Ratatuia - Cultura e Contaminazioni Archivi - ArteVarese.com https://www.artevarese.com/categoria/arte/ratatuia-cultura-e-contaminazioni/ L'arte della provincia di Varese. Wed, 11 May 2022 08:20:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 https://www.artevarese.com/wp-content/uploads/2017/05/cropped-logo-1-150x150.png Ratatuia - Cultura e Contaminazioni Archivi - ArteVarese.com https://www.artevarese.com/categoria/arte/ratatuia-cultura-e-contaminazioni/ 32 32 Memoria olfattiva e arte https://www.artevarese.com/memoria-olfattiva-e-arte/ https://www.artevarese.com/memoria-olfattiva-e-arte/#respond Wed, 11 May 2022 10:30:15 +0000 https://www.artevarese.com/?p=65564 Busto Arsizio – Nella nostra società si tende a sottovalutare la potenza dell’olfatto, un senso così importante da far scrivere a Calvino nella raccolta di racconti Sotto il sole giaguaro: “L’ odore ti dice senza sbagli quel che ti serve sapere, non ci sono parole né notizie più precise di quel che riceve il naso”. […]

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Busto Arsizio – Nella nostra società si tende a sottovalutare la potenza dell’olfatto, un senso così importante da far scrivere a Calvino nella raccolta di racconti Sotto il sole giaguaro: “L’ odore ti dice senza sbagli quel che ti serve sapere, non ci sono parole né notizie più precise di quel che riceve il naso”.

Sembrano esserne convinti, tra le felici eccezioni, in Spagna al Museo del Prado di Madrid dove fino al prossimo 3 luglio sarà possibile visitare e “annusare” una mostra olfattiva, La esencia de un quadro. Una exposicion olfativa. La mostra, che non è il primo esperimento in questa direzione, propone ai visitatori di annusare dieci fragranze tutte ricavate partendo da elementi raffigurati nell’opera Senso dell’olfatto, realizzata tra il 1617 e il 1618 dai pittori fiamminghi Jan Brueghel il Vecchio e Peter Paul Rubens. Lo scorso anno il Museo Mauritshus dell’Aia ospitò la mostra Fleeting. Scent in colour, un percorso espositivo in cui le opere erano accompagnate da fragranze create appositamente per offrire ai visitatori un’ intensa esperienza multisensoriale. E’ di questi giorni anche la notizia che, attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, si sta cercando di ricostruire odori risalenti al 1500 e all’inizio dell’Età Moderna.

Erich Berghammer: aromajockey tra musica e profumi
Vive in Olanda Erich Berghammer l’artista austriaco, graphic and scent designer, conosciuto anche come aroma jockey ODO7 che ha inventato le scented clubbing, ovvero discoteche “profumate” e dj set aromatizzati a seconda della musica proposta. Un concetto che nel tempo si è esteso alla capacità di tradurre durante gli eventi, non solo musica, ma anche video, azioni e temi in fragranze odorose. Berghammer ha così sintetizzato la sua esperienza: “La più grande ispirazione per me è stata comprendere che il profumo era un mezzo quasi completamente ignorato. Solo poche menti creative in tutto il mondo avrebbero potuto considerare il profumo come un’area di espressione artistica. Ho iniziato progettando tre fragranze per un concerto. Naturalmente prima di presentare in pubblico il mio lavoro ho testato le fragranze abbinandole alla musica. Nel momento in cui ho annusato i profumi erano in perfetta armonia con la note e ho capito che proprio il profumo sarebbe stato il mio mezzo di comunicazione futuro.”

Primordiale, ma non primitivo
E dopo secoli di tentativi di coprire e cancellare gli odori ecco che l’olfatto torna alla ribalta perché questo senso influenza la vita quotidiana e il cervello determinando il nostro orientamento nel mondo. Spesso anche salvandoci dai pericoli. Il nostro modo di interagire con gli oggetti che ci circondano non è dato dalla vista: l’impulso con cui entriamo in relazione con essi è dato dall’odore che annusiamo nell’aria. Secondo numerosi studi scientifici è il naso a suggerire al cervello come comportarsi trasferendo le informazioni alle mani al punto che quando vista e olfatto sono, per così dire, in disaccordo il secondo non cede alla prima e il cervello cerca e trova un compromesso per agevolare l’azione più efficace.

“ …Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime a ricordare , ad attendere, a sperare sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo.”

Marcel Proust

M. Giovanna Massironi

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Curiamoci con l’arte https://www.artevarese.com/curiamoci-con-larte/ https://www.artevarese.com/curiamoci-con-larte/#respond Wed, 27 Apr 2022 12:30:02 +0000 https://www.artevarese.com/?p=65329 Busto Arsizio – Mai come in questo ultimo periodo abbiamo avuto necessità di volgere lo sguardo alla bellezza che, la scienza lo dimostra, non è un concetto astratto, ma affonda le sue radici in una particolare area del cervello preposta all’elaborazione delle emozioni. Gli studi condotti da Semir Zeki, padre della neuroestetica ci consentono di […]

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Busto Arsizio – Mai come in questo ultimo periodo abbiamo avuto necessità di volgere lo sguardo alla bellezza che, la scienza lo dimostra, non è un concetto astratto, ma affonda le sue radici in una particolare area del cervello preposta all’elaborazione delle emozioni. Gli studi condotti da Semir Zeki, padre della neuroestetica ci consentono di parlare di “neurobiologia della bellezza”.

