“Il sole non era ancora tutto apparso sull’orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico per salire alla casetta dov’era aspettato. È Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare”. Son queste le parole con cui Alessandro Manzoni dà avvio al IV capitolo dei Promessi Sposi facendo cenno – l’unico invero – ad un luogo non di fantasia, ma ben conosciuto perché lo poteva raggiungere con un cammino tra i campi o lungo “la strada che da Lecco conduce a Bergamo” uscendo dal palazzo di famiglia al Caleotto.
Ancora lo scrittore ne fa cenno nel capitolo VIII, quando indica a Renzo, a Lucia e ad Agnese la riva del lago “vicino allo sbocco del Bione” dove un “battello” li avrebbe portati sulla “spiaggia opposta”. Era notte fonda, “non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano” e di lì a poco i tre fuggiaschi, voltando lo sguardo verso le terre che dovevano lasciare, avrebbero visto in tremante silenzio quei “monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo” ai quali Lucia darà uno struggente addio.
Toccano ancora oggi le parole scritte da Manzoni e non è difficile immaginare quanto commossero chi alla metà dell’Ottocento lesse i Promessi Sposi e come quella “terricciola” diventasse fonte insopprimibile di ispirazione per gli artisti che vennero a riprendere e fissare i suoi casolari stinti e dominati dalla mole caratteristica del Resegone, non rinunciando, taluni, a disporre sull’opposta riva la tipica barca coi tre cerchioni a sostegno della tenda per ripararsi dal sole.
Si distinse subito il minore dei fratelli Induno, Gerolamo (1885-1890), che dipinse Pescarenico più volte. Famosa è la veduta, ora alle Gallerie d’Italia, di minuziosa e indagante descrizione, con i panni distesi lungo tutto lo spiazzo e le nubi spesse a coprire le montagne; un’altra invece, già posseduta da Arturo Toscanini, la dipinse con “effetti di neve”, sospesa in un freddo silenzio. Più che far rivivere il “pathos” manzoniano Induno indugiava a descrivere con indiscutibile perizia la piacevolezza del sito, assecondando il gusto dell’ultima nobiltà e della nuova borghesia contente di mostrare vedute così nei loro salotti opulenti.
Con lui, o dopo di lui, si accodarono, sempre su questa traccia, altri artisti di scuola lombarda, a cominciare da Silvio Poma (1840-1932), casigliano e amico dell’Induno, al quale piaceva riprendere il paese non dall’altra riva ma appena prima del grande spiazzo dove lavandaie, pescatori e bambini vivevano il tran-tran di ogni giorno, evidenziando sullo sfondo le inconfondibili arcate del ponte di Azzone e i precipiti versanti dei monti.
Rimase “sur le motif” anche il veronese, ma di formazione braidense, Ercole Calvi (1824-1900) che non esitò a inserire una scena di quieta intimità famigliare mentre l’usuale visione di là dall’Adda s’intride magistralmente dei colori dell’acqua, della terra e del cielo. Rilesse il soggetto anche uno dei naturalisti allora più in vista, Filippo Carcano (1840-1914), che lasciò di Pescarenico un’ampia visione panoramica dominata dal profilo dei “monti sorgenti dall’acque” placide
nella giornata senza vento. Né potevano mancare Carlo Pizzi (1842-1909) che, essendo “del posto”, sapeva dove appoggiare il cavalletto per raffigurare il borgo mentre Achille Formis (1832-1906) fece copiare dalla nobildonna Giulia Giulini, sua allieva in privato, una sua veduta tanto apprezzata da essere fin esposta alla Esposizione Universale di St. Louis del 1904.
Ma com’è oggi Pescarenico? Per arrivarci e giungere alla riva occorre percorrere prima un lungo, trafficato e anonimo corso. Arrivando poi da una svolta sul bordo dell’Adda, soprattutto se vi capita la fortuna di avere come accompagnatore Gianfranco Scotti che di Lecco sa tutto e di Lecco ama tutto, non è difficile ritrovare, e rivivere, l’atmosfera serena e composta del borgo, attraversando il grande spiazzo limitato dalle antiche, caratteristiche case o camminando là dove l’acqua sfiora la riva, ormai però senza più pescatori e lavandaie, e lungo vie strette e silenziose fino alla “strada che porta a Bergamo” e alla chiesa del convento di fra Cristoforo in cui spesse volte il giovane Manzoni “servì messa”. Vale anch’essa una visita per ammirare le opere d’arte curiose e prestigiose che possiede.
Giuseppe Pacciarotti