Tesi di Laurea Archivi - ArteVarese.com https://www.artevarese.com/categoria/tesi-di-laurea/ L'arte della provincia di Varese. Mon, 25 Jan 2021 10:01:50 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 https://www.artevarese.com/wp-content/uploads/2017/05/cropped-logo-1-150x150.png Tesi di Laurea Archivi - ArteVarese.com https://www.artevarese.com/categoria/tesi-di-laurea/ 32 32 Da Busto Arsizio a Inish Mor: in viaggio tra musiche e tradizioni d’Irlanda https://www.artevarese.com/da-busto-arsizio-a-inish-mor-in-viaggio-tra-musiche-e-tradizioni-dirlanda/ https://www.artevarese.com/da-busto-arsizio-a-inish-mor-in-viaggio-tra-musiche-e-tradizioni-dirlanda/#respond Mon, 04 Jun 2018 09:38:55 +0000 https://www.artevarese.com/?p=45401 Busto Arsizio– L’udito è sempre stato, tra i cinque, il mio senso preferito, probabilmente perché è quello per me più evocativo in assoluto per quanto riguarda sensazioni, ricordi ed emozioni. Molto spesso mi ritrovo a vivere forti emozioni date da percezioni uditive: non a caso mi sono laureata in musicologia. Vista la grande importanza che ricopre […]

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Busto Arsizio– L’udito è sempre stato, tra i cinque, il mio senso preferito, probabilmente perché è quello per me più evocativo in assoluto per quanto riguarda sensazioni, ricordi ed emozioni. Molto spesso mi ritrovo a vivere forti emozioni date da percezioni uditive: non a caso mi sono laureata in musicologia. Vista la grande importanza che ricopre per me l’udito e le sensazioni ad esso collegate, ho deciso che all’università mi sarei concentrata sullo studio della storia della musica e delle tradizioni musicali dei popoli. La mia carriera di studentessa si è conclusa con una tesi in Etnomusicologia, disciplina che studia la storia e le tradizioni analizzando la musica, i suoni e i rumori prodotti dalle persone che abitano un determinato territorio, intitolata “The sound of the Wild Atlantic Way: un viaggio tra rumori e tradizioni del territorio irlandese”.

Gli elementi che mi hanno portato a lavorare su questo progetto sono stati due. Da una parte ho sempre avuto un debole per l’Irlanda fin da bambina: la vastità dei territori, lo sconfinato e incontaminato verde dei prati, il gaelico, le leggende ed infine, ovviamente, la musica tradizionale che risuona in ogni angolo dell’isola. Dall’altra il destino ha voluto farmi scoprire in maniera casuale un disco dei Solomon Grey intitolato “Dathanna”, nato proprio dall’esigenza di raccogliere, conservare e rielaborare tutti quei suoni che caratterizzano una zona dell’Irlanda.

Per cui, in un certo senso, è un po’ come se fosse stata una decisone naturale e “scontata” quella di scrivere una tesi che mi permettesse di analizzare e scoprire i vari aspetti di un luogo tanto amato quanto sconosciuto.

 

La tesi si è rivelata un vero e proprio viaggio di analisi grazie al quale ho scoperto i suoni che caratterizzano una zona specifica dell’isola, la Wild Atlantic Way, ovvero la strada costiera che si snoda lungo tutta la costa ovest del paese. Attraverso la ricerca ho potuto scoprire antichissime poesie, lingue, dialetti, canzoni, strumenti musicali, canti ma anche suoni più “naturali” tipici dei luoghi come il cinguettio degli uccelli, l’oceano che si infrange sulle coste, il rumore dei cavalli al galoppo e molto altro.

La mia curiosità e la volontà di sentire dal vivo, con il mio udito, tutte quelle emozionanti sonorità tanto sognate mi hanno spinto a fare le valige e partire per un breve ma intenso viaggio in quei luoghi per “sentire” l’Irlanda in tutti i suoi suoni: dalla natura alla magnifica musica folk che risuona in ogni pub e strada.

La musica è la cosa che più mi è rimasta impressa: da Doolin, a Inish Mor, fino ad arrivare a Dublino, dal tardo pomeriggio a notte inoltrata, i locali si animano di sonorità che sono frutto di fusioni tra strumenti, voci e cori che non si possono trovare altrove.

Camminando per le vie di villaggi isolati o nel centralissimo Temple Bar a Dublino si ha la percezione che la musica sia ovunque. In qualsiasi giorno dell’anno, in un qualunque pub si avrà quasi sempre la fortuna di assistere ad un’esibizione, spesso improvvisata, di un gruppo o di un singolo cantante. Tanti sono gli strumenti musicali che si possono ascoltare: le uillean pipes, il fiddle, il bodharn, il bozouki, il tin whistle e l’arpa.

Ad ogni tappa ho avuto la fortuna di cenare in pub con session live; quella più emozionante è stata quella a cui ho assistito su Inish Mor, piccola isola appartenente alle Aran Islands poco distante da Doolin: intorno alle 20.00 sono entrata al Joe Watty’s Pub, locale di riferimento per gli abitanti, e l’atmosfera che ho trovato è qualcosa di indescrivibile. Luce soffusa, pochissimi turisti, camino acceso, musica dal vivo, persone di ogni età, bambini, anziani, clienti e musicisti che insieme cantano un brano della tradizione e birra scura su ogni tavolo… Ma ciò che più mi ha fatto “innamorare” di quel posto è stato l’artista che ha iniziato ad esibirsi poco dopo il mio arrivo.

Quando l’ho visto sul palco non riuscivo a capire dove l’avessi già incontrato ma poco dopo mi è venuto in mente; l’uomo che stava cantando e si accompagnava con il buzouki era lo stesso che poche ore prima era al porto a lavorare su di una nave appena arrivata alla banchina. Questo marinaio/cantautore credo sia l’esempio che più può descrivere lo spirito della tradizione musicale del paese: a prescindere dall’età, dal lavoro, dal sesso, la musica scorre nelle vene di ogni irlandese ed è parte integrante della vita di ognuno.

I suoni, i brani e gli strumenti riescono a riflettere perfettamente il calore umano e la vitalità che pulsa nel cuore di ogni abitante dell’isola.

In quel pub, quella sera si è compiuta quella magia che si compie solo quando musicista e ascoltatore riescono a connettersi e comunicare: non esistevano più turisti, barriere linguistiche e culturali… L’Irlanda era lì, in tutta la sua potenza, in tutto il suo fascino e in tutta la sua musica a travolgermi e a farmi vivere tutte quelle emozioni di cui avevo solo letto e mai vissuto.