Cosa proviamo osservando un magnifico dipinto oppure ascoltando della bella musica? Durante una ricerca del Laboratorio clinico di neuro riabilitazione sperimentale della Fondazione Santa Lucia di Roma sono stati analizzati i meccanismi cerebrali che stanno alla base di ciò che sentiamo quando siamo al cospetto della bellezza. Ebbene tale esperienza si accompagna sempre all’attività specifica di un’area del cervello dove le nostre emozioni vengono elaborate: più intensa è l’esperienza del bello e più intensa è l’attività registrata. Ne consegue che l’arte è in grado di muovere e suscitare emozioni così potenti da lenire “i dolori dello spirito”. Un gruppo di specialisti canadesi ha definito l’arte e il piacere che ne deriva, un vero e proprio “farmaco emozionale”. Ne sono così convinti che, dopo, aver siglato un accordo, con il Museo delle Belle Arti di Montreal prescrivono, oltre a cure farmacologiche, visite per ammirare le opere di artisti come Brughel, Rembrant e Matisse perché visitare una mostra migliora, è certo, notevolmente il nostro stato d’animo.

Il caso dell’ospedale cantonale di Aarau
In Svizzera, come nel nostro paese, molti ospedali e molte cliniche private hanno quadri importanti appesi alle pareti o espongono talvolta delle estemporanee di artisti. L’ospedale cantonale di Aarau possiede invece una vera e propria collezione di oltre 3.000 pezzi che si arricchisce di anno in anno. Ma sicuramente la cosa che rende interessante e, per certi versi unico, l’ospedale svizzero sono le mostre che si tengono al suo interno e che ospitano artisti professionisti contemporanei. Inoltre, in ogni camera dei pazienti è presente un’opera che, se anche non sempre incontra i gusti del paziente, aiuta a spostare lo sguardo dalla malattia. La collezione è nata a partire dagli anni Cinquanta quando molti direttori e medici hanno iniziato a regalare opere delle loro collezioni private all’ospedale. Nel tempo al primo nucleo di opere si sono aggiunti affreschi, mosaici, vetrate e sculture fino a quando l’ospedale stesso ha iniziato a commissionare grandi opere d’arte. Dal 2008 l’artista indipendente Sadhyo Niederberger, che dal 1989 è impegnata in progetti interculturali e multidisciplinari, lavora come responsabile dell’arte nell’ospedale di Aarau occupandosi delle opere qui custodite e dell’organizzazione di eventi culturali.

Non solo fruirla ma anche farla: arte come terapia espressiva
L’arte fa bene non solo quando la si osserva, ma anche quando la si fa. L’espressione artistica fornisce nuovi modi di comunicazione laddove altri, come la parola, si siano rivelati insufficienti ad esprimere emozioni, soprattutto in momenti di difficoltà esistenziale. Attraverso l’arteterapia vengono valorizzati altri canali comunicativi, il pensiero divergente viene sollecitato e le capacità creative sono potenziate. Sappiamo quanto sia antico e profondo il legame tra narrazione e immagine: lo stesso Freud lo aveva sottolineato in Saggi dell’arte e della letteratura (1910) a proposito dei pittogrammi degli antichi Egizi e l’arte terapia, utilizzando il linguaggio diretto delle immagini, apre una finestra sul nostro mondo psichico, sui problemi e sulle esperienze dandoci la possibilità di esplorare in modo diverso i nostri pensieri. Possiamo dire che, attraverso le terapie espressive il processo di trasformazione che avviene dentro di noi, si rende visibile e tangibile proprio nel “ manufatto artistico”. Grazie all’arte possiamo tornare a modalità espressive e sensoriali dell’infanzia: manipolazione, pittura, colori, collage. Questo fa sì che si possano attivare memorie legate ai primi anni di vita ma anche a problematiche del vissuto attuale di cui non si è pienamente consapevoli, permettendo alla nostra mente di aprire una porta sull’inconscio.

M. Giovanna Massironi

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Il culto dei fiori https://www.artevarese.com/il-culto-dei-fiori/ https://www.artevarese.com/il-culto-dei-fiori/#respond Fri, 15 Apr 2022 07:00:06 +0000 https://www.artevarese.com/?p=65185 Busto Arsizio – Fin dalla più remota antichità i fiori sono stati oggetto di ammirazione, una passione che esprime nobiltà di sentimenti e amore profondo per quel mistero di bellezza che in natura si riproduce e si moltiplica costantemente. I fiori furono coltivati da che si ha memoria e traccia dell’esistenza umana. Omero descrive i […]

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Busto Arsizio – Fin dalla più remota antichità i fiori sono stati oggetto di ammirazione, una passione che esprime nobiltà di sentimenti e amore profondo per quel mistero di bellezza che in natura si riproduce e si moltiplica costantemente. I fiori furono coltivati da che si ha memoria e traccia dell’esistenza umana.

Omero descrive i giardini di Alcinoo, ovvero di colui che ospitò Ulisse durante il suo avventuroso viaggio. Di re Salomone possiamo sapere che “ piantò orti e giardini, mise ogni specie di piante e formò delle peschiere per innaffiare la selva dei giovani arboscelli” (Eccl., Cap. II/I). Di Babilonia conosciamo le famose descrizioni dei giardini aerei della regina Semiramide, una delle sette meraviglie del mondo antico. Anche Ninive, la più famosa delle capitali dell’Assiria, invitava gli stranieri nei suoi giardini e di Damasco si dice che fosse ricca di profumatissime rose. I Cinesi, dal canto loro, possedevano magnifici giardini in cui i chioschi dei fiori si alternavano con decorazioni di porcellana e dipinti di grande valore.

