Non solo una drammatica discesa negli inferi di una lunga serie di tragedie, in cui, a cambiare, sono date, protagonisti e tecnica, ma che porta sempre allo stesso amaro epilogo, fatto di lacrime, di tombe senza nome, di corpi dilaniati, di macerie fisiche e spirituali, di innocenza violata.
Quello de La Stampa è anche il cammino del giornalismo, dal linguaggio arcaico a quello moderno, dal calamaio ai computer, dalle prime rudimentali macchine da scrivere ai Tablet di ultima generazione. Immutabile, invece, l'arte del raccontare ciò che si scrivere guardando, sentendo, provando direttamente, senza filtri, senza precauzioni.
Così come il primo cronista mangia la polvere del deserto, i suoi successori strisciano nelle trincee fangose dell'Isonzo, vivono la paralisi senza tempo di Leningrado, percorrono i cunicoli scavati dai vietcong, tallonano l'irresistibile avanzata israeliana, immortalano la piazza di Sarajevo falcidiata dai cecchini, contano le vittime schiacciate dalle Torri Gemelle, assistono alla macabra raccolta dei nostri caduti a Nassiriya.
E poi Iraq, Afghanistan, fino alla Siria, con il video che riporta l'intervento dello stesso Quirico e il racconto dei suoi cinque mesi di prigionia.
All'uscita una scritta ci ricorda che le guerre scoppiano in luoghi e per motivi diversi. Ma di quei luoghi e di quelle ragioni, alla fine, non resta che un pallido ricordo. Risucchiato dal buco nero che la violenza scava nel cuore di tutti, a cominciare dai vincitori.
Dal nostro inviato al fronte. 100 anni di guerre nei reportage dei cronisti La Stampa.
Palazzo Mazzetti, Corso Vittorio Alfieri, 357 – Asti
Orari: da martedì a domenica dalle ore 10.30 alle ore 18.30 (ultimo ingresso ore 17,30)