Potresti riassumere in estrema sintesi l'argomento che hai affrontato nella tua tesi e il percorso che hai seguito?
"Mi sono occupato di un argomento apparentemente paradossale e cioè il restauro dell'arte digitale. In realtà si tratta dell'approfondimento del tema più generale della conservazione e del restauro dell'arte contemporanea che, in questo periodo, è uno dei più controversi e dibattuti in ambito culturale. I motivi di tanta attenzione sono molteplici, da quelli prettamente tecnici come l'estrema deperibilità dei materiali contemporanei, la pervasiva obsolescenza tecnologica dell'hardware o la scarsa retro-compatibilità degli ambienti software a quelli più filosofici come la dicotomia interna all'opera tra oggetto e concetto. Senza dimenticare poi l'aspetto giuridico e legislativo, assolutamente rilevante in una situazione di contemporaneità, in cui diversi soggetti (autore, proprietario, curatore, restauratore ecc.) si ritrovano a (inter)agire, ognuno con i propri diritti, i propri doveri e soprattutto i propri punti di vista. Grazie al sostegno del docente Giorgio Zanchetti, ho cercato di rispondere nel modo più semplice possibile alle questioni che io stesso mi sono posto all'inizio di questo affascinante percorso di studio: cosa si intende per "arte digitale"? Quando è nata? Perché è così difficile da tutelare e conservare? E infine come mai il restauro di tali opere risulta così complesso e impegnativo?"
Quali sono i motivi che ti hanno condotto ad affrontare l'arduo tema del restauro di un'opera d'arte contemporanea digitale? Cosa ti ha spinto a scegliere proprio l'opera di Mario Canali?
"Credo di aver voluto, a livello inconscio, realizzare una sintesi dei miei interessi e dei miei studi passati. Sono sempre stato appassionato di informatica e di tecnologia; alle superiori ho studiato elettronica, mentre all'università mi sono dedicato alla storia dell'arte. Così quando l'anno scorso ho avuto la possibilità di frequentare un corso di restauro a Milano ho finalmente capito che queste due discipline così diverse potevano, in qualche modo, coesistere. La scelta di parlare in particolare di Form in progress è maturata dopo un'approfondita analisi delle opere appartenenti alla sezione digitale della GAM di Gallarate. L'opera di Mario Canali, rappresentando un caso paradigmatico si prestava, meglio delle altre, a fungere da archetipo per il restauro dell'arte digitale".
Potresti descrivere l'opera Form in progress da te presa in esame e il tipo di procedimento impiegato per il suo restauro?
"Form in progress nella sua sussistenza tangibile è semplicemente una struttura lignea decorata, atta a celare, contenere e proteggere la strumentazione elettronica (computer, amplificatore, monitor, cavi elettrici ecc.). Altra cosa è il software Form in progress e cioè il programma che "vive" all'interno dell'installazione fisica; esso è uno dei primi studi effettuati sulla possibilità di ottenere con il computer un segno dinamico. L'opera a causa della sua stessa natura tecnologica, e di una conservazione non ottimale, ha cominciato a mostrare i primi segni di usura solo pochi anni dopo il suo ingresso in museo. Tenuto conto della particolarità dell'opera si è deciso così di affidarne il restauro all'autore stesso [Mario Canali ndr], il quale in un primo momento, viste le difficoltà incontrate, ha proposto perfino la permuta dell'opera. Ne è seguito un intervento lungo e laborioso, soprattutto di ricerca del materiale informatico compatibile, per sostituire quello non più funzionante (scheda madre, lettore cd ecc.). Da questo punto di vista, rispetto alle quattro modalità di intervento standard nel restauro dell'arte digitale, ripristino, emulazione, migrazione e reinterpretazione, è chiaro come si sia seguita la prima strada, ossia ripristinare l'opera grazie a "nuovi" componenti precedentemente acquistati/catalogati/archiviati proprio con lo scopo di essere utilizzati come pezzi di ricambio".
"Conservare l'oggetto o conservare l'idea?", questo è il titolo che hai dato ad un paragrafo della tua tesi. Qual è il tuo punto di vista nei confronti della conservazione delle opere d'arte contemporanea?
"È il punto focale di tutta la trattazione. In realtà si tratta di una domanda retorica, poiché senza risposta, o meglio con infinite risposte (che poi è lo stesso). Sarebbe bello trovarsi sempre nella condizione di poter conservare sia l'oggetto che l'idea, ma questa fortunata situazione è nell'arte contemporanea, e in quella digitale in particolare, estremamente rara. Occorre quindi fare scelte spesso difficili, consapevoli di incidere pesantemente sull'unità oggettuale/concettuale dell'opera. Non è facile, d'altronde, approcciarsi a installazioni artistiche la cui fragilità e precarietà rappresentano l'essenza stessa dell'opera. Per questo motivo è, a mio parere, fondamentale conoscere l'opinione dell'artista; nelle conclusioni della tesi mi sono spinto oltre, auspicando l'adozione di una nuova procedura di conservazione che ho chiamato "testamento artistico" per richiamare quello che in campo medico è il testamento biologico".
Nella tua tesi compaiono tre interviste: una a Mario Canali, artista dell'opera che prendi in considerazione, una a Giulia Formenti, Conservatrice della Gam di Gallarate e una ad Andrea Carini, restauratore alla Soprintendenza di Brera. Cos'è emerso dalle tre interviste? Hai riscontrato dei pareri concordanti riguardo l'argomento restauro?
"Le tre interviste non fanno che confermare l'attuale stato di urgenza e necessità in cui versa il settore della conservazione e del restauro dell'arte contemporanea, l'obiettivo all'orizzonte è di trovare una nuova unità procedurale. La documentazione e il dialogo con gli artisti rimane la strada maestra da percorrere, ma se da un punto di vista generale le opinioni degli intervistati convergono, si possono notare delle differenze nell'approccio pratico, differenze tutto sommato sottili, ma che rispecchiano le rispettive categorie di appartenenza. Da una parte c'è l'artista con una mentalità più libera e aperta a soluzioni anche non ortodosse, dall'altra il conservatore più attento al rispetto formale dell'opera. Il restauratore si pone in una via di mezzo: propositivo ma nel stesso tempo rispettoso nel riguardo dell'integrità dell'opera. Nell'impossibilità di stabilire a priori la posizione migliore, non si può che augurarsi un dialogo costante tra queste figure, magari affiancate e supportate da storici e scienziati dell'arte, con lo scopo ultimo di preservare e trasmettere, nel migliore stato possibile, l'arte contemporanea alle future generazioni".
Per lo svolgimento della tua tesi hai lavorato a stretto contatto con la Gam di Gallarate. Com'è stata la collaborazione? Credi che, in futuro, verranno messe in pratica le indicazioni che hai dato nella tua tesi sul restauro di Form in Progress?
"La collaborazione con la GAM di Gallarate è stata assolutamente positiva. Non so se si arriverà mai all'applicazione del testamento artistico, ma la mia speranza è che almeno tra gli addetti ai lavori cresca sempre di più la consapevolezza dell'estrema fragilità di molte opere d'arte contemporanea, condizione che impone a tutti un costante aggiornamento teorico, artistico, tecnico e scientifico. D'altronde pochi anni per un'opera d'arte digitale equivalgono a molti secoli per un'opera tradizionale".