Ebrei, Greci, Romani e una passione comune
Le Sacre Scritture sono piene di allusioni alla coltivazione dei fiori presso gli Ebrei. I Greci, che erano tra i migliori coltivatori, avevano fiori di una bellezza unica che usavano anche per circoscrivere il perimetro dei ginnasi dove i giovani si esercitavano nella lotta. Gli stessi Greci amavano discutere e interrogarsi sulle più disparate questioni filosofiche proprio tra i fiori. Platone insegnava ai suoi discepoli in un giardino quando i giardini erano considerati boschi sacri dove gli oracoli davano responsi. E in quel mondo ogni Tempio era adorno di fiori. Celebri furono anche i giardini di Roma, costruiti ad imitazione di quelli di Babilonia, e celeberrimi i giardini di Nerone, luoghi in cui si potevano ammirare opere d’arte, preziosissimi marmi, colonne e fontane con i loro chioschi. Molti patrizi in quell’epoca dormivano su letti di rose; Lucullo desiderava che i petali di rosa con cui veniva allestito il suo letto fossero tutti bucati da uno spillo affinché potessero più facilmente sprigionare il loro profumo. Tiberio camminava su tappeti floreali vere e proprie “infiorate” che ricoprivano i pavimenti della sua casa e durante una festa data da Nerone a Capri tutto il golfo di Napoli fu cosparso di fiori al punto che le acque, abitualmente azzurre, presero il colore dei petali.

Paese che vai…
Gli Indiani attribuivano ad ogni pianta una virtù segreta; gli Egiziani veneravano i fiori del papiro e del loto, la cui corolla sbocciava sulle acque del Nilo il fiume fecondatore delle loro terre. I Cinesi facevano uso dei fiori in ogni cerimonia religiosa mentre i Giapponesi davano delle feste in occasione della fioritura dei crisantemi, fiori nazionali. I greci dedicarono ciascun fiore ad ognuna delle loro divinità, come il giglio a Giunone, il mirto a Venere e il papavero a Morfeo.

Poeti, pittori, letterati di tutti i tempi e di tutti i paesi si sono lasciati ispirare dalla loro bellezza ed hanno dedicato loro grandi opere d’arte. Il Principe di Condè, prigioniero, dedicava tutto il suo tempo alla coltivazione dei garofani, intorno ai quali scrisse anche un trattato. Leopardi, Manzoni, Mazzini, Verdi si dilettarono di piante trascorrendo molto del loro tempo prendendosene cura. E noi non possiamo che dirci fortunati di vivere in quello che è universalmente conosciuto come “il Giardino d’Europa”.

Quanti fiori decadono nel bosco
o periscono dalla collina,
che la loro bellezza non ebbero
in sorte di conoscere
e quanti affidano un seme senza nome
a una brezza vicina,
ignari del dono scarlatto
che recherà ad altri occhi.

Emily Dickinson

 

 

M. Giovanna Massironi

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Odessa la perla del Mar Nero https://www.artevarese.com/odessa-la-perla-del-mar-nero/ https://www.artevarese.com/odessa-la-perla-del-mar-nero/#respond Wed, 06 Apr 2022 12:00:50 +0000 https://www.artevarese.com/?p=65050 Busto Arsizio – Salita drammaticamente alla ribalta in quest’ultimo periodo e ancor più in queste ultime convulse ore, Odessa è una città storica dell’Ucraina, famosa in tutto il mondo per lo splendore dei suoi monumenti ottocenteschi e delle sue incantevoli spiagge, così belle da farle guadagnare il titolo di perla del Mar Nero. La maggior […]

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Busto Arsizio – Salita drammaticamente alla ribalta in quest’ultimo periodo e ancor più in queste ultime convulse ore, Odessa è una città storica dell’Ucraina, famosa in tutto il mondo per lo splendore dei suoi monumenti ottocenteschi e delle sue incantevoli spiagge, così belle da farle guadagnare il titolo di perla del Mar Nero. La maggior parte di noi la ricorda anche per la famosa scena del film La corazzata Potemkin del regista lettone di nascita ma russo di adozione, Sergej Ejzenstejn. In quei fotogrammi i soldati dello zar, chiamati a reprimere la rivolta dell’equipaggio, scendono l’enorme scalinata che dal mare conduce alla Città schierati su diverse file e con le baionette puntate contro la popolazione inerme. Tutti la ricordano, ma forse non tutti sanno che quella scalinata, resa famosa dal film e realizzata dall’inglese Upton tra il 1837 ed il 1841, fu progettata dall’architetto italiano Francesco Boffo.

Le origini Italiane: una città coloratissima, innamorata della bellezza, della cultura e della libertà