È un viaggio che consiglio a chiunque, anche a chi non è un appassionato di musica. L’Eire è un luogo da sogno dove leggenda e modernità convivono perfettamente, dove il verde più brillante in assoluto riposa gli occhi stanchi dal grigio delle città, dove si trovano persone uniche tra le più ospitali del mondo, e dove si usa direNon esistono stranieri, esistono solo amici che non hai ancora incontrato!”

 

Roberta Montalto

 

 

 

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Uniti contro la barbarie https://www.artevarese.com/uniti-contro-la-barbarie/ Tue, 25 Aug 2015 14:41:58 +0000 Nuovi orrori in Siria. L’82enne archeologo Lhaled Asaad, per oltre mezzo secolo responsabile delle antichità di Palmira, è stato decapitato ed appeso ad un’antica colonna dai militanti dell’Isis nella piazza principale della storica città della Siria. Lo ha reso noto il responsabile delle antichità siriane Maamoun Abdulkarim, precisando di essere stato informato dalla famiglia della […]

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Nuovi orrori in Siria. L’82enne archeologo Lhaled Asaad, per oltre mezzo secolo responsabile delle antichità di Palmira, è stato decapitato ed appeso ad un’antica colonna dai militanti dell’Isis nella piazza principale della storica città della Siria. Lo ha reso noto il responsabile delle antichità siriane Maamoun Abdulkarim, precisando di essere stato informato dalla famiglia della vittima.
Era riuscito a nascondere centinaia di statue in un luogo sicuro prima che gli estremisti dello Stato islamico arrivassero a conquistare la ‘sposa del deserto’, l’antica città romana di Palmira, in Siria, che è patrimonio Unesco dell’umanità. Ma loro, gli uomini del Califfato, l’hanno preso e imprigionato. Tenuto sotto torchio per quattro settimane affinché rivelasse dove aveva messo al riparo i reperti romani. Poi gli hanno tagliato la testa davanti a un pubblico che ha assistito all’esecuzione.
“Contro la barbarie dobbiamo essere tutti uniti – ha detto l’Assessore alla Cultura di Varese Simone Longhini –  servono gesti simbolici ma anche misure decise non più rinviabili per fermare la ferocia fondamentalista dell’Isis, tra le cause, non va dimenticato, delle enormi ondate migratorie che registriamo in questo ultimo periodo. Non è la prima volta che si prendono di mira luoghi e simboli della cultura, strumenti che sono anche formidabili mezzi di dialogo tra i popoli. Questa volta la brutalità ha visto come vittima un’autorevole personalità, l’archeologo custode di Palmira, Khaled Al Assaad. Tutte le culture civili e democratiche devono condannare con forza la violenza che si accanisce contro esseri umani indifesi e lo scempio di un patrimonio che è di tutta l’umanità.

Per questo motivo oggi abbiamo deciso di esporre a mezz’asta le bandiere dell’Assessorato alla Cultura, in rappresentanza di musei, biblioteche e di tutti i luoghi di cultura di Varese. Vogliamo così onorare una persona straordinaria, che ha sacrificato la propria vita per la pace e per la libertà”.

Cinque giorni dopo questo atroce delitto, l’Isis ha distrutto uno dei principali templi dell’antica perla nel deserto siriano, quello di Baalshamin, a poche decine di metri dal teatro romano della città, dove la Stato islamico aveva inscenato alcune esecuzioni pubbliche. Anche questa volta a riferirlo è l’ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), che cita alcuni residenti della città in fuga dalla furia assassina dei jihadisti. Il santuario di Baalshamin (Il signore del Cielo) è del secondo secolo dopo Cristo ed è dedicato ad una divinità asssimilabile a Mercurio.

Il sito archeologico di Palmira è da mesi sotto attacco dell’Isis e la distruzione del tempio di Baalshamin è l’ennesimo duro colpo per l’antica città semita situata nel centro della Siria. Il sito è caduto nelle mani dello stato islamico il 20 maggio e da allora è stato usato come palcoscenico per efferatezze e violenze.

Dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità la città fiorì nell’antichità come punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano ed ebbe un notevole sviluppo fra il I ed il III secolo dopo Cristo. Per questo motivo fu soprannominata la ‘Sposa del deserto’. Il nome greco della città, ‘Palmyra’, è la traduzione fedele dall’originale aramaico, Tadmor, che significa ‘palma’.

La città è citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, ma in particolare la sua storia è legata alla regina Zenobia che si oppose, secondo la tradizione, ai romani e ai persiani. Poi venne incorporata nell’impero romano e Diocleziano, tra il 293 e 303, la fortificò, per cercare di difenderla dalle mire dei Sasanidi facendo costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica. A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano.

Durante la dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza. L’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per l’importanza strategica della zona, fece rinforzare le mura e vi installò una guarnigione. Poi sotto il dominio degli arabi la città andò in rovina.
Il sito archeologico comprende la via colonnata, il santuario di Nabu, le Terme di Diocleziano, il teatro e l’Agora. Vere e proprie perle architettoniche. Fondato nel 1961 all’entrata della città moderna, il museo di Palmira raccoglie numerosi reperti ritrovati nel sito archeologico che testimoniano l’alto livello di raffinatezza raggiunto dall’arte palmirea. Per timore di distruzioni, centinaia di statue e reperti del sito siriano 240 km a nord-est di Damasco sono stati trasferiti in altre località già prima dell’assalto finale dell’Isis.

