Che voce ha un angelo?
Forse è quella di Corpus Christi Carol o Lilac Wine, brani contenuti nell’unico album realizzato, Grace, di Jeff Buckley (17.11.1966–29.05.1997) datato 1994, e che ha rappresentato uno dei momenti più alti nel panorama della musica internazionale di quegli anni.
Molti lo ricordano per la struggente versione di Hallelujah di Leonard Cohen, tanto da identificarne in lui l’autore. Versione di mirabile intensità, con la chitarra di Jeff che sembra un organo liturgico, quasi un tentativo di placare i demoni profondi urlati invece in brani come Eternal Life e Mojo Pin.
Musicista estremamente preparato, chitarrista dalla visione armonica originale, introdotto alla musica dalla madre violoncellista classica che durante l’infanzia gli fa ascoltare Ravel, Ellington, Bartók, ma anche dal patrigno che lo introduce al rock dei Led Zeppelin, Hendrix, Queen, Pink Floyd.
Oltre a Grace ci lascia un corposo elenco di brani registrati in esibizioni dal vivo, bootleg e nastri incisi in sala prove che ci restituiscono un uomo donato alla Musica unicamente per talento e, forse, anche dal destino di avere come padre naturale quel Tim Buckley ben più famoso e maledetto.
Ma la sua voce ha una educazione, una estensione, una dinamica e un lirismo ancora insuperati, voce che può accarezzare come stordire improvvisamente, ed è quello che di Jeff davvero arriva al cuore.
Il suo volo era appena iniziato, ed era il volo di un ragazzo pulito che in una afosa serata estiva con amici decide semplicemente di accostare l’auto e buttarsi vestito nel Wolf River da dove non riemergerà vivo.
L’autopsia confermerà nessuna presenza di alcol o droghe, solo un tragico destino…
Nel buio del fiume, prima di esserne inghiottito, lo hanno sentito canticchiare allegramente Whole Lotta Love degli Zeppelin…
Discografia:
1994 – Grace; 1998 – Sketches for My Sweethart the Drunk (postumo); 2016 – You and I (postumo)
Luigi Fiore