Sicuramente favorita dalla sua posizione geografica e dall’ampio entroterra in cui sfociano diversi fiumi, tra i quali il Danubio, Odessa nel suo intenso seppur breve passato è stata una città cosmopolita e multiculturale, importante crocevia tra oriente ed occidente, porto cruciale dell’impero russo e luogo di grande interesse per artisti e letterati, ma soprattutto italiana di nascita. Le prime incursioni italiane in quei territori risalgono al Duecento, quando Genova ed i genovesi stabilirono proprio lì un loro avamposto navale chiamato Ginestra. Il primo insediamento ufficiale risale però al 1794, quando il napoletano di origini spagnole Giuseppe de Ribas rinominò un villaggio locale, Khadjiebev, in Odesso trasformato in seguito in Odessa per volere della zarina Caterina II. A metà dell’Ottocento, nel periodo della sua massima espansione, la colonia italiana contava oltre tremila abitanti: cartelli stradali, documenti, passaporti e atti giudiziari erano scritti in italiano, considerata da tutti la lingua degli scambi commerciali. Anche numerosi palazzi storici della città di Odessa furono progettati e costruiti da architetti Italiani. Odessa ebbe il soprannome di piccola Napoli. De Ribas per favorire lo sviluppo la Città chiamo a sé dall’Italia uomini illustri ed istruiti: ingegneri, architetti, insegnanti capaci di far crescere e prosperare le attività del porto. La presenza italiana in quelle terre influenzò non solo l’archittettura e l’economia, ma anche la gastronomia e la cultura tutta, sino al punto che sul finire del diciannovesimo secolo la Città adottò l’italiano come seconda lingua ufficiale. Probabilmente non tutti sanno che la famosissima canzone napoletana “O sole mio” simbolo universale dell’italianità e dell’identità partenopea fu scritta da Edoardo di Capua nel 1898 proprio ad Odessa. Noi oggi, e probabilmente tutto il mondo, siamo attoniti di fronte a quel che sta accadendo in questo luogo ricco di storia e meraviglia e guardiamo al suo destino con il fiato sospeso per la terribile minaccia di distruzione e morte che incombe sui suoi cieli.

“Il sole splendeva nel cielo come la lingua rossa di un cane assetato,
un mare possente schiumava lontano contro Peresyp,
gli alberi delle navi lenti oscillavano sull’acqua smeraldina nel golfo di Odessa.
Il giorno sedeva in una barchetta colorata,
il giorno navigava verso la sera, e verso sera, solo alle cinque,
tornò Liubka dalla Città”.
Racconti di Odessa Isaak Babel (1894 – 1940)

 

M. Giovanna Massironi

 

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Guernica dell’umanità dolente https://www.artevarese.com/guernica-dellumanita-dolente/ https://www.artevarese.com/guernica-dellumanita-dolente/#respond Wed, 23 Mar 2022 13:00:40 +0000 https://www.artevarese.com/?p=64888 Busto Arsizio – Non c’è opera più drammaticamente famosa e attuale della Guernica di Pablo Picasso, la moderna Pietà che rappresenta gli orrori della guerra civile spagnola, ma che è il simbolo della natura infernale di tutte le guerre. Un orrore a cui assistiamo quotidianamente attraverso le immagini che gli schermi dei nostri dispositivi ci […]

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Busto Arsizio – Non c’è opera più drammaticamente famosa e attuale della Guernica di Pablo Picasso, la moderna Pietà che rappresenta gli orrori della guerra civile spagnola, ma che è il simbolo della natura infernale di tutte le guerre. Un orrore a cui assistiamo quotidianamente attraverso le immagini che gli schermi dei nostri dispositivi ci rimandano fornendoci un racconto raccapricciante di quanto possa essere spaventoso e crudele un conflitto armato che colpisce uomini, donne, bambini e i loro animali inermi e innocenti nella immensa fragilità del quotidiano. Una guerra di potere che non si combatte tra eserciti, ma che scatena tutta la sua violenza sulla popolazione civile distruggendo ogni cosa.

Anni spaventosi ed eroici
Nel quadro di Picasso è rappresentato il lato più crudele e spaventoso della Storia, è la narrazione del bombardamento della città di Guernica avvenuto in Spagna nel 1937 durante la guerra civile, durata due lunghissimi anni, e rappresenta uno degli episodi più famosi e cruenti del conflitto. E’ la sera del 26 aprile 1937 quando la legione Condor della Lutwaffe ( la storica aviazione militare tedesca) scarica tonnellate di bombe incendiarie sulla città basca di Guernica. Si tratta di un atto intimidatorio nei confronti della resistenza al regime del generale Francisco Franco che tuttavia miete migliaia di vittime tra la popolazione civile della cittadina. E’ il collaudo degli aerei Junker che Hitler pensa di utilizzare per attaccare l’Europa. Di fatto è il massacro di oltre duemila persone.

La denuncia degli intellettuali: Pablo Picasso
Furono molti gli intellettuali che in quel periodo risposero all’appello dei repubblicani spagnoli per denunciare l’orrore della guerra. Tra questi Pablo Picasso che in quel momento viveva a Parigi e già era un artista di fama internazionale. Picasso realizza un dipinto immenso, e per dimensioni e per contenuto espressivo, schierandosi apertamente contro Francisco Franco. Guernica è un quadro di enorme potenza, concepito come manifesto universale contro la brutalità e la forza cieca delle guerre. Una tela monocromatica che enfatizza la tematica luttuosa rappresentata e dove nessun racconto può reggere alla efficacia espressiva delle immagini. Una dimensione talmente potente da coinvolgere anche chi guarda facendolo diventare e sentire parte integrante del dramma rappresentato.

La guerra che entra nelle nostre case
Le guerre del ‘900 portarono questa terribile novità: non si combatteva più tra eserciti di professione ma le nuove armi e i nuovi mezzi a disposizione dell’uomo resero possibile una guerra estesa anche alla popolazione civile, colpita nelle proprie case, proprio là dove ci si illudeva di essere al sicuro e protetti. Lo spazio descritto da Guernica è proprio un interno sventrato dai bombardamenti: una madre con un bambino morto in braccio, moderna pietà, un toro, un uomo caduto, un cavallo urlante, due donne, un uomo che si trascina ferito. Anche gli animali domestici sono rappresentati come i compagni fedeli dell’uomo che ne condividono il tragico destino. Una tragedia che si consuma nel quotidiano, violato e sconvolto, preso e compreso in tutta la sua immensa fragilità. Le bombe cadono, sconquassano e distruggono. Il dolore che viene rappresentato è urlato scomposto come solo un evento così violentemente improvviso e senza via di fuga, può provocare.