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La Pro-Loco: non “un posto per vecchi” https://www.artevarese.com/la-pro-loco-non-un-posto-per-vecchi/ Wed, 21 Dec 2011 10:14:51 +0000 Una tesi dedicata alla Pro Loco di Fagnano Olona I mille volti di un’associazione no profit – Una Pro-Loco dalle mille risorse, così tante da “meritarsi” una tesi di laurea interamente dedicata alle sue molteplici attività, ai servizi che costantemente offre ai cittadini. È la Pro-Loco di Fagnano Olona, descritta e valorizzata da Paolo Bossi, […]

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Una tesi dedicata alla Pro Loco di Fagnano Olona

Una tesi dedicata alla Pro Loco di Fagnano Olona

I mille volti di un’associazione no profit Una Pro-Loco dalle mille risorse, così tante da “meritarsi” una tesi di laurea interamente dedicata alle sue molteplici attività, ai servizi che costantemente offre ai cittadini. È la Pro-Loco di Fagnano Olona, descritta e valorizzata da Paolo Bossi, neo-laureato in economia all’Università Liuc di Castellanza. Nell’elaborato si è presa in considerazione un’organizzazione locale no profit, ponendo in risalto i differenti strumenti ed i metodi di comunicazione off-line e on-line utilizzati per raggiungere – con successo – gli obiettivi prefissati, volti soprattutto a soddisfare le esigenze della gente comune” – spiega ai microfoni de La6Tv Bossi, che prosegue – “a differenza di quanto troppo spesso si creda, il Terzo Settore non interviene solamente in situazioni di disagio, ma risponde altresì a bisogni culturali e di socializzazione. Partendo da questo presupposto, il mio elaborato segue un percorso che si snoda in tre capitoli: il primo, volto a presentare questa organizzazione senza scopo di lucro, valutandone importanza e peculiarità; evidenziandone le opportunità che possa offrire l’introduzione di strategie di marketing nelle organizzazioni no profit e il valore assolutamente indiscutibile della comunicazione, risorsa irrinunciabile nell’epoca della globalizzazione. Il secondo capitolo è, invece, dedicato alla storia della Pro-Loco di Fagnano Olona, a come si sia evoluta nel corso del tempo (grazie soprattutto all’impegno dei volontari) e a quanto continui ad investire, in termini di risorse economiche e soprattutto umane, per migliorarsi. Infine” – conclude Bossi – “il terzo capitolo è quello inerente alla distinzione tra strumenti di comunicazione off-line (mostre, esposizioni, momenti di incontro, pubblicazioni su periodici locali, volantini) e quelli on-line (e quindi tutto ciò che si sposi con l’utilizzo della rete Internet)”. Certo un motivo di vanto, per questa realtà varesotta, la sempre più massiccia valorizzazione delle moderne tecnologie. L’obiettivo è quello di coinvolgere le giovani generazioni e, per farlo, bisogna saper loro comunicare, renderli protagonisti parlando con il loro stesso linguaggio, sfatando l’idea che la Pro-Loco sia un punto di riferimento solo per adulti e anziani.
A completare il mio lavoro” – spiega ancora il laureato fagnanese – “un’analisi dei risultati ottenuti, all’interno della Pro-Loco, con l’impiego di questo moderni strumenti e, ancora, una raccolta di interviste realizzate grazie alla collaborazione di autorità politiche e rappresentati del mondo dei mass-media locale. Le loro risposte e i loro pareri mi hanno permesso di comprendere come la Pro-Loco venga vissuta e valutata dall’esterno, quanto venga apprezzato il suo lavoro sul territorio”.

Esempio per tutti –
La mia tesi” – conclude Paolo Bossi – “vuole essere di esempio ai tanti studenti che, trovandosi a pochi passi dalla tanto desiderata Laurea, spazino con la mente cercando realtà imprenditoriali di grande rilievo, che possano essere analizzate nei dettagli, per divenire argomento di corposo interesse agli occhi di docenti e esperti. In realtà, basta guardarsi attorno per trovare piccoli ma efficaci esempi del «lavorare bene», che potranno certo incuriosire i professori più esigenti, mostrando loro il volto nascosto del fare, dell’impegno e del progresso. Quello legato al territorio locale”.

VIDEO

 

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Peste scampata a Busto https://www.artevarese.com/peste-scampata-a-busto/ Mon, 26 Sep 2011 04:34:04 +0000 «La peste del 1630 a Busto e dintorni» è il titolo della mostra ospitata nella Biblioteca Capitolare (via don Minzoni 1) a Busto Arsizio fino al 16 ottobre. Sono due le sezioni che compongono il percorso di visita: quella più ampia e globale con la storia delle pestilenze in Occidente, e quella più circoscritta e mirata con la storia della […]

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san carlo borromeo visita appestati cerano vita san carlo duomo

«La peste del 1630 a Busto e dintorni» è il titolo della mostra ospitata nella Biblioteca Capitolare (via don Minzoni 1) a Busto Arsizio fino al 16 ottobre.
Sono due le sezioni che compongono il percorso di visita: quella più ampia e globale con la storia delle pestilenze in Occidente, e quella più circoscritta e mirata con la storia della peste del 1630-31 a Busto Arsizio e dintorni.
Nella prima parte, un percorso storico descrive alcune tappe storiche di saliente importanza sociale e culturale quali la visione della peste nella Bibbia, nella città di Atene nel 430 a.C., a Roma e Cartagine nel 590-600 d.C., a Firenze nel 1348 (vicenda affrontata anche dal Boccaccio), a Milano nel 1400, a Busto e Gallarate nel 1488 e nel 1524, a Milano nel 1576 (quella famosa di san Carlo); si prosegue con la celeberrima peste “manzoniana” del 1630, con quella altrettanto mortale verificatasi nel Comasco del 1636 e a Roma del 1656. Vengono inoltre fornite preziose coordinate di letteratura contemporanea: da Defoe a Camus.

Nella seconda sezione della mostra allestita a Busto vengono forniti i dati statistici zonali, i registri di morti, nati e matrimoni in città, gli elenchi di testamenti e legati, diverse cronache e la preziosa testimonianza dell’autore della “storia della peste” di Busto (manoscritto oggi alla Biblioteca Reale di Copenaghen).
Molteplici informazioni ci giungono anche da studi medici del XVII secolo, da stralci tematici della “storia della peste” di Busto e dalle rappresentazioni artistiche (fotografie delle due anonime tele secentesche di Busto che la rappresentano). Non mancano testimonianze dirette come una ventina di lettere sulla peste del 1630-31 e le note invocazioni ai santi patroni (Sebastiano, Rocco, Cosma e Damiano e la Madonna dell’Aiuto, molto venerata in città).

Tra i pezzi di maggior pregio, il prof. Franco Bertolli, curatore della mostra, segnala un capitolato del 1488, deliberato dal consiglio comunale di Gallarate, una

lettera proveniente da Roma del 1656, una serie di registri anagrafici, testamenti e di lettere pressocchè inedite.
“Questa mostra – tiene a precisare Bertolli – ha visto la collaborazione di una classe di studenti del liceo artistico “Candiani” che hanno trascritto e interpretato le lettere e ha, inoltre, l’avallo della Sovrintendenza Archivistica di Lombardia ed il patrocinio del comune di Busto Arsizio. E’ nata, d’intesa con la classe dell’Artistico, nell’ambito dell’attenzione maturata in città in direzione delle due tele suddette che sfocerà in ottobre in un’importante iniziativa cittadina”.

