J. Nachtwey, New York, Collapse of south tower of World Trade CeJ. Nachtwey, New York, Collapse of south tower of
World Trade Center

Il fotografo James Nachtwey, che con la sua macchina fotografica ha raccontato le zone più calde del pianeta – dall'Afghanistan dei Talebani all'Europa dell'Est alla caduta del muro di Berlino, la mattina dell'11 settembre 2001 si trovava in un palazzo poco lontano dalle torri gemelle. Quando si rese conto di quanto stava accadendo scese subito in strada per documentare la tragedia. I suoi scatti insieme a quelle di altri fotoreporter come Steve McCurry, Alex Webb, Gilles Peress e Susan Meiselas della Magnum Photo ripercorrono i tragici momenti dopo l'impatto dei due aerei: dall'incredulità mista ad angoscia dei primi istanti, alla disperazione davanti ai volantini con gli elenchi dei nomi e dei volti dei dispersi.

Simboli di speranza – 
Nel 2009 gli scheletri delle torri, che sono stati immortalati dai fotografi negli istanti o nei giorni successivi al crollo, per iniziativa del governo americano sono stati messi gratuitamente a disposizione di fondazioni, città o artisti che ne avessero fatto richiesta presentando, tramite un concorso internazionale, un progetto che commemorasse l'11 settembre. Fra i novemila progetti inviati ne vennero selezionati quaranta, tra cui quello dell'artista pugliese Antonio Paradiso. Unico italiano, Paradiso si recò nel 2010 nell'hangar 17 del JFK International Airport di New York per selezionare il materiale per il suo progetto e rimase profondamente colpito nel vedere le putrelle di acciaio, che un tempo costituivano le strutture portanti dei due grattacieli, contorte dal calore e dall'urto e

Antonio Paradiso, Global Last Supper, 2011Antonio Paradiso, Global Last Supper, 2011

giacenti a terra "come le anime di chi con loro ha lasciato la vita". A partire da questi resti l'artista ha creato l'opera Ultima cena globalizzata che, richiamandosi al tema cristiano dell'ultimo pasto di Cristo, diviene simbolo di comunione tra tutti i popoli. Le tredici figure raccolte attorno allo spazio condiviso di una tavola hanno infatti ognuna un nome scelto tra quelli più comuni nei diversi paesi del mondo che sono stati coinvolti nella tragedia. Quest'opera si inserisce nel lungo iter di ricerca dell'artista, spesso avvicinabile a quello dell'antropologo o dell'archeologo, che lo ha portato a viaggiare in molti paesi del mondo per scoprire le tracce delle diverse civiltà. Il recupero di materiali già esistenti ha avuto fin dagli anni Sessanta un particolare significato all'interno della sua opera. Come ha lui stesso affermato in un'intervista del 1989, "i materiali sono sempre stati un attrezzo, un tramite" e "il più delle volte erano stati già usati", perché "volevo che le opere avessero traccia di uso, di storie vissute". La storia che le forme contorte dell'Ultima cena globalizzata raccontano conserva ancora tutta la tragicità di quei momenti, ma apre anche alla speranza. Speranza a cui alludono anche le opere della serie Ascension for Our Time, realizzata sempre a partire dai resti delle Twin Towers, incentrata su uno dei temi più cari all'artista, quello del volo degli uccelli, che simboleggia l'aspirazione dell'uomo alla pace e alla libertà.

11.9 Il giorno che ha cambiato il mondo
Dieci anni dopo. Documenti e immagini
Antonio Paradiso. Ultima cena globalizzata | Global Last Supper
Milano, Palazzo Reale, Piazza Duomo 12
fino al 2 ottobre 2011
Orari: lunedì 14.30 – 19.30; mar mer ven dom  9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30 – 22.30;ultimo ingresso un'ora prima