Un messaggio senza tempo
Guernica resta un messaggio senza tempo che oggi acquista tutta la sua drammatica attualità. Un racconto che pur essendo immerso nella Storia e legato alle sue vicende è un appello alle coscienze, una testimonianza viva e bruciante, una richiesta di essere nel mondo e non voltarsi dall’altra parte. Sull’esempio di Picasso, di Eluard, di Orwell, di Hemingway e di tanti altri sconosciuti che hanno lottato e testimoniato per noi.
Picasso fece dono dell’opera al suo Paese ma non volle che Guernica ritornasse in Spagna fino al momento in cui fossero state ripristinate democrazia e libertà. Pablo Picasso muore nel 1973, Franco nel 1975. Il 10 ottobre del 1981 Guernica arriva a Madrid dove viene collocata nel Casòn del Buen Retiro e nel 1992 viene definitivamente trasferita nel Centro de Arte Reina Sofia.

…Ogni morte d’uomo mi diminuisce
perché io partecipo all’umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
essa suona per te.
John Donne

M. Giovanna Massironi

 

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Il linguaggio del corpo https://www.artevarese.com/il-linguaggio-del-corpo/ https://www.artevarese.com/il-linguaggio-del-corpo/#respond Fri, 11 Mar 2022 09:00:00 +0000 https://www.artevarese.com/?p=64732 Busto Arsizio – il linguaggio del corpo è misterioso e potente. Conoscerlo è importante per aumentare la capacità di comprendere i nostri simili e i loro comportamenti. Soprattutto quelli silenziosi. Secondo alcuni studi condotti in passato sull’argomento, il 93% delle comunicazioni tra persone avviene attraverso segnali non verbali. Altre ricerche hanno un po’ aggiustato il […]

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Busto Arsizio – il linguaggio del corpo è misterioso e potente. Conoscerlo è importante per aumentare la capacità di comprendere i nostri simili e i loro comportamenti. Soprattutto quelli silenziosi. Secondo alcuni studi condotti in passato sull’argomento, il 93% delle comunicazioni tra persone avviene attraverso segnali non verbali. Altre ricerche hanno un po’ aggiustato il tiro in questa direzione, ma sicuramente è possibile affermare senza correre il rischio di essere smentiti che il linguaggio del corpo è la più importante forma di comunicazione silenziosa che ci è dato di possedere. Sappiamo quanto la comunicazione verbale possa essere spesso ingannevole: si può infatti dire qualcosa e nel contempo intenderne una completamente diversa o addirittura si possono ingannare deliberatamente gli interlocutori mentendo in modo consapevole. Risulta invece molto più difficile ingannare qualcuno attraverso i segnali che il nostro corpo invia inconsapevolmente proprio perché involontari. E’ evidente che chi sa leggere questi messaggi ha un vantaggio in più rispetto a chi non è in grado di decifrarli perché può adattarsi allo stato emotivo di chi ha di fronte e creare un clima più favorevole alla conversazione. Questo è un vantaggio che influisce positivamente sulla vita di relazione, sia in ambito professionale che in ambito familiare e privato. Sapere usare il proprio corpo per comunicare è utile anche per rendere più incisivi i messaggi verbali che vengono così rafforzati generando una impressione di chiarezza, sincerità e sicurezza di sé. Quante volte abbiamo pensato : “ le labbra dicono una cosa, ma gli occhi esprimono altro.”! E’ evidente che quando i due linguaggi risultano comunicare armoniosamente tra di loro il nostro messaggio risulterà più efficace e credibile.

Viso, gesti e postura
La mimica facciale, i nostri gesti e la nostra postura sono solitamente l’espressione immediata e diretta dei sentimenti che proviamo perché la maggior parte di questi segnali viene inviata inconsciamente e questo succede soprattutto in quei momenti emotivamente molto significativi, in cui diventa praticamente impossibile evitarlo.

Occhi che parlano
Se uno dei segnali mimici più importanti è di certo il sorriso che esprime immediatamente una comunicazione aperta all’esterno, le emozioni sono, per la maggior parte, trasmesse attraverso gli occhi e solo amplificate dalla bocca e dai tratti del viso. Le pupille, in particolare, sono rivelatrici di moltissime cose proprio perché i loro movimenti non possono essere controllati in modo consapevole. Appaiono dilatate in presenza di gioia ed emozioni positive, si restringono quando si ha paura e si provano sentimenti di disgusto.

Alexander Lowen: una lettura per approfondire
Abbiamo compreso quanto sia importante per le nostre relazioni, e non solo, saper decodificare il linguaggio silenzioso di chi ci sta di fronte. Ma anche leggere i segnali del nostro stesso corpo può essere utile a comprendere il profondo legame tra emozioni e fisicità e aiutarci in quei momenti di difficoltà in cui i mezzi che abbiamo a disposizione sembrano essere insoddisfacenti. A tal proposito per completare le nostre argomentazioni, che come sempre offrono un mero spunto di riflessione, suggeriamo la lettura del volume Il linguaggio del corpo di Alexander Lowen, autore che ci guida alla lettura dei codici silenziosi e dei messaggi che il nostro corpo lancia trascendendo l’espressione verbale. L’osservazione delle reazioni corporee e delle emozioni a esse collegate può diventare uno strumento altrettanto valido dei sogni, dei lapsus e della libera associazione di idee e pensieri, fornendo un importante e valido supporto anche all’attività e alla pratica psicanalitica.

