1895-1955. E’ racchiusa in questi 60 anni la storia del tram di Varese. Un racconto che Paolo Ricciardi conosce bene, avendola ricostruita pezzo per pezzo, grazie alla sua curiosità, agli aneddoti raccolti, allo sbalorditivo materiale video e fotografico saccheggiato qua e là e mostrato nella serata che ha aperto ufficialmente la nuova stagione del Caffé degli Alpini, organizzata da Bruno Vigoni insieme all’associazione Varesevive. Sala gremita, occhi lucidi, mormorii e ricordi incrociati davanti al cospetto di quelle immagini, logore, sdrucite e lontane. E proprio per questo toccanti. Per quelle mura, quelle piazze, quei selciati, quelle valli che ancora oggi ci parlano, tentando di tramandare una pagina troppo presto strappata.
Costruita pezzo per pezzo, nell’arco di qualche decennio, la tranvia vide il suo primo tratto tra la città e la Prima Cappella. Poi puntò sulla sorgente del Vellone, incontrando le funicolari per arrampicarsi al Campo dei Fiori. Nel 1903 lo sguardo volse più in là, verso Luino. La linea cominciò a farsi largo nel cuore della Valganna, attraverso Induno raggiunse Ghirla, per poi a sdoppiarsi. Una parte diretta alla città di Piero Chiara. Un’altra verso Ponte Tresa. Nel frattempo, il tratto varesino si ramificava: Masnago, Bizzozero, Bobbiate ma anche più a sud, verso Azzate. Mentre un troncone più marcato faceva rotta su Angera. Nel 1940, complici la guerra i costi sempre meno sostenibili e la lenta ma inesorabile diffusione dell’auto, cominciò il graduale smantellamento. Metro per metri, la tranvia venne ridotta, limata e infine cancellata.Il decesso dell’opera porta la fatidica data del 31 Agosto 1953, ma in sala c’è chi ricorda molto bene le ultime corse, tra Sant’Ambrogio e centro storico, proseguite fino al ‘55. In mezzo, ci sono quegli straordinari sessant’anni: di vita, di cambiamenti, di lavoro, di spostamenti continui, sempre più rapidi, sempre meno romantici: la provincia, nata nel ‘27, si irrobustiva, cresceva, costruiva imprese, negozi, ricchezza e anche turismo, parola chiave di oggi e già allora, pur coi distinguo del caso, particolarmente vivace, complice l’imponenza degli hotel più lussuosi e la vicinanza con una Milano che qui, in riva al lago, trovava pace e refrigerio. Senza tralasciare parentesi pittoresche e un po’ macabre, come il servizio funebre, garantito dal tram con tariffe significative: gratis per i sacerdoti, a pagamento per i parenti del defunto. Come tutte le favole, anche quella del tram ha un inizio e una fine. Spiace solo constatare quanto Varese, nei primi anni Cinquanta, si sia mossa in maniera tristemente alternativa e francamente miope.
Mentre le principali città italiane tenevano strette le proprie tranvie e i teatri sociali, il nostro capoluogo vedeva bene di sacrificare la prima e abbattere il secondo. Rendendosi conto troppo tardi che il progresso si costruisce migliorando, non distruggendo. E allora, per chiudere il libro dei ricordi, vale soprattutto quell’ultimo gesto, tratto da uno splendido filmato del professor Grancini, medico oculista che balzò sul tram per immortalarne il tramonto. Ultima corsa, giù il cappello. Un pezzo di Storia saluta Varese. Per non tornare più.
Matteo Inzaghi