polittico di Crivelli (part.)
Carlo Crivelli è ancora oggi un pittore che sconcerta, quasi impossibile da catalogare con etichette complessive come ‘gotico' o ‘rinascimento'. E sembra davvero che intorno alla sua vita, abbiamo più domande che sicurezze. Veneziano, quasi coetaneo di Bellini e Mantegna, lasciò la patria dopo il 1458 e non vi tornò più, trovando nelle signorie e nelle città marchigiane il luogo dove fare apprezzare i suoi polittici, giganteschi e rutilanti di ori ma con dettagli anticheggianti in impeccabile prospettiva. I suoi primi dipinti testimoniano però che, come tutti i giovani artisti della sua generazione, fu attratto da Padova, con la bottega di Squarcione e i nuovissimi affreschi di Mantegna agli Eremitani, mentre in patria frequentò le due botteghe più importanti della città, quella di Jacopo Bellini e quella dei Vivarini. Proprio le sue scelte di vita e di stile, del resto, ne decretarono la sfortuna critica e la scomparsa, quasi totale, dalle trattazioni dedicate alla storia dell'arte. Tornando alla sua vicenda biografica, sappiamo con certezza che soggiornò più stabilmente ad Ascoli e, dai primi anni ottanta, a Camerino, ma eseguì numerosi dipinti per Ancona, per Fermo e per Fabriano. Nelle Marche morì, in un luogo non ancora accertato, tra il 1494 e il 1495.
Sono le sue tavole a farci da guida per seguire il suo itinerario. Coetaneo di alcuni dei più grandi artisti del Quattrocento, Crivelli percorre una strada assolutamente autonoma. Le sue tavole fastose, racchiuse in cornici dorate ricche di intagli, decoravano le chiese di centri
anche piccolissimi della regione, così che l'opera sua e dei suoi imitatori finì per caratterizzarne profondamente il volto. Ma in che cosa consiste questa sua "cifra autonoma", tanto celebrata e tanto singolare? Gli oggetti che predilige sono legati tra loro da leggi ambigue e talvolta spiazzanti. Basta osservare i dipinti con attenzione per trovare continui salti di dimensione (teschi grandi come grappoli di ciliegie), deformazioni per conferire alle forme una eleganza artificiale (le mani che si allungano e si piegano in modi inverosimili), giochi spaziali usati per catturare lo spettatore (gli oggetti che sporgono dai gradini su cui sono dipinti i personaggi, le candelette sospese sulla soglia del mondo dipinto), continue variazioni di forme e colori anche tra elementi, come le cornici, che avevano il compito di dare unità agli insiemi. E' un gioco tanto anomalo che alcune delle tavole giunte a Brera nei primi dell'Ottocento furono sottoposte a restauri che avevano lo scopo di normalizzarle e di facilitarne la presentazione come dipinti singoli.
Le opere in mostra provengono dalle più importanti collezioni d'arte del pianeta, tra cui, ovviamente, la Pinacoteca di Brera. Quella dei Crivelli è dunque una rassegna pienamente inserita nella collezione dell'istituzione milanese, giacchè numerosi sono i capolavori di quest'autore convogliati, dalle commissioni incaricate dal governo napoleonico, in Lombardia. Proprio nel 1811 una commissione assoldata a tal scopo, battè palmo a palmo il territorio marchigiano per individuare i dipinti da portare a Brera, che doveva diventare il museo degno della capitale del Regno d'Italia, capace di rappresentarne tutte le più alte espressioni artistiche.
Pur attento a quanto di più nuovo avveniva sulla scena artistica – e il confronto tra le opere in mostra lo testimonia – Carlo Crivelli, restò dunque fedele ad una idea di pittura e del suo uso quasi medievale: i suoi polittici sono scatole tridimensionali che non raccontano storie, ma presentano ai fedeli il loro contenuto di santi e hanno il prestigio dei materiali preziosi, lavorati con sapienza infinita nelle tecniche più diverse. Queste pale erano macchine complicate, che prevedevano il concorso di mastri legnaioli, carpentieri e intagliatori, battiloro e pittori. Lavorare insieme significa anche scambiare idee ed esperienze. Non sono rapporti solo professionali : Crivelli frequenta scultori importanti o orafi come Pietro Vannini di cui la mostra offre la possibilità di ammirare uno dei capolavori, la statua argentea di sant'Emidio. Non stupisce dunque la proprietà con la quale Crivelli
riesce a riprodurre effetti di altre tecniche suntuarie. Delle stoffe osserva e restituisce il luccichio delle trame d'oro sul fondo o la lavorazione dei motivi double face; delle ceramiche riprende le forme ma anche i dettagli esecutivi, le imperfezioni del rivestimento e così pure delle oreficerie. Lavora con una sensibilità analitica, alimentata da una puntuale copia dal vero degli oggetti.
Dialoghi paralleli e continui – Per questo si sono voluti raccogliere in mostra, accanto ai dipinti, oggetti delle categorie più diverse, dai tessili alle ceramiche, dai tappeti alle oreficerie che dimostrano la capacità di Crivelli di tradurre col pennello effetti propri di altre tecniche (valga per tutti la restituzione dei broccati allucciolati, cioè con i fili d'oro che creano degli occhielli). Essi testimoniano anche come queste pitture visionarie e talvolta espressionistiche partano da una riproduzione disperatamente puntuale della realtà, sia essa un dato naturale o un oggetto, che viene poi trasfigurata dallo stile. I manti delle Madonne sono copiati dalle pezze che i mercanti toscani e veneziani portavano nelle Marche, il pugnale che trafigge il petto di San Pietro Martire si ispira ad armi signorili e non a caso una tipologia di tappeti, rara e presente in mostra, ha preso il nome convenzionale di tappeto Crivelli.
La mostra non vuole dunque ricostruire la carriera di Crivelli, ma fornire una riflessione, attraverso questa vicenda esemplare, sulle logiche che hanno guidato la prima organizzazione di Brera e le politiche di crescita di alcuni importanti musei stranieri, spesso in lotta tra loro per superarsi ed aggiudicarsi le opere ritenute più prestigiose. Inoltre, il percorrere in sequenza le opere, tutte eseguite nella parte finale -spesso a torto svalutata- della carriera del pittore, fa cogliere in sintesi passaggi cruciali del suo percorso artistico. Durante gli anni Ottanta del Quattrocento, Crivelli abbandona la prediletta struttura del polittico sperimentando composizioni unitarie a grande scala, e sembra voler mettere alla prova le possibilità imitative della pittura.
Punti di vista – Intrecciando questi angoli di visuale diversi, in un percorso breve e concentrato al cui interno sono integrate altre opere del patrimonio museale, la Pinacoteca di Brera vuole offrire ai visitatori un'immagine più ricca e sfaccettata, più rispondente alla reale statura artistica di un artista certo sconcertante ma straordinario.
Crivelli e Brera
Milano, Pinacoteca di Brera,
sala XX, XXI, XXII
dal 26 novembre 2009 al 28 marzo 2010
Da martedì a domenica dalle ore 8.30 alle ore 19.15 (la biglietteria chiude 45' prima).
Chiuso il lunedì
Mostra a cura di Emanuela Daffra