M. Giovanna Massironi

 

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Boho style https://www.artevarese.com/boho-style/ https://www.artevarese.com/boho-style/#respond Thu, 03 Mar 2022 08:00:34 +0000 https://www.artevarese.com/?p=64605 Busto Arsizio – Non si può non restare affascinati da questa tendenza che forse, tra tutte, è quella che ha le origini più romantiche. Spontaneità e niente regole contraddistinguono lo stile boho che si riconosce dal tocco armoniosamente wild che abbina tra loro colori e epoche differenti, indumenti, accessori e texture di diversa provenienza all’insegna […]

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Busto Arsizio – Non si può non restare affascinati da questa tendenza che forse, tra tutte, è quella che ha le origini più romantiche. Spontaneità e niente regole contraddistinguono lo stile boho che si riconosce dal tocco armoniosamente wild che abbina tra loro colori e epoche differenti, indumenti, accessori e texture di diversa provenienza all’insegna di una creatività libera, rilassata e mai banale.

Alle origini era la ribellione
Lo stile boho fa la sua comparsa nella Francia del secondo Impero, nel quartiere latino. Nasce come reazione al sistema di regole stabilite e imposte dalla borghesia capitalista di quell’epoca. Artisti, intellettuali e scrittori si ispirano ai valori e allo stile di vita dei nomadi provenienti dall’ Europa orientale, e più precisamente dalla Boemia. Una ribellione, ma anche una scelta dettata dalla necessità e dalle difficoltà economiche degli artisti che verso la metà del diciannovesimo passeranno il testimone ai loro colleghi Romantici. Lo spirito boheme con il suo tocco rustico e artigianale ritornerà più vivo che mai negli anni Sessanta, con i giovani di allora protagonisti delle proteste contro la guerra e della nuova spinta ecologista portata alla ribalta dal movimento hippie. Pensare boho significa avere davanti agli occhi l’indimenticabile concerto di Woodstock, l’equivalente del Coachella per i millennial, che ha segnato un’epoca diventandone un’icona. Oggi, dopo che molti artisti lo hanno adottato come stile di vita ha una nuova connotazione più chic e glamour, decisamente meno naif di quella hippie degli anni Settanta.

Il boho chic degli anni duemila
Kate Moss e Senna Miller furono le pioniere di questa tendenza sin da quando iniziarono a portare stivali scamosciati, cappelli da cowboy e a vestirsi con abiti larghi e svolazzanti mettendosi a tracolla borse oversize mentre facevano sfoggio di gioielli etnici. Il termine boho chic nasce proprio negli anni Duemila quando diventa un trend nell’ambito della moda contagiando di lì a poco anche il mondo dell’arredamento. Suggestioni etniche si mescolano a elementi mutuati dello stile Far West, con immancabili richiami al mondo hippie; un trionfo di colori e fantasia dove non esistono regole precise ed è possibile dare libero sfogo alla creatività di ciascuno: parola d’ordine mix and match per mescolare tra loro materiali e ispirazioni in modo assolutamente originale. Una casa in stile boho chic racconta una storia, la storia di chi ci vive, ne esprime la personalità, è calda ed accogliente, piena di ricordi e di colori. Nel mondo boho il nero è bandito, così come tulle, paillettes e glitter che lasciano il posto a pietre colorate, frange e lacci. Celebrato ancora in tutto il mondo anche con eventi dedicati, il boho è uno stile che attraversa la Storia e sembra non passare mai di moda, probabilmente perché capace di parlare in modo trasversale a culture diverse tra loro mettendole armoniosamente in relazione.

M. Giovanna Massironi

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Gli anni sessanta: così lontani, così vicini https://www.artevarese.com/gli-anni-sessanta-cosi-lontani-cosi-vicini/ https://www.artevarese.com/gli-anni-sessanta-cosi-lontani-cosi-vicini/#respond Fri, 25 Feb 2022 13:00:28 +0000 https://www.artevarese.com/?p=64521 Busto Arsizio – Quanto gli anni Sessanta siano stati fondamentali per le trasformazioni sociali ed economiche è un dato acquisito, potremmo oramai dire storico. In Italia rappresentano il decennio del boom economico, della scolarizzazione di massa, dei grandi cambiamenti culturali e di costume. Le innovazioni, la progettualità applicata a diversi settori della società hanno consentito […]

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Busto Arsizio – Quanto gli anni Sessanta siano stati fondamentali per le trasformazioni sociali ed economiche è un dato acquisito, potremmo oramai dire storico. In Italia rappresentano il decennio del boom economico, della scolarizzazione di massa, dei grandi cambiamenti culturali e di costume. Le innovazioni, la progettualità applicata a diversi settori della società hanno consentito di rivoluzionarne tutti gli ambiti. La ricchezza e la varietà di contenuti prodotti in quegli anni hanno fornito materia di sviluppo per quelli successivi e arrivando al presente, momento in cui molti degli aspetti che ne hanno caratterizzato la narrazione, sono tornati quasi prepotentemente alla ribalta. Tutto questo induce a una riflessione che non è esclusivamente riconducibile all’argomentazione dei corsi e ricorsi storici. Una certa crisi di idee e di energia costruttiva, addirittura in surplus in quegli anni, ci porta a tornare col pensiero a quel periodo della nostra Storia non fosse altro che per vedere quante risorse, quante iniziative, quanti ideali e quanta passione venissero investiti per immaginare e progettare il futuro.

