chiesa di Biumo
Su "ArteVarese" del 22 dicembre scorso Clara Castaldo, segnalando un volume dedicato alle chiese di San Sebastiano a Biella e di San Cristoforo a Vercelli, ricordava la presenza in quest'ultimo edificio di arditi affreschi prospettici dei fratelli Giovannini, quadratori abilissimi di Varese, che in esso lavorarono, verso la metà del Settecento, col pittore di figura Francesco Maria Bianchi, nato a Torino, ma di antica e ragguardevole famiglia di Velate. Artisti del nostro territorio come, del resto, il marmista Carlo Giudici di Viggiù, sempre attivo nella stessa chiesa e nello stesso giro di anni. Non erano gli unici: molti altri artisti venivano richiesti per le loro capacità e abilità anche nelle capitali dell'arte. Come Roma o Milano.
I Longhi a Roma fra Cinque e Seicento – Di presenze
e Nastasio, Roma
nella Città Eterna di architetti e maestranze del Varesotto é colmo il volume di Margherita Fratarcangeli e Gianluigi Lerza (I saggi di Opus 17, Carsa Edizioni) che tratta di "Architetti e maestranze lombarde a Roma (1590-1667)". Tensioni e nuovi esiti formativi. Più che attendersi da esso un panorama degli artefici lombardi presenti nello stato pontificio lungo la metà del Seicento, impresa del resto non facile da compiersi, occorre restringere il campo proprio su un paese dell'alto Varesotto, da sempre terra feconda di uomini attivi in campo artistico ed edilizio: Viggiù. Da qui proveniva Martino Longhi il Vecchio (1534-1591) che, giunto a Roma come scalpellino, seppe poi imporsi fra i primi architetti, avendo per committenti il papa, potenti ordini religiosi ed assistenziali e famiglie autorevolissime. Da questa figura muovono, nel momento di passaggio fra manierismo e barocco e poi nella pienezza di quest'ultimo, il figlio Onorio (Viggiù 1568-Roma 1619), il nipote Martino il giovane (Roma 1602-Viggiù 1660) e il cugino Flaminio Ponzio (Viggiù 1561-Roma 1613). Tutti sono presenti a Roma in un periodo di febbrile attività edilizia ed operano a contatto con figure del calibro di Maderno, Bernini, Borromini e Pietro da Cortona e, fra gli artisti, di Caravaggio, amico e compagno di intemperanze di Onorio, Annibale Carracci, Rubens, Guido Reni e il Guercino.
Casati Dugnani a Milano
Le commissioni prestigiose dei Longhi e di Flaminio Ponzio – I Longhi, sostenuti anche da una miriade di "compaesani" che costituivano la "manodopera specializzata", puntigliosamente individuata dalla Fratarcangeli, seppero ritagliarsi in questa accesa temperie culturale, un ruolo "moderato", ma sempre di assoluto decoro, riuscendo, come scrive nella breve prefazione Tommaso Scalesse, a "cogliere l'antico e la potenzialità di rielaborare soluzioni originali in chiave moderna". Sono numerosissimi i cantieri dove operarono i Longhi ed il Ponzio e spiace di non poter qui elencare anche solo i più rilevanti. Ma par giusto almeno segnalare gli interventi assidui del Ponzio per la potentissima famiglia Borghese e quelli per gli Altemps di Onorio al quale spetta anche l'avvio, per volere del cardinal Sfondrati, della grandiosa fabbrica di San Carlo al Corso; di Martino il giovane non si può non ricordare la facciata dei Santi Vincenzo e Anastasio alla quale non si riserva nemmeno uno sguardo quando ci sediamo, stanchi morti, sui suoi gradini per vedere lo spettacolo, perennemente barocco, della fontana di Trevi.
Il Magatti in uno dei più sontuosi palazzi di Milano – Non ebbe bisogno di andare così lontano e nemmeno fu assiduo in presenze a Milano, un secolo dopo, Pietro Antonio Magatti, anche se in questa città le sue tracce apparvero in luoghi assolutamente non secondari. Per esempio nel palazzo alla Cavalchina del conte Giuseppe Casati dove nel 1731 Giovan Battista Tiepolo aveva decorato il salone da ballo con affreschi illustranti le Storie di Scipione. Proprio per far conoscere questi lavori così luminosi e sontuosi a conclusione del profondo restauro che permette finalmente di ammirarli dopo vicende sfortunate che li avevano davvero compromessi, é stato pubblicato da Skira un bel volume a cura di Maria Teresa Fiorio e Valerio Terraroli: "Tiepolo e le Storie di Scipione. Il maestro veneziano e i suoi seguaci a palazzo Casati Dugnani a Milano".
La condizione rovinosa dell'affresco magattesco – In una sala del piano nobile di questo edificio, v'è appunto, dipinta sulla volta, una medaglia del Magatti raffigurante Venere e Marte. Di essa scrive nel volume Simonetta Coppa, la studiosa per eccellenza del Settecento lombardo, rammaricandosi della perdita quasi completa della figura di Venere. V'è da augurarsi che un restauro – speriamo prossimo – possa restituire almeno le finezze cromatiche di questo affresco, uno dei rari a soggetto profano del Magatti. In esso l'artista creò una delle sue opere più felici dove é "sigla affatto personale – lo rileva la Coppa – la vaporosità atmosferica che… giunge nella ricerca di trascoloranti evanescenze a precorrere effetti ottocenteschi della pittura degli scapigliati fra Cremona e Ranzoni".
Immagini di un passato lontano – Sia pure in bianconero quest'opera la si può ammirare nella fulgente completezza con cui si presentava ancora nel 1897 e ciò grazie ad una tavola contenuta in una cartella editoriale pubblicata a Torino per illustrare i lavori del maestro veneto. Nella didascalia non si leggeva per l'affresco il nome del Magatti; il riferimento appariva scontato al Tiepolo tanto esso appariva condotto con padronanza e compitezza agli amatori d'arte di fine Ottocento.