Storia della peste A Busto Arsizio
Dal 17 settembre al 16 ottobre
Busto Arsizio, Biblioteca Capitolare
Orari: martedì, mercoledì, venerdì, dalle 15.00 alle 18.30
Per maggiori info.: tel. 0331-320495
Visite guidate per le scuole su prenotazione anche al mattino di tutti i feriali

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Oggiona, il radar e i progetti giovani https://www.artevarese.com/oggiona-il-radar-e-i-progetti-giovani/ Thu, 10 Feb 2011 05:51:20 +0000 Chiesa San Vittore a Oggiona con Santo Stefano  “Alla ricerca delle nostre radici” – Con questo titolo accattivante la pro Loco di Oggiona con Santo Stefano ha invitato i cittadini alla serata di venerdì 4, perché proprio nelle mani dei cittadini si trova il filo rosso che unisce presente e passato e l’educazione civile, l’atteggiamento […]

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Chiesa San Vittore a Oggiona con Santo Stefano

Chiesa San Vittore a Oggiona con Santo Stefano

 “Alla
ricerca delle nostre radici” – Con questo titolo accattivante la pro Loco di Oggiona con Santo Stefano ha invitato i cittadini alla serata di venerdì 4, perché proprio nelle mani dei cittadini si trova il filo rosso che unisce presente e passato e l’educazione civile, l’atteggiamento del singolo sono fondamentali per la salvaguardia delle radici.

La voce dell’ispettore – Di questo ha parlato Luisa Alpago Novello Ferrerio, conservatrice del Museo Archeologico di Arsago Seprio, e da oltre quaranta anni ispettore onorario della Sovrintendenza Archeologica. In questa veste ha sorvegliato parecchi cantieri fra Arsago, Somma Lombardo, Casorate e Besnate, come lo scavo presso la chiesa di Santa Maria in Monticello ad Arsago, o la necropoli preistorica di Somma. Grande rilievo è stato dato alla collaborazione fra Sovrintendenza e Comuni, che, in questi anni di intensa attività edile, devono garantire il rispetto delle tracce archeologiche. Proprio per questo motivo molte giunte comunali si stanno organizzando nella tutela, compilando carte del rischio archeologico e organizzando scavi archeologici preventivi, cioè precedenti all’inizio del cantiere vero e proprio.

La voce dell’archeologa –
In tale direzione si sta muovendo il Comune di Oggiona, che presenta nel proprio territorio aree archeologicamente interessanti. Di queste ha parlato Monica Motto, archeologa. Il paese, come ha sottolineato la studiosa, vanta una storia antica, dovuta soprattutto alla sua posizione strategica, fra valli e laghi, posizione che lo ha portato, in epoca tarda, a diventare sede di un castello, oggi non più esistente, ma rimasto nel nome della chiesa, Santa Maria al Castello. C’è anche una carta archeologica, una pianta cioè del paese, in cui sono stati evidenziati i luoghi in passato teatro di ritrovamenti: fra questi si segnalano soprattutto la zona fra via Como e via Risorgimento e l’area circostante la chiesa di S.Vittore. Da via Risorgimento infatti proviene la tomba alla cappuccina oggi conservata nell’edificio del comune, probabilmente pertinente a una più vasta necropoli. Lo scopo della carta archeologica è pratico: conoscere cioè quelle aree a rischio, da trattare con cautela nel caso di lavori edilizi.

A caccia di anomalie – Ma esistono oggi strumenti più moderni di indagine archeologica, propedeutici allo scavo. Analisi al georadar nell'area della chiesa di S.VittoreDi questi si è servito il Comune di Oggiona, per indagare le zone archeologicamente sospette. È stato infatti usato il georadar, strumento che emette onde radio ad alta frequenza: ha la proprietà di segnalare la presenza di disomogeneità nel terreno, a seconda della velocità con cui gli impulsi lì inviati tornino indietro. Giovanni Zaro, geologo, ha raccontato i risultati delle analisi condotte nel paese. Effettivamente, soprattutto nella zona di S.Vittore, lo strumento segnala delle anomalie, il cambiamento rispetto alla situazione precedente. Di più la scienza non può dire: sarà, si spera presto, il lavoro degli archeologici a capire la situazione. Nel frattempo il Comune ha lasciato a destinazione agricola queste aree con anomalie.moderni di indagine archeologica, propedeutici allo scavo.

Largo agli architetti – Uno dei propositi della ricerca archeologica è senza dubbio la fruizione degli spazi, aprire il passato al presente e al futuro. In quest’ottica si sono mossi due giovani futuri architetti, ora laureandi, Eugenio Bulotta e Luca Gioiosano, del Politecnico di Milano, la cui tesi di laurea consiste proprio in progetto di valorizzazione dell’area intorno a San Vittore. Il loro scopo è quello di creare una zona fruibile, rispettandone la natura verde. Nel loro progetto sono così previsti una nuova pavimentazione, luoghi di sosta e, in seguito agli scavi archeologici, strutture che permetteranno di vivere ciò che emergerà. “Come una pianta senza radici muore, così l’uomo senza radici non avrà futuro”. Questa frase di Luisa Alpago riassume bene il senso della serata, che è stata l’occasione per affrontare quelle che oggi sono le urgenze dell’archeologia: il controllo sul territorio, la sua conoscenza, l’archeologia preventiva, la fruizione degli spazi. Attività che possono essere compiute solo nella piena sinergia fra Sovrintendenza e istituzioni comunali.

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Santa Maria delle Grazie, un santuario da scoprire https://www.artevarese.com/santa-maria-delle-grazie-un-santuario-da-scoprire/ Wed, 14 Jul 2010 16:02:10 +0000 Laureatasi lo scorso maggio con il massimo dei voti in Storia e Critica dell’Arte presso l’Università degli Studi di Milano, la giovane dottoressa Barbara Morlacchi ha dimostrato con la sua tesi la volontà di dedicare i propri studi all’arte del territorio, in particolare della sua città di residenza: Legnano. In occasione della laurea triennale, infatti, […]

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Barbara Morlacchi

Laureatasi lo scorso maggio con il massimo dei voti in Storia e Critica dell’Arte presso l’Università degli Studi di Milano, la giovane dottoressa Barbara Morlacchi ha dimostrato con la sua tesi la volontà di dedicare i propri studi all’arte del territorio, in particolare della sua città di residenza: Legnano. In occasione della laurea triennale, infatti, aveva ricostruito l’opera pittorica dei fratelli Lampugnani presente a Legnano. Ora la sua passione per l’arte moderna, con il coordinamento dei professori Fiorella Frisoni e Giulio Bora, l’ha portata ad indagare la storia, le vicende costruttive e decorative relative al Santuario di Santa Maria delle Grazie, cercando di fare ordine alle questioni spesso irrisolte nelle trattazioni della storiografia locale. Ne parliamo con lei.