Un passato sempre presente
Tantissimi aspetti della cultura del nostro presente affondano le loro radici nelle grandi trasformazioni avvenute allora. Anche dal punto di vista artistico accade piuttosto frequentemente che, analizzando fenomeni di attualità, ci si trovi di fronte a primogeniture, reali o ideali, collocabili in quello straordinario decennio. Probabilmente, senza esserne troppo consapevoli, ancora viviamo gli effetti della “grande svolta” e riflettere sul nostro passato recente e sulla sua complessità può essere di grande aiuto per migliorare la comprensione di noi stessi, del nostro tempo e del viaggio che abbiamo intrapreso.

La fantasia al potere
Qualcuno, più di uno, ci ha creduto ed era veramente convinto che di lì a poco la fantasia avrebbe governato il mondo. Una fantasia, allegra colorata e pacifica. Ovviamente sbagliava. Ciononostante i mutamenti a quel tempo in corso all’interno della società potevano veramente lasciar sperare alle anime più semplici che l’utopia si sarebbe prima o poi realizzata. Negli anni Sessanta, non solo i ruoli convenzionali subivano critiche radicali e profonde revisioni, ma si cercava anche di fare i conti con il passato e di prefigurare qualcosa di assolutamente nuovo. Trasformazioni epocali, con una accelerazione senza precedenti, imponevano la necessità di una ricodificazione dell’etica, del linguaggio, dei sentimenti, dei rapporti gerarchici, della sessualità e, in definitiva, della cultura intesa come luogo in cui le conoscenze e le prassi più disparate coabitano beneficiando della stessa dignità. La rivoluzione culturale rimescolava le carte, agitava le placide acque del sapere e faceva emergere linguaggi e strumenti espressivi sotterranei, emarginati e plebei, sui quali avevano costruito tutto il loro immaginario i giovani, per la prima volta nella storia dell’umanità, protagonisti della scena politica. Le innumerevoli citazioni sugli anni Sessanta li hanno consacrati nella memoria collettiva e cristallizzati in una sorta di immobilità temporale, accostandoli per sempre a sostantivi come spensieratezza e giovinezza, oltre che ad un’ottica avveniristica ancora oggi convincente. Una visione molto idealizzata dalla quale ci si scosterà solo negli ultimi anni del decennio, quando gli stessi giovani che avevano mobilitato le industrie in direzione di un mercato a loro destinato, si solleveranno ribellandosi proprio al sistema consumistico reo di generare guerre e ingiustizie. Erano gli anni in cui si sognava la pace per tutti e per sempre.

M. Giovanna Massironi

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Metaverso, il mondo digitale del futuro https://www.artevarese.com/metaverso-il-mondo-digitale-del-futuro/ https://www.artevarese.com/metaverso-il-mondo-digitale-del-futuro/#respond Wed, 09 Feb 2022 10:00:06 +0000 https://www.artevarese.com/?p=64323 Busto Arsizio – Buona parte della nostra quotidianità – e quindi dei nostri consumi, svaghi, attività e altro – traslocherà nel metaverso. Il futuro sembra attenderci in una realtà virtuale parallela dove, accessoriati di speciali cuffie e visori, ci muoveremo ed entreremo in relazione con gli altri sotto forma di avatar tridimensionali. La parola metaverso […]

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Busto Arsizio – Buona parte della nostra quotidianità – e quindi dei nostri consumi, svaghi, attività e altro – traslocherà nel metaverso. Il futuro sembra attenderci in una realtà virtuale parallela dove, accessoriati di speciali cuffie e visori, ci muoveremo ed entreremo in relazione con gli altri sotto forma di avatar tridimensionali. La parola metaverso è diventata prepotentemente d’attualità, fino ad essere tra le più usate del 2021, dopo che Mark Zuckerberg ha annunciato il cambio di nome e di indirizzo di Facebook Inc., la società che possiede un intero ecosistema di piattaforme (l’omonimo social Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger) ed è diventata Meta. Al cambio di nome è corrisposta una più ampia mission aziendale che si prefigge di creare in un tempo relativamente breve un’esperienza totalmente nuova di internet, un metaverso in cui tutti “saremo in grado di teletrasportarci istantaneamente come in un ologramma per essere in ufficio senza doverci spostare, a un concerto con gli amici o nel soggiorno dei nostri genitori a chiacchierare.”

Trent’anni e non sentirli
Il termine metaverso fa la sua apparizione per la prima volta una trentina di anni fa, nel 1992 nel romanzo di fantascienza Snow Crash dello scrittore americano Neal Stephenson. Quello di Facebook non è il primo esperimento di realtà virtuale parallela. I pionieri della rete ricorderanno sicuramente Second Life, il mondo virtuale elettronico lanciato nel 2003 in cui alcune importanti aziende organizzarono grandi eventi e persino colloqui di lavoro. Fu un fuoco di paglia e dopo un primo entusiasmante momento di migrazione Second Life fu abbandonata dagli internauti e dagli investitori. A proposito di questi ultimi va detto che il metaverso muove investimenti importanti: nello spazio di Decentraland, la piattaforma basata sul mondo virtuale 3D che ha appena ospitato il primo matrimonio nel metaverso, gli utenti, dopo aver creato il proprio avatar, possono acquistare e rivendere lotti di terra pagandoli in criptovaluta. Una società di investimenti americana, nel 2021 ha reso noto di aver investito 2,4 miliardi di dollari in appezzamenti di terreno virtuali nel distretto della moda di Decentraland allo scopo di organizzarvi sfilate di moda e di vendere abiti e accessori digitali agli avatar.

