Seduti nel Circolo famigliare adiacente allo Spazio Oberdan, tutti e due curiosi di quel mondo ruspante diviso tra scopa d'asse, bianchini, giornali e invettive. Come nelle osterie di fuori porta. A parlare di vita e opere di questo artista italo-alsaziano, diviso per motivi storici tra Francia e Germania, della sua pittura che ha ancora tracce di tinte e stilemi nordici, benché in Italia da più di sessant'anni.
E di una notorietà non solo artistica ma che meno di due anni ha preso una piega cronachistica quando sui giornali di tutta Italia e mezzo mondo il suo nome venne accostato ad un ospite definito pubblicamente poco gradito: l'ex gerarca delle SS Eric Piebke.
"Mi mancano questi posti che stanno scomparendo – dice guardandosi in giro – stanno scomparendo anche i compaesani, quelli nei quali ci si riconosce, ai quali puoi dire vieni a bere un bicerin". Dice proprio così, in dialetto.
Dietrick Bickler è a Castelseprio, sta allestendo una piccola personale di una ventina di olii. I temi, quelli classici della sua produzione: i paesaggi toscani, le architetture, gli scorci marini, e da buon intenditore, le silhouttes di bottiglie di vino.
Quando è arrivato in Italia?
"Nel 1948. A Portofino. Avevo otto anni. Per me che venivo dalle macerie della Germania, se dopo la morte dovessi andare in Paradiso, saprei già come è fatto".
Poi come si svolse la sua vita?
"Andai a Milano. Frequentai corsi serali all'Accademia di Brera, finché mi stabilì sul Lago Maggiore circa a metà degli anni Cinquanta (nella casa costruita dal padre, ndr). Un altro angolo di paradiso. Ho provato a studiare da architetto, ho lavorato con mio padre. Ma dopo la mia prima mostra nel 1971 alla Galleria delle Colonne a Milano ho capito di voler fare solo il pittore".
In quella occasione venne presentato da Adele Faccio, che parlò della sua pittura avvicinandola ai "presupposti stilistici dei maestri tedeschi".
"Si, allora, mi ispiravo ad un certo espressionismo forte, intenso. Era una mostra dedicata a Venezia e al suo dramma di città a rischio di scomparsa. Ricordo che Indro Montanelli, tra gli altri, conduceva a quei tempi campagne e sottoscrizioni per salvarla dal fango. I miei lavori cercavano di rappresentare questa sorta di caduta, di tracollo della città".
Poi però ha cambiato tipo di prospettiva.
"Con l'età si toglie, si sintetizza. Ma allo stesso tempo si aggiunge"
Nelle sue opere le ha delle tematiche costante: paesaggi toscani o delle coste meridionali ma molto spesso indaga anche gli scorci architettonici.
"Non dimentichi che ho provato a far l'architetto. Le case dove io e mia moglie abitiamo le ho disegnate io. Sono molto attratto dal discorso architettonico".
Anche se tradotto con molta libertà, quasi onirica.
"Si, così come il mio approccio alla satira, altra parte non minoritaria del mio lavoro. D'altra parte, basta guardarsi in giro. Bisogna ridere per non piangere".
Bickler torna ad immergersi nel suo bicchere di bianco e racconta del suo gozzo ormeggiato a Monvalle. "Lavoro dall'autunno fino ad aprile – dice – poi appena posso prendo la mia barca e giro il lago", come in un libro di Piero Chiara. Come un viaggiatore solitario
E come un viaggio senza compagnia è la descrizione che fa della sua carriera benché "baciata" da più di centro mostre personali.
"Sono un lupo solitario, nessuno mi ha mia cercato, né io ho mai cercato nessuno, ne critici, né gallerie, né partiti. Né il mercato".
Che rapporti mantiene con la Germania?
“Ho un fratello che è direttore di un carcere a Francoforte, ho una sorella che vive lì. Ogni tanto ci vado. Non di rado organizzo delle mostre. La prossima ad esempio, sarà in aprile ad Amburgo”.
Vende bene?
“Ho sempre venduto bene. Da qualche anno, da quando c'è l'euro, il mercato si è fatto più fermo”.
Lei non molto tempo fa è balzato agli onori della cronaca per aver ospitato in casa sua Eric Priebke.
Vuole raccontare come è andata? Vi conoscevate da tempo?
“Sono sempre stato interessato alla storia e da tedesco in particolare ho interesse in queste vicende (Bickler è figlio di un indipendentista alsaziano divenuto tra i principali responsabili della Gestapo nella Parigi occupata, ndr). Sono andato a trovare Priebke a Roma qualche anno fa, agli arresti domiciliari. Poi, avendo lui l'autorizzazione del magistrato al trasferimento in altra località per qualche giorno, l'ho ospitato”.
Una decisione che ha sollevato un vespaio di critiche e polemiche
“Che non condivido. Fatte da gente che non conosce. Non sopporto l'idea che i colpevoli siano tutti da una parte e tutti tedeschi. Ma cosa crede che durante la guerra si potesse telefonare a Berlino ad Hitler e discutere gli ordini? E poi stiamo parlando di un vecchio di più novant'anni”.
Come è uscita la notizia che si suppone avrebbe dovuto rimanere segreta?
“Mah, non lo so, probabilmente qualche fuga di notizie dalla stessa Polizia. Fatto sta che dopo aver avuto per giorni le televisioni, i giornalisti davanti a casa, i fotografi sugli alberi, Priebke stesso ha deciso di tornare a Roma per non esasperare la situazione”.
E a Cardana di Besozzo, dove abita, che tipo di reazioni ha avuto?
"Solidarietà da più parti. Altri, in molti hanno preso le distanze da quel tedesco che ospita i nazisti…"