Di quali aspetti ti sei occupata principalmente nell’affrontare lo studio dell’edificio?

“Scopo della tesi è stato quello di ricostruire criticamente le vicende architettoniche e decorative di questo edificio,

Santa Maria delle Grazie, cartolina del 1893che vede le sue origini sullo scorcio del Quattrocento, ma che si modifica nei secoli diventando un cantiere aperto alle nuove influenze della cultura dell’ambito milanese del primo Seicento”.
Quali fonti hai consultato?
“Partendo dagli spunti forniti dalle fonti locali, ho ritenuto fondamentale compiere un’analisi delle carte dell’Archivio Prepositurale di San Magno a Legnano. In questa sede sono infatti custoditi gran parte dei documenti relativi alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, in cui sono contenute fondamentali notizie sui dipinti ospitati all’interno del santuario. Ho avuto, inoltre, la necessità di recarmi presso l’Archivio Storico Diocesano di Milano per la consultazione e lo studio delle relazioni delle visite pastorali condotte tra la fine del XVI e il XVIII secolo nella Pieve di Legnano. All’Archivio di Stato di Milano ho inoltre esaminato alcuni importanti documenti che hanno aperto alcuni interessanti interrogativi sulla fondazione del santuario, introducendo la figura dell’architetto Francesco Maria Ricchini“.
Santa Maria della Grazie oggi

Come si inserisce la figura di Ricchini nel dibattito attributivo?

“Come è riportato da Agostino Pozzo nella Storia delle chiese di Legnano (1650), intorno al 1610 i deputati della chiesa decisero di edificare un nuovo e più grande edificio rispetto a quello tardo cinquecentesco, probabilmente al fine di ospitare al suo interno un maggior numero di fedeli provenienti dal borgo e dai territori limitrofi. Sebbene il nome del primo architetto attivo in Santa Maria delle Grazie rimanga del tutto ignoto, si è giunti alla conclusione che il progetto del 1612 possa essere imputabile all’architetto Pietro Antonio Barca. Tuttavia, il recente ritrovamento presso l’Archivio di Stato di Milano dell’atto notarile datato 1612, nel quale si legge che il priore e i deputati della chiesa elessero Francesco Maria Richini ingegnere della fabbrica, ha contribuito a mettere in discussione l’ipotesi precedente e, di conseguenza, anche la data del possibile intervento richiniano in Santa Maria delle Grazie, che le fonti fanno comunemente risalire al 1649, senza però motivare questa affermazione”.
L'interno

Per quanto riguarda invece l’apparato decorativo, è stata fatta qualche nuova attribuzione?

“La consultazione delle fonti d’archivio sopra citate ha permesso di ricomporre la storia delle cappelle, ma le ipotesi attributive sono prevalentemente derivate dall’analisi stilistica e iconografica delle tele. Nel caso del quadro Madonna col Bambino e San Gaetano, grazie ai preziosi suggerimenti della prof.ssa Fiorella Frisoni, è stato possibile avanzare per la prima volta l’attribuzione al pittore veronese Francesco Perezzoli”.
La tua tesi ha sicuramente permesso di fare dei passi avanti nello studio del santuario…
“Sì, la speranza è che nel futuro qualche paziente studioso possa trovare nuovi spunti e linee di approfondimento per arricchire ulteriormente il corpus di notizie storico-artistico inerenti alla chiesa di Santa Maria delle Grazie”.

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Pinacoteca Züst: cento di questi anni https://www.artevarese.com/pinacoteca-zst-cento-di-questi-anni/ Wed, 14 Apr 2010 04:21:29 +0000 Silvia Ballardini Sono trascorsi due anni da quando abbiamo intervistato la giovane Storica dell'Arte Silvia Ballardini autrice di una ricerca sui quadroni seicenteschi della Basilica di San Vittore a Varese. La giovane ha recentemente conseguito la laurea magistrale e ancora una volta la sua attenzione è stata catturata dal patrimonio artistico della nostra terra. 'Vent'anni […]

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Silvia BallardiniSilvia Ballardini

Sono trascorsi due anni da quando abbiamo intervistato la giovane Storica dell'Arte Silvia Ballardini autrice di una ricerca sui quadroni seicenteschi della Basilica di San Vittore a Varese. La giovane ha recentemente conseguito la laurea magistrale e ancora una volta la sua attenzione è stata catturata dal patrimonio artistico della nostra terra. 'Vent'anni di mostre alla Pincoteca Züst di Rancate, analisi dell'attività espositiva e del suo rapporto con il territorio', questo il titolo della sua tesi di laurea discussa all'Università degli Studi di Milano con il coordinamento dei professori Antonello Negri e Giorgio Zanchetti. "Anche se situata lontano dai grandi circuiti museali, adagiata tra le colline del Mendrisiotto, la Pinacoteca Züst appare fin da subito come una piccola perla rara sempre fedele a sé stessa e ai principi che fin dall'origine l'hanno retta", scrive Silvia nell'introduzione al suo lavoro costruito in capitoli dedicati alla nascita, la crescita e la specializzazione consolidata nel tempo di questa sede espositiva.

Quali sono stati i motivi che ti hanno portato a scegliere come argomento di studio proprio la Pinacoteca Zust?
"E' un luogo che mi ha da sempre affascinato proprio perchè è una realtà piccola, quasi nascosta. Inoltre, ha fatto nel corso degli anni delle scelte espositive molto particolari e studiate. Gli autori che vengono presentati sono spesso poco conosciuti: personaggi ticinesi presenti tra gli artisti della collezione che ha dato vita alla pinacoteca, ma anche personalità italiane che hanno contribuito alla caratterizzazione dell'ambiente culturale ticinese".

