di Sergio Pesce
Paris Bordóne, meglio noto con il nome di Paris Bordon, nacque a Treviso nel 1500. Nel 1518, dopo la morte del padre, un famoso sellaio, si trasferì a Venezia forse accompagnato dalla madre Angelica. La sua prima pittura nonostante richiami la compostezza giorgionesca risente del pittore cadorino Tiziano Vecellio che secondo quanto scrisse Vasari fu suo maestro.
Nelle opere eseguite a Crema tra 1525 e il 1526 richiama dei motivi pittorici dell’arte bergamasca. Si pensi alla Pentecoste oggi presente alla Pinacoteca di Brera. Con il tempo si avvicinò sempre con maggior volontà al manierismo aristocratico, quindi internazionale, inserendo sempre architetture scenografiche derivate spesso da Serlio e dipingendo numerosi ritratti.
Con la tela Gli amanti Veneziani del 1525, oggi a Brera, scopriamo un’opera piena di grazia e di intimità che forse meglio di altre, ha saputo tradurre l’incanto dell’innamoramento.
Bordon ritrae un raffinato gioco di seduzione. In una atmosfera di abbandono amoroso, i due personaggi emergono dalla oscurità dello sfondo. L’uomo sfiora con le dita la spalla nuda della donna che gli risponde con un leggerissimo gesto della testa appoggiandosi. I due sembrano sussurrarsi parole dolci. Da notare lo sguardo di lei che con non celata timidezza guarda nel vuoto. Le mani degli amanti si intrecciano tra loro reggendo una catena d’oro, segno del fasto dei ricchi veneziani del Cinquecento, forse una promessa di unione e certamente il centro psicologico del dipinto. La donna ricorda in modo piuttosto evidente le figure femminili di Tiziano riprese poi anche da Paolo Caliari detto il Veronese. La struttura del complesso equilibrio simbolico dei gesti e dei colori sono invece eredità di Giorgione.
Dietro, in penombra, notiamo un terzo personaggio mentre assiste alla scena. Su questa figura maschile si sono formulate varie ipotesi. La critica in particolar modo ha proposto varie interpretazioni. Tra tutte quella di un amico discreto, un rivale, un parente, o persino un amante. Purtroppo il Pittore Trevigiano non svela il mistero. Probabilmente la presenza della catena quale testimonianza di una prossima unione lo individua come possibile testimone di nozze. Nonostante questa chiave di lettura non possiamo non considerare la carica
enigmatica che aggiunge quest’uomo. Sarà proprio questa sua posizione a far si che questa coppia di amanti diventino protagonisti di una delle più belle tele rinascimentali e infine un’opera da celebrare nella Pinacoteca di Brera. A sottolineare il misticismo sentimentale, il pittore ritrae in modo sapiente il rapporto di sguardi dei partecipanti, i quali sono ben cosci di essere guardati. In questo modo si crea un intrigante gioco in cui partecipa anche lo spettatore che rimane legato a questa scena.
Le ambiguità del dipinto, da incentrarsi, come visto, nell’uomo in secondo piano, hanno fatto sorgere alcuni sospetti che la donna ritratta sia in verità una cortigiana. La cosa venne legata alla città libera e mercantile di Venezia che fu dal Cinquecento al Settecento una roccaforte di queste donne. Una importante testimonianze di quanto detto ci viene fornito dallo scrittore Pietro Aretino (1492/1556) nei famosi Dialoghi delle corti. In verità sappiamo ben poco di com’era in realtà l’esistenza di coloro che avevano deciso di guadagnarsi da vivere in questo modo. Nella seconda metà del XVI secolo visse a Venezia Veronica Franco, una fra le più famose rappresentanti di questa corporazione e al tempo stesso celebre letterata. Nelle sue lettere e poesie ci informa anche sui suoi sentimenti. Essa si presenta come una donna intelligente e cordiale, capace di esprimere un’autentica passione per la vita. Osservando il suo ritratto, comparso per la prima volta nel 1576 come antiporta delle sue Terze Rime, notiamo l’eleganza dell’abito particolarmente lavorato che ben si confà all’eleganza del suo volto, e che difficilmente avrebbe potuto distinguersi dalle donne patrizie che allora giravano per la Repubblica Serenissima.
La cortigiana in origine si era già sviluppata come tipo particolare di amore venale già nel tardo Quattrocento, ma con la Controriforma aveva conosciuto una continua decadenza. A Venezia invece esse conservarono la loro fama in tutta Europa fino al Settecento inoltrato. Certo non facevano parte della buona società, ma nemmeno dello strato sociale povero del loro tempo. Dai documenti dell’epoca veniamo a sapere che esse guadagnavano quanto un buon capitano di nave e più del doppio di un mastro artigiano. Molte di queste donne arrivate alla fine della loro attività, avevano risparmiato abbastanza da potersi sposare con una buona dote. Nella loro immagine professionale rientrava anche una certa cultura per intrattenere i ricchi clienti con letture, e dotte conversazioni.
Per lo più sposavano artigiani o mercanti, ma le cronache del primo Cinquecento parlano più di una volta di matrimoni con l’amante patrizio. L’esempio di Veronica Franco ci permette di capire perché lo stato veneziano emanava di continuo leggi e regolamenti sul vestiario che miravano a differenziarle chiaramente dalle donne borghesi e nobili altrettanto ricche. Tali norme nacquero per evitare che i viaggiatori ingenui facessero avance ambigue a donne onorate appartenenti al patriziato. Questa situazione purtroppo permane ancor oggi, quando nel celebre dipinto di Bordon si vuole vedere nella collana d’oro, il pagamento per una futura prestazione sessuale.
Non di rado succede, almeno per i maestri veneziani del Cinquecento, di essere mal interpretati, soprattutto quando il ritratto riguarda la donna. Il caso più noto è probabilmente quello della tela di Vittore Carpaccio conosciuta come Le cortigiane. In questo dipinto sembra che i soggetti ritratti siano in realtà due donne patrizie della famiglia Torelli.
Paris Bordon con la sua opera ci ha permesso, indipendentemente dalla sua volontà, di analizzare il fenomeno delle cortigiane nella ricca Venezia del Cinquecento. Quello che lui ci ha donato è un ritratto attento e profondamente toccante di una coppia, ritratta nel momento di intimità che sancisce la promessa di matrimonio attraverso un oggetto particolarmente pregiato che assieme all’uomo in secondo piano testimonia il loro sentimento. Alcune interpretazioni errate in merito a quest’opera percorrono gli stessi binari logici di quei viaggiatori sprovveduti che usavano fare avance a donne patrizie perché ingannati dai loro abiti sfarzosi.