Domande cruciali, imbarazzanti, talvolta retoriche. In questo periodo, la cultura, tra un crollo, un taglio e una serrata, se la passa davvero brutta. E sorge spontaneo il quesito: con la cultura si mangia o no?
Tuttavia, per l'estensione e la vaghezza che si porta dietro, la domanda sembra quasi esistenziale e potenzialmente aperta a tutte le interpretazioni. Più interessante, allora, ci pare la possibilità di circoscriverla e domandare allora: quali sono i mestieri della cultura e con questi si mangia o no? Come vengono trattati attualmente quì da noi i termini "professione", "attività", "mestiere" nel campo culturale? Un possibile bandolo della matassa per riflettere su queste questioni potrebbe essere il paradosso fin troppo noto che riguarda il mondo dell'arte: siamo ricchi come pochi di vestigia e di testimonianze uniche e fondamentali, eppure disattenti rispetto alle profesioni e ai mestieri che dovrebbero averle in cura, farcele capire e trasmetterle, se vorremo e se saremo in grado, ai posteri.
Problemi di fondi e di investimenti, certo, di mancanza di relazioni con altri settori, di compartimenti stagni entro i quali l'universo culturale se ne sta barricato. Ma quelle che restano nell'ombra totale sono, a nostro avviso, le risorse professionali, gli specializzati del mondo dei beni culturali, l'esercito dei lavoratori che spende le proprie energie quotidiane intorno al patrimonio storico-artistico. Forse non si mangia con la cultura anche perchè manca una tassonomia aggiornata sulle professioni culturali, una carta d'identità degli impieghi, più o meno sommersi e più o meno riconosciuti.
Il dibattito, anche a livello locale, potrebbe muoversi da questa piattaforma: il settore culturale è vittima di luoghi comuni, ipocrita sull'entità dell'offerta culturale, aggressivo nel campo finanziario e ingrato nella considerazione delle risorse professionali, in preda alla confusione tra flessibilità ed arrembaggio, esigenze gestionali e tagli di fondi, edutainment e showbiz. "Non è un fatto che stupisce, se si considera l'ostinazione con la quale il lavoro nel settore culturale continua ad essere descritto con dovizia di similitudini religiose: la vocazione, l'estasi, l'iniziazione, tutte espressioni che la dicono lunga sulla visione dominante; si capisce bene perchè il lavoro culturale non appaia meritevole di un'analisi scientifica".
Una sintesi illuminante che si trova sfogliando il bel volume di Emilio Cabasino, intitolato: "I mestieri del patrimonio. Professioni e mercato del lavoro nei beni culturali in Italia". Giacchè a furia di autodefinirci operatori della cultura nel tempo libero, volontari ad libitum o sacerdotesse immolate sull'altare della cultura, l'orizzonte della conoscenza e quello della competenza si affossano.