa di arte sacra. Ma a ben guardare non è così. E se è vero che da un lato la sferzata dell'arte astratta e di quella informale ha dato un contributo alla difficioltà di raffigurare "il Sacro", dall'altro le immani tragedie del XX secolo hanno fatto sembrare ancora più irragiungibile e lontana nel tempo la sola possibilità di poter parlare di arte religiosa.
In vetta – Di questi e di molti altri tempi abbiamo parlato con Laura Marazzi, conservatore del Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte, un museo la cui attuale doppia titolazione riunisce e ricorda l'articolata vicenda
storica che ha interessato il Santuario mariano, il colle varesino e il patrimonio d'arte del barone Baroffio. È infatti del 1883 la proposta di Luigi Bellasio, parroco di Santa Maria del Monte, di istituire un museo in cui raccogliere e conservare i manufatti artistici legati al Santuario del Sacro Monte sopra Varese. L' "uomo giusto" che avrebbe potuto occuparsi dell'allestimento e della conservazione del Museo, venne individuato in Lodovico Pogliaghi già attivo in operazioni di restauro del Santuario e di alcune cappelle situate sul viale di pellegrinaggio.
Ma ben presto sarebbe arrivato anche il secondo protagonista. È del 1928 il testamento olografo con il quale il barone Giuseppe Baroffio Dall'Aglio nomina erede universale del suo patrimonio l'Amministrazione
della Vergine
del Santuario della Madonna del Monte, stabilendo preciso obbligo agli eredi di costruire un museo intitolato al suo nome per raccogliere gli oggetti d'arte della sua collezione. Durante i suoi viaggi, il barone aveva acquistato un cospicuo nucleo di oggetti d'arte: oltre a dipinti di scuola veneta, lombarda e fiamminga, anche argenterie, porcellane e mobili che andarono a comporre una collezione eterogenea e governata da scelte di gusto personale e "romantico". La volontà del barone si coniugò con l'esigenza dell'Amministrazione del Santuario di ampliare gli spazi museali e si concretizzò nel progetto di edificazione ex-novo di un museo che accogliesse i pezzi del lascito Baroffio e la collezione del Museo del Santuario.
Oggi un intero ambiente, la quinta sala del Museo, costituita nel 2001, è interamente dedicata ad opere di arte contemporanea di tema mariano. L'ambiente e il contenuto di questa sala sono stati voluti da monsignor Pasquale Macchi, che ordinò la collezione di arte sacra contemporanea dei Musei Vaticani, inaugurata nel 1973. In quegli anni egli contattò e conobbe personalmente importanti scultori e pittori, i cui capolavori avrebbero formato la sezione di arte sacra contemporanea del Museo Baroffio e del Santuario. Il progetto originario di Macchi, che trova piena e compiuta realizzazione in quest'ambiente, fu quella di porre l'arte di importanti maestri del nostro tempo in rapporto con la ricca produzione artistica che la devozione alla Madonna del Monte ha ispirato nel corso dei secoli. Tra le principali opere si possono ammirare capolavori di Bernard Buffet, Cesare Cattaneo, Domenico Cantatore, Aldo Carpi, Henri Matisse, Mario Radice, Aligi Sassu, Mario Sironi, Vittorio Tavernari, Floriano Bodini e Renato Guttuso.
"Esiste già – conclude la Marazzi – una rete tra musei
con il Bambino
esplicitamente dedicati all'arte sacra contemporanea, tra cui certamente non possono essere taciuti la collezione Lercaro di Bologna e il patrimonio di Villa Clerici a Niguarda. Ora sarà sempre più indispensabile creare tra queste differenti realtà una collaborazione fattiva e maggiore conoscenza. L'Ufficio dei beni ecclesiastici della Diocesi già sta tentando di mettere in contatto realtà simili".
E avviene così che si scopre come la crisi della forma e la ricerca del sacro, la messa in discussione dei temi tradizionali e i nuovi imperativi liturgici abbiano percorso l'arte dell'ultimo secolo come una linfa vitale, un continuo motivo di riflessione e di ispirazione. Gli artisti, credenti e non, hanno continuato a confrontarsi con i temi del sacro, con la stessa, e in qualche caso maggiore, intensità del passato. Queste le parole di un artista contemporaneo, Jean-Michel Alberola, per descrivere l'opera e lo stile di Bacon: "Per me la crocifissione significa levare la croce e guardare soltanto il corpo sofferente, che è quello dell'uomo occidentale. Dopo il 1945, il corpo dell'essere occidentale è totalmente disarticolato. Bacon ha genialmente compreso che il corpo dell'uomo è un sacco di carne. (…) Per me, non si tratta più della crocifissione del cattolicesimo, è semplicemente il corpo dell'uomo occidentale dopo Auschwitz".