Mi ritrovo scaraventato ancora nella stanza azzurra e sono consapevole del fatto che mi rimane soltanto una porta da aprire. E’ molto antica, di un legno che, di certo, ne ha viste tante. Noto dei segni che compongono una lunga iscrizione. Cerco di renderli leggibili, togliendo con le mani gli strati del tempo e a poco a poco compare la frase “Non ti chiedo miracoli, ma la forza di affrontare il quotidiano, […] non darmi ciò che desidero ma ciò di cui ho bisogno, insegnami l’arte dei piccoli passi. […]. Le stelle sono illuminate perché ognuno, un giorno, possa trovare la sua1.”
E più sotto, in piccolo “segui le L delle stelle!”.
Capisco. Traccio una linea immaginaria che parte dalle due lettere “L” della parola “stelle” ed arriva al pavimento. Trovo un buco nella porta, che sembra più che altro la tana di un topo dei cartoni animati. Mi viene in mente solo un topo che può avere un link con l’Arte Contemporanea. Con molto timore infilo la mano dentro al foro cercando qualcosa, poi d’istinto ruoto il palmo verso di me e tiro con forza. Il meccanismo dell’apertura si sgancia.
Qui, in effetti, accade qualcosa che non mi sarei mai aspettato in un “viaggio di formazione”: ritorno al punto di partenza.
Anziché giungere ad una nuova meta, un cambiamento, un’evoluzione della situazione precedente, mi ritrovo catapultato ancora in Portobello Road. Cosa vuol dire? Non ha senso. Com’è mio solito, mi fermo a riflettere.
I luoghi che per me hanno rappresentato in passato delle inattese scoperte, in questa peregrinazione mi sono sembrati privi di slancio emozionale, in pratica non mi hanno detto più nulla. Certo, significa che non bisogna mai sperare di avere le stesse suggestioni ritornando in un posto già amato in precedenza. Saranno cambiati i nostri occhi, le nostre aspettative. E poi, avendo sperimentato altri lidi, il bagaglio di sensazioni già provate sarà senz’altro colmo. La delusione è quindi dietro l’angolo..
Forse assaggeremo qualcosa di altrettanto intrigante ma certamente non dobbiamo aspettarci la medesima meraviglia della “prima volta”. E fin qui ci siamo.
Ok, però andiamo oltre. Ero pronto ad una “terza via”, un’ultima possibilità per emozionarmi e invece mi scopro ancora qui, su di un marciapiede già percorso da tempo. Non può finire così: sono io che non ho capito niente. Cerco un nuovo indizio, un particolare che non avevo ancora scovato.
Ora che ci penso anche la posizione di Google-map non quadra molto: non mi trovo davanti al negozio delle campane tibetane ma sono stato catapultato circa cento metri prima. Alzo lo sguardo e leggo la scritta “The World Famous Gallery”. Poco a destra è dipinta la sagoma di una ben nota bambina alla quale è appena scappato il suo palloncino rosso a forma di cuore. B.A.N.K.S.Y.
Ma certo! Il topo più famoso dell’Arte mi ha condotto qui!
La traccia che cercavo era già davanti ai miei occhi. Ma io non ci avevo fatto caso. Prima dovevo compiere il giro della città. Metabolizzare il mio passato.
Conosco questo enigmatico artista: avevo già adocchiato i suoi lavori a Betlemme, nel 2014, sul muro che divide Israele dai territori palestinesi.
Utilizzare un confine come lavagna per i propri pensieri mi era sembrata un’idea quantomeno coraggiosa.
Provvisorietà [si spera] del supporto per parlare di un concetto enorme, proprio nel luogo in cui non si può nemmeno pronunciare la parola PACE. Fugace, audace, efficace.
L’innovazione dell’Arte sta dalla parte della comunicazione. L’opera contemporanea non deve più essere per forza esteticamente piacevole ma il suo compito ora è quello di regalarci un messaggio. Chiaro, rettilineo, inequivocabile. Anche ironico o sarcastico. Caustico, se necessario. Ma gratuito. Per tutti.
Basta una piccola frase, un disegno, una parola: potremmo chiamarla “Scrittura comunicativa”, perché di fatto buona parte della scrittura alla quale siamo abituati di comunicativo ha ben poco.
Banksy ci getta addosso all’improvviso – come una secchiata di vernice – un fulgore, un suggerimento, un sorriso, una smorfia di orrore, il coraggio di scrivere su di una parete quello che tutti avremmo voluto sostenere. Illegale? Certo. Perché la spazzatura abbandonata nei parchi non lo è? E la deforestazione incontrollata? La guerra? La “contabilità creativa2“? Se è vero che l’espressione artistica è generata dall’insoddisfazione, il nostro essere ostinatamente occidentali produce vagonate di inutilità. Invece l’enigmatico autore ci mostra con ironia proprio le brutture generate dalla società di cui andiamo tanto fieri, seminandole gratis perché tutti dobbiamo avere la possibilità di essere disturbati, di aprire gli occhi. Tanto poi qualsiasi colpo di scena controcorrente diventa pop e finiamo per comprare i suoi gadgets, così lui (o loro) guadagna(no) lo stesso.
Alla fine scopro che Banksy produce addirittura un film, “Exit Through the Gift Shop”, in cui sforna la chiave di lettura del proprio operato, mostrando che i suoi lavori sarebbero ridicoli se privati di quel collante indispensabile che è il significato. A questo punto della Storia dell’Arte chiunque può fare l’opera ma solo l’Artista sa distillarne il senso. L’unico atto creativo possibile, in un mondo dove tutto è copiato e taggato è diffondere la verita’, meglio se scomoda.
Ora sì, posso prendere la via di casa, con nuovi spunti creativi. Prima però decido di rientrare nel negozio tibetano.
Con un sonoro “Good Morning” provo a ridestare il commesso che è ancora lì, ipnotizzato dal suo cellulare.
“Volevo avvisarla che diverse assi del pavimento sono staccate. Qualcuno sovrappensiero potrebbe inciampare!”. Lui sorride e si scusa: “E’ vero: Bisogna sempre sapere dove si cammina…” E torna a messaggiare.
Grazie, Londra. Ancora una volta sei stata premurosa nel diffondere le tue buone onde e mi hai rivelato di nuovo la strada, inattesa, da seguire.
1 Antoine de Saint-Exupéry, Le Petit Prince, 1943
2 Evasione Fiscale
Ivo Stelluti, Il Viaggiator Curioso.
Notting Hill, Londra, 8 giugno 2019