Un mondo migliore
Cosa succederà quando vivremo parte delle nostre esistenze in un mondo virtuale in cui ogni nostro singolo movimento potrà essere monitorato e le occasioni di indirizzare le nostre azioni aumenteranno a dismisura? E’ lecito chiederselo. Quello che si evince è che al di là di ogni promessa di smaterializzazione e di fuga dal mondo reale, i mondi virtuali ad oggi non hanno fatto altro che replicare i modelli di competizione e consumo della nostra realtà, riproducendone disparità e diseguaglianze, non esclusa la corsa al potere di sempre. Sarebbe forse il momento, invece, di fermarsi un attimo e di pensare ad un reale cambiamento mettendo in atto azioni per un mondo migliore, che sia digitale o meno.

M.Giovanna Massironi

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Very Peri, il colore dell’anno 2022 https://www.artevarese.com/very-peri-il-colore-dellanno-2022/ https://www.artevarese.com/very-peri-il-colore-dellanno-2022/#respond Tue, 25 Jan 2022 17:15:19 +0000 https://www.artevarese.com/?p=64147 Busto Arsizio – Un colore che parla di forza, speranza, ottimismo e tanto desiderio di cambiamento: il Very Peri, per la prima volta nella storia di Pantone, è un colore assolutamente nuovo, creato proprio per questo particolare periodo della nostra storia con lo scopo di infondere una sferzata di energia a fronte di un momento […]

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Busto Arsizio – Un colore che parla di forza, speranza, ottimismo e tanto desiderio di cambiamento: il Very Peri, per la prima volta nella storia di Pantone, è un colore assolutamente nuovo, creato proprio per questo particolare periodo della nostra storia con lo scopo di infondere una sferzata di energia a fronte di un momento della vita di tutti molto difficile e incerto. Non a caso il tono base scelto dal team creativo della famosa azienda americana, che dalla fine degli anni cinquanta del secolo scorso produce il famoso catalogo numerico di colori, è un particolare e bellissimo blu pervinca tendente al lilla, una sfumatura che induce alla calma e alla serenità fin dal primo sguardo, da sempre associato, come l’azzurro e il turchese, alla capacità di ridurre stati di ansia e stress. Al blu pervinca, nome che deriva dall’omonimo fiore, sono stati aggiunti toni di grigio e di rosso per ottenere la particolare sfumatura violacea del Very Peri. Un viola che affonda le sue radici fin dalla più remota antichità e che entrò a far parte significativamente del corredo imperiale romano dopo che Giulio Cesare ne venne totalmente affascinato dalla sua predominanza nel sontuoso palazzo di Cleopatra. Ma con una origine  ancora più lontana nel tempo, che risale al primo millennio a. c. quando furono scoperte e usate per tingere tessuti pregiatissimi le secrezioni viola porpora dei molluschi murex.

Il simbolismo del colore viola
Come abbiamo già accennato sopra è la prima volta nella storia del Pantone Color of the year che l’azienda americana ne crea appositamente uno per sottolineare e interpretare i cambiamenti che sono in corso nella società. Non è la prima volta, invece, che una sfumatura di viola diviene Color of the Year : nel 2008 venne eletto come Pantone dell’anno il Blue Iris, una variante cromatica molto vicina al blu, nel 2014 è toccato a Radiant Orchid, un viola che sfiora il fucsia e nel 2018 è stata la volta di Ultra Violet, un viola che si potrebbe definire “totale”.

Il simbolismo del colore viola lo ha sempre collocato in quell’area che attiene al mistero, al misticismo, al sottile legame tra sogno e magia. Non è un caso che sia uno dei colori più usati durante i cerimoniali religiosi e anche nell’arte ne è stato fatto ampio utilizzo, in modo particolare dai Preraffaelliti per documentare quel mondo rarefatto e misterioso protagonista, nella seconda metà dell’Ottocento, dei loro dipinti. Anche gli Impressionisti se ne sono serviti abbondantemente proprio per creare quelle atmosfere rarefatte rese famose dalle opere di Monet e Renoir, dove aria e ambiente sono testimoni non solo di ambienti e climi, ma anche di sentimenti ed umori, espressione di moti dell’anima. E nell’arte contemporanea artisti come Lucio Fontana, Andy Wharol, Mark Rothko, Robert Mapplethorpe e Damien Hirst hanno fatto del viola il protagonista assoluto di opere iconiche.

Comunicare con il colore: lo spirito del tempo
La società da sempre riconosce il colore come forma fondamentale di comunicazione e la sua capacità di esprimere, influenzare, modificare idee e creare emozioni. Il Very Peri esprime la complessità del contemporaneo, lo zeitgeist o spirito del tempo, ed evidenzia le infinite possibilità di trasformazione e cambiamento che si pongono davanti a noi; interpreta i bisogni e un’attitudine vivace e gioiosa al nuovo, un dinamismo che spinge e incoraggia la creatività e la forza di chi sa osare e usare la fantasia per raggiungere i propri obiettivi in perfetto bilanciamento tra mondo reale e mondo virtuale.

M. Giovanna Massironi

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