Un'altra immagine degli spaziUn'altra immagine degli spazi

Sei partita dallo studio della storia di questo luogo?
"Si, dal 1966 quando Giovanni Züst decide di donare parte della sua collezione privata. Fu il comune di Rancate, località dove Züst risiedeva, ad avere la meglio: il primo nucleo fu così allestito nella ex casa parrocchiale, ristrutturata ed ampliata dall'architetto Tita Carloni e inaugurata nel 1967. La Pinacoteca venne poi chiusa nel 1988 per una ristrutturazione degli spazi espositivi ad opera dell'architetto Claudio Cavadini e fu riaperta nel 1990. Questi lavori l'hanno trasformata e la hanno dato il volto che si vede ancora oggi: disposta su due piani (tre quando ci sono mostre temporanee) e allestita secondo un ordine cronologico che dal XX secolo arriva al XVII".

La tua ricerca ha posto l'attenzione in particolare sull'attività espositiva. Quali aspetti hai esaminato?
"Ho dedicato un intero capitolo alle esposizioni dagli anni Novanta ad oggi, contando circa venti mostre divise tra monografiche e tematiche. Un lavoro di ricerca svolto soprattutto sui cataloghi pubblicati in occasione delle esposizioni. In particolare per ogni mostra ho analizzato le tematiche affrontate e come venivano presentate le opere al pubblico e gli allestimenti. La scelta della Pinacoteca è sempre stata quella di non far prevalere la scenografia sulle opere, non ci sono mai stati allestimenti troppo spettacolari. Ho così definito quattro tipologie di allestimento: i pannelli in legno che simulano la parete, le tende colorate su cui vengono appesi i quadri, i pannelli tradizionali e le teche per custodire diverse tipologie di oggetti. Un altro aspetto approfondito è stato quello dell'illuminazione. Sono infatti presenti due modalità di luci: nella sezione della collezione permanente viene utilizzata la luce al neon, mentre per le mostre temporanee vengono impiegati dei faretti che scorrono su binari per direzionarli sulle opere esposte".

Un'immagine della PinacotecaUn'immagine della Pinacoteca

La tua tesi si apre con un capitolo dal titolo 'Una Pinacoteca anticonformista'. A che cosa ti riferisci?
"Il museo ticinese ha scelto di organizzare mostre che abbiano sempre legami con la propria collezione permanente e con il territorio in cui è inserito, portando così alla ribalta artisti spesso conosciuti solo agli studiosi. Questo è l'aspetto che più mi ha colpito e incuriosito. Il Museo non ha mai steso proposte per attirare un numero elevato di pubblico, ma ha mirato sempre alla qualità. Il pubblico, grazie a questa 'politica', è aumentato molto nel corso degli anni, sia dal fronte svizzero che italiano".

Nella tesi anche una voce diretta, quella di Alessandra Brambilla, collaboratrice scientifica.
"Oltre alla conservatrice Mariangela Agliati, Alessandra Brambilla è stata molto disponibile e vicina in tutte le fasi della mia ricerca. Nell'intervista, oltre a svelare aspetti positivi e negativi della gestione della Pinacoteca, ha sottolineato il legame recente con altri musei della zona: "Da un paio di anni è stata avviata una proficua collaborazione tra la nostra Pinacoteca, il Museo Vela di Ligornetto e il Museo d'Arte di Mendrisio con quella che si chiama la Rete dei Musei d'Arte del Mendrisiotto, il così detto MAM. Frutto di questa collaborazione è la creazione di opuscoli informativi che presentano in maniera congiunta l'attività di tutto l'anno dei tre istituti museali e che inoltre offrono dei coupon per l'ingresso a prezzo ridotto ai visitatori che circolano nei tre musei. Si tratta, dunque, di un'iniziativa che si pone nel segno della valorizzazione dell'ingente patrimonio artistico ticinese".

www.ti.ch/DECS/DCSU/ac/PINCGZ/

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Se le culture del mondo entrano in Museo https://www.artevarese.com/se-le-culture-del-mondo-entrano-in-museo/ Tue, 16 Feb 2010 05:57:37 +0000 Sara Chiesa 'Musei delle culture del mondo: Milano e il caso dello Spazio Ansaldo' – Una tesi di laurea da 110 e lode! Sara Chiesa giovane storica dell'arte di Vedano Olona ha da pochi giorni discusso la sua ricerca in Storia dell'Arte all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, guidata da Paolo Biscottini, Direttore del […]

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Sara ChiesaSara Chiesa

'Musei delle culture del mondo: Milano e il caso dello Spazio Ansaldo' – Una tesi di laurea da 110 e lode! Sara Chiesa giovane storica dell'arte di Vedano Olona ha da pochi giorni discusso la sua ricerca in Storia dell'Arte all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, guidata da Paolo Biscottini, Direttore del Museo Diocesano di Milano e con il coordinamento di Claudio Salsi, Direttore del Castello Sforzesco. "Nella scelta dell'argomento ho voluto unire due interessi: da un lato il desiderio di proseguire le ricerche intraprese nel lavoro di tesi triennale, dedicata al mondo della museologia e in particolare al dialogo interculturale all'interno di una struttura museale. Nello specifico avevo steso una proposta di laboratorio didattico per il Museo d'Arte Moderna e Contemporanea del Castello di Masnago. A questo aspetto più artistico ho voluto accostare un altro interesse in qualche modo slegato dallo studio, l'amore per le culture extra europee", spiega la giovane laureata.

Il tuo lavoro ha un punto di partenza ben preciso.
"Questa ricerca si pone come obiettivo quello di indagare le dinamiche che hanno portato alla trasformazione dei Musei Etnografici in musei delle Culture del Mondo. Il punto di partenza è il progetto di cui si parla dal 1999 di realizzare, all'interno dell'area delle ex fabbriche Ansaldo a Milano (zona Porta Genova), un Museo delle culture del mondo. Un progetto steso dell'architetto londinese David Chipperfield, in un'area vincolata dal Comune di Milano per progetti culturali, con l'intenzione di realizzare una vera e propria cittadella della cultura. Sono previsti un edificio ex novo per il museo e la ristrutturazione di gran parte di quelli esistenti".

Museo delle culture del mondo, LuganoMuseo delle culture del mondo, Lugano

Partendo da questa area, come hai svolto le ricerche?
"Preziosa è stata la collaborazione con il Castello Sforzesco, in particolare con la dott.ssa Carolina Orsini, Conservatore della Raccolte Extraeuropee. E' proprio questa collezione, facente parte delle Civiche Raccolte d'Arte Applicata e oggi in gran parte custodita nei depositi del Castello, che verrà esposta nel Museo delle culture".

