«Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Magdala e l'altra Maria» (Matteo, 27, 57-61). Fra le tante opere d'arte che hanno cercato di rappresentare la deposizione del corpo di Cristo, certamente uno dei momenti più drammatici della passione, i dipinto del Caravaggio è forse quello che riesce a rendere meglio la dolorosa atmosfera dell'abbandono, e il dolore dei personaggi raccolti intorno al corpo del Messia. L'opera fu realizzata dal Merisi tra il 1602 e il 1604 su commissione del nipote di Pietro Pittrice, Guardarobiere di Papa Gregorio XIII, per la cappella della Chiesa Nuova. Il dipinto fece poi parte del bottino francese nel 1797 e portato a Parigi. Tornerà in Italia solo nel 1815 ed entrerà nelle collezioni vaticane. Questa fu una delle pochissime opere pubbliche di Caravaggio a suscitare unanimi consensi, probabilmente grazie agli aperti riferimenti ai modelli antichi e cinquecenteschi, e tra questi, come ha suggerito Mina Gregori, alla Deposizione di Raffaello.
Lo scorso giovedì 14 marzo ai Musei Vaticani si è tenuta una interessante conferenza dal titolo "La Deposizione di Caravaggio. Il Messaggio svelato", nel corso della quale il prof. Antonio Paolucci, il prof. Ulderico Santamaria ed il dott. Fabio Morresi hanno svelato, grazie ad una campagna di ricerche scientifiche mirate alla conoscenza dell'opera, particolari e soluzioni prospettiche difficilmente visibili ad occhio nudo.
Proprio per approfondire queste tematiche il Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro ha messo a punto una mirata campagna di ricerche scientifiche. Si è deciso di basare questo studio utilizzando esclusivamente tecniche diagnostiche non distruttive, che quindi, non necessitano prelievi di materiale dall'opera. In particolare si sono utilizzate tecniche di diagnostica per immagini ed analisi dei pigmenti mediante fluorescenza con raggi X. Nella scelta delle tecniche analitiche si è impostato il lavoro di ricerca cercando di approfondire lo studio partendo dagli strati più esterni del dipinto sino ad arrivare agli "elementi" costitutivi più profondi. Una sorta di scavo archeologico per mettere in luce tutte le vicissitudini che l'opera ha subito nel tempo e per seguire a ritroso la creazione del dipinto: dalla vernice esterna, ai pigmenti, alla
preparazione sino ad arrivare alla tela di supporto.
Le analisi per immagini selezionate sono: ripresa in fluorescenza ultravioletta indotta, infrarossi in falsi colori, riflettografia infrarossa a varie lunghezze d'onda e radiografia. Questa lista rispetta anche l'ordine stratigrafico di approfondimento e di penetrazione nella materia del dipinto. Infatti le radiazioni ultraviolette si fermano agli strati superficiali della vernice; gli infrarossi in falsi colori arrivano alla pellicola pittorica; la riflettografia permette di giungere sino all'eventuale disegno preparatorio mentre la radiografia oltrepassa tutti gli strati compresa la tela di supporto.
Tutta la diagnostica per immagine è stata eseguita con la tecnica dello stitching, cioè eseguire una serie di scatti ravvicinati dell'opera per poi ricomporre l'intero dipinto. Questo consente di avere una risoluzione finale molto alta che risulta fondamentale per lo studio delle opere d'arte. Questo nuovo studio, più approfondito e con tecniche analitiche più moderne rispetto a quello che si era potuto fare nell'ultimo intervento di restauro, ha permesso di svelare particolari e soluzioni prospettiche difficilmente individuabili ad occhio nudo.
Dal punto di vista del colore, è stata confermata ed evidenziata la presenza e l'alta qualità del blu lapislazzuli nel manto della Vergine. Una lacca organica è stata impiegata nelle velature che danno vita all'incarnato delle figure, tranne che nel corpo esangue del Cristo morto. Riguardo la "questione disegno" sono stati trovati dei tratti, non vero e proprio disegno. La studiosa Silvia Danesi Squarzina, presente in conferenza, ha prospettato l'ipotesi di un'esecuzione a memoria di determinate figure, replicate in dipinti differenti o in differenti redazioni della stessa opera.
Ma, senza dubbio, i risultati più interessanti sono la scoperta di una struttura iconografica più complessa di quella visibile a occhio nudo. Si è infatti potuto documentare la presenza della porta della tomba di Cristo posta all'estrema sinistra del dipinto. Questa si presenta di forma rettangolare e sull'architrave sono ben evidenti le strutture architettoniche che lo compongono. Molto evidente, in questa lunghezza d'onda è la pianta di fico posta dietro le figure e la bellissima capigliatura del Cristo.