Com'è strutturata la tua ricerca?
"Inizialmente ho svolto un'analisi storica sull'evoluzione dei musei etnografici nell'ambito coloniale, osservando le trasformazioni in base al modo di guardare le culture extra europee. In questa prima parte cerco anche di dare una visione il più completa possibile al concetto di 'arte primitiva' e alle dinamiche culturali che l'hanno portata, da una funzione comparativa nell'ambito dello studio dell'evoluzione dell'uomo a paradigma di un'arte pura e incontaminata e, per questo, degna di essere presa a modello dalle Avanguardie del '900, per giungere infine ad assumere il ruolo di 'capolavoro' indipendentemente dal valore culturale.
La seconda parte della tesi è dedicata alle realtà che ho preso in esame e che ho avuto modo di visitare in questi mesi; la scelta è stata dettata dalla volontà di studiare musei differenti fra loro per tipologia. In Italia ho studiato il Museo Nazionale Preistorico Etnografico "L. Pigorini" di Roma, primo esempio di museo etnografico realizzato nel nostro Paese e il Castello D'Albertis di Genova. A livello europeo a partire da quelli elvetici, il Museo delle culture di Lugano e il Museo di etnografia Neuchâtel, ho analizzato il British Museum di Londra e il Musée du quai Branly a Parigi. In Africa Occidentale, ho visitato i Musei in Benin Musee Historique d'Abomey e i Musei in Senegal: Centre de Recherche et de Documentation du Senegal a Saint-Louis. Per ogni realtà mi sono soffermata sulla storia, sul progetto espositivo, ma soprattutto sui principi su cui si basa l'allestimento".

Musée du Quai Branly, Parigi. Veduta dall'alto dell'esposizioneMusée du Quai Branly, Parigi.
Veduta dall'alto dell'esposizione

In che modo hai rapportato questi musei con il progetto di Milano?
"Con il progetto di David Chipperfield per lo Spazio Ansaldo alla mano, sono partita dal XIX secolo, da quando cioè le collezioni etnografiche erano parte del Museo di Scienze Naturali e venivano utilizzate come elementi di studio e confronto per capire e conoscere le aree preistoriche. Nel 1924 poi l'intero patrimonio è stato ceduto al Castello Sforzesco; in quest'epoca acquistano una valenza diversa. La collezione diviene parte delle Arti Applicate, ricoprendo un ruolo fondamentale nell'ambito dell'industria e assumendo un ruolo puramente estetico. Sono circa 7000 oggetti, il cui nucleo principale è legato alla cultura asiatica. Si deve anche considerare che la collezione, in particolare le testimonianze africane, hanno subito gravi danni durante il conflitto mondiale quando il Castello è stato bersaglio dei bombardamenti. In vista della nuova collocazione, sono in corso anche nuove acquisizioni di arte pre-colombiana".

Ti sei chiesta perchè è nata l'idea di un museo delle culture a Milano?
"Si, e ho approfondito l'argomento analizzando lo stato attuale dell'immigrazione a Milano. Il progetto del Museo delle culture extra europee combacia perfettamente con la realtà attuale della popolazione straniera: questo è un aspetto positivo in quanto il futuro museo può puntare su un pubblico mirato, oltre a interagire con questo per eventi, percorsi, proposte qualificate e di un certo interesse culturale".

British Museum, Londra, dipartimento di Etnografia. Sezione AfriBritish Museum, Londra
 dipartimento di Etnografia. Sezione Afri

Come si conclude il tuo lavoro?
"Nell'ultima parte della tesi ho rapportato i diversi musei analizzati con il progetto Ansaldo; cosa questo nuovo edificio può trarre da altri esempi, cos'ha in comune, ecc… Ne è scaturito un aspetto positivo ed interessante: il progetto stesso, sia sotto il profilo architettonico che museologico, non si limita ad essere un museo, ma vuole essere un centro culturale, con ad esempio una piazza centrale, punto focale della struttura e da sempre elemento di incontro culturale, di scambio e confronto, oltre che luogo adatto per eventi e manifestazioni non solo artistiche".

Quali sono state le difficoltà che hai riscontrato in questo lavoro?
"Sono state legate in particolare al progetto, proprio perchè tale. Inizialmente pensavo che i lavori fossero ad uno stato più avanzato. Il comitato scientifico che sta seguendo il tutto doveva riunirsi ad ottobre, poi a dicembre… l'incontro è avvenuto qualche settimana fa. Si va molto a rilento. La certezza della realizzazione si ha, ma i tempi sono ancora incerti".

"Nei musei fatti con passione e ben organizzati, a confortarci non è la vista degli oggetti che amiamo, ma questa eternità di cui facciamo esperienza visitandoli".
(Orhan Pamuk, "Il museo dell'innocenza", 2009)

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Una tesi sulla funicolare varesina https://www.artevarese.com/una-tesi-sulla-funicolare-varesina/ Fri, 04 Dec 2009 06:44:33 +0000 La funicolare Sguardo al cielo – Cristina Monesi, neo laureata in Scienze dell'Architettura al Politecnico di Milano, ha un sogno nel cassetto: dare nuova vita al Grande Hotel del Campo dei Fiori. Nasce da questo ambizioso progetto, l'idea della studentessa originaria di Arcisate di dedicare la tesi di laurea alla riqualificazione della funicolare che collegava […]

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La funicolareLa funicolare

Sguardo al cielo – Cristina Monesi, neo laureata in Scienze dell'Architettura al Politecnico di Milano, ha un sogno nel cassetto: dare nuova vita al Grande Hotel del Campo dei Fiori.
Nasce da questo ambizioso progetto, l'idea della studentessa originaria di Arcisate di dedicare la tesi di laurea alla riqualificazione della funicolare che collegava la storica villa Liberty progettata un secolo fa da Giuseppe Sommaruga alla stazione di valle.
L'intraprendenza del neo architetto ha attirato l'attenzione e l'apprezzamento dell'amministrazione varesina che ieri mattina le ha reso omaggio.

Nel dettaglio – Suggestivo il titolo scelto dalla Monesi "Il trenino del cielo", citazione di un grande varesino scomparso da pochi mesi, Francesco Ogliari.
Progetti e desideri non si fermano con lo studio di valutazione sulla funicolare. "Sarebbe meraviglioso – ha commentato la giovane – recuperare il piccolo tratto di tramvia che collegava piazzale Montanari alla partenza della funivia, oggi sostituita con gli autobus"…

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Conventino, ipotesi di recupero https://www.artevarese.com/conventino-ipotesi-di-recupero/ Thu, 03 Dec 2009 12:54:05 +0000 La facciata del conventino Il convegno – In cattedra c'erano proprio tutti: Franco Bertolli, direttore della Biblioteca Capitolare di S.Giovanni, Augusto Spada, architetto nonché esperto conoscitore della città e il professore Amedeo Bellini, Direttore della Scuola di Specializzazione di Restauro dei Beni architettonici e paesistici, di Milano. Tutti convocati per prendere parte al convegno che […]

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La facciata del conventinoLa facciata del conventino

Il convegno – In cattedra c'erano proprio tutti: Franco Bertolli, direttore della Biblioteca Capitolare di S.Giovanni, Augusto Spada, architetto nonché esperto conoscitore della città e il professore Amedeo Bellini, Direttore della Scuola di Specializzazione di Restauro dei Beni architettonici e paesistici, di Milano. Tutti convocati per prendere parte al convegno che ha avuto luogo in città sabato pomeriggio 28 novembre, dal titolo: "La Busto Arsizio dal Cinquecento al Settecento, conoscere la storia e l'architettura per tramandarla al futuro".  Dopo aver tracciato un profilo della città di quel periodo storico, dal punto di vista culturale, urbanistico ed architettonico, il clou della conferenza ha visto l'intervento degli architetti Rolando Pizzoli e Silvia Carbut che hanno portato all'attenzione il caso della residenza cinquecentesca Canavesi Bossi, meglio noto come Conventino di via Matteotti, debitamente approfondito nella loro tesi di specializzazione che ha visto la collaborazione tra la Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti di Milano, diretta appunto dal prof. Amedeo Bellini, e quella di Genova, diretta dal prof. Stefano F.Musso. Una tesi che oltre alla storia dell'edificio, attualmente in uno stato di profondo degrado, ne ipotizza la rifunzionalizzazione. Ne parliamo con loro.

Come si struttura il caso di studio dell'edificio? 
"Lo studio si è articolato in più fasi, partendo da delle analisi a varia scala dell'edificio e del suo intorno, passando per uno studio puntuale delle possibili funzioni compatibili con una rifunzionalizzazione (ed eventualmente una valorizzazione) dell'edificio, per fornire infine delle indicazioni sugli interventi da eseguire".  

Il conventinoIl conventino

Che tipo di analisi avete realizzato? 
"Per quanto riguarda le analisi effettuate, si è innanzitutto realizzato un rilievo topografico dell'edificio, al fine di restituire le piante dei vari piani e alcune sezioni. Inoltre si è realizzato un accurato rilievo fotografico e successivamente, sovrapponendo le varie piante e mettendole in relazione con le notizie raccolte dalla consultazione delle fonti bibliografiche, cartografiche, documentarie e iconografiche reperite, è stato possibile ricostruire la stratigrafia costruttiva dell'edificio, anche attraverso un modello tridimensionale, evidenziando i principali corpi di fabbrica e la successione temporale con cui sono stati costruiti e modificati nell'arco dei secoli, a partire dal XV secolo fino ai giorni nostri. Infine, abbiamo analizzato la struttura materiale dell'edificio e le principali tecniche costruttive utilizzate".   

Quali sono le testimonianze architettoniche ed artistiche più significative che sono emerse? 
"Di probabile origine cinquecentesca sono le cantine voltate, paragonabili a quelle di Palazzo Marliani Cicogna, la ghiacciaia e una colonna lavorata ed analoga a quelle di altri edifici del XVI secolo sopravvissuti in città. Della seconda fase settecentesca, che ancora oggi connota integralmente l'edificio, sono l'elegante corte colonnata, i soffitti a cassettoni, gli oculi di sottogronda e l'enfasi data al portale d'ingresso".  

Su queste analisi si fondano le motivazioni di un recupero dell'edificio?
"Sì, queste fasi di studio ci hanno portato ad una conoscenza approfondita del manufatto, acquisendo delle informazioni atte a sostenere la necessità di un recupero dell'immobile, in quanto costituisce uno degli edifici più antichi e rappresentativi, anche dal punto di vista delle tecniche costruttive, dell'architettura storica di Busto Arsizio e che, tra l'altro, si è mantenuto pressoché intatto dal XVII secolo, degrado a parte ovviamente".

Un partic. del cortileUn partic. del cortile

Da qui avete avanzato un'ipotesi di recupero e di rifunzionalizzazione, giusto?
"Sì, abbiamo elaborato un'ipotesi progettuale che prevede di restituire l'edificio alla città conferendogli una funzione pubblica, che possa garantire un utile economico anche al Comune, attualmente proprietario dello stabile, per autofinanziare le opere di manutenzione ordinaria dell'edificio. Ovviamente la funzione deve essere compatibile con il mantenimento delle strutture storiche  e dei materiali originali. Si è proceduto inoltre alla verifica dell'effettiva possibilità di trasformare l'edificio in uno spazio pubblico, senza apportare eccessive asportazioni dei materiali originali, prevedendo quindi i nuovi vani scala ed ascensore e l'adeguamento anche ad un pubblico disabile e a predisporre adeguate misure di sicurezza e vie di fuga in caso di incendio".

Avete pensato concretamente a quale tipo di funzione pubblica potrebbe ricoprire?
"Sì, il nostro progetto prevede un edificio polifunzionale, cha abbia al suo interno funzioni pubbliche e semi-pubbliche, così distribuite: al piano terra piccole botteghe artigiane, in omaggio alla storica vocazione commerciale della via Matteotti, ed eventualmente si prevede anche una funzione culturale, dal momento che gli ambienti della porzione settentrionale, facilmente collegabili tra loro, possono essere facilmente adibiti a spazi espositivi, che possono comprendere anche i suggestivi ambienti della cantina e della ghiacciaia. Al primo piano, non potendo prevedere un grande afflusso di pubblico per non dover inutilmente rimuovere, e quindi perdere, i solai lignei ancora esistenti, si prevede di affittare gli spazi ad associazioni culturali locali o a piccoli uffici. Nel sottotetto, per la vastità dei suoi ambienti, è prevista la creazione di una sala riunioni, ad uso dei comitati di quartiere o di altre associazioni".

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