"A Varese domina un clientelismo culturale dannoso sia per gli artisti che per i fruitori d'arte". Questa ed altre velenosette stilettate sono annidate nel breve testo introduttivo al catalogo della mostra conclusiva della V edizione del Premio GhigginiArte giovani assegnato, per inciso, a Luca Gastaldo, da Bresso, provincia di Milano.
Che Varese sia ad un punto morto, o in leggera agonia, da un punto di vista culturale, è abbastanza sotto gli occhi di tutto. Il punto di vista di Emilio Ghiggini è quello di un gallerista, di un privato che opera nel settore dell'organizzazione di eventi artistici, a contatto con artistici e critici, che sente il polso della situazione. Naturale approfondire il discorso.
Ghiggini, lei parla di criteri selettivi come regola per chi opera nel mondo dell'arte. A chi si riferisce?
"Mi riferisco a tutti quelli che operano in questa attività. Sia nel privato che nel pubblico. Ma sopratutto, è chiaro, nel pubblico, in quel settore che dovrebbe avere ben chiaro come programmare, come gestire un programma culturale facendo scelte le più condivisibili e condivise dal pubblico, con una trasparenza che è il primo dovere di una amministrazione".
Ritiene che a Varese questo non succeda?
"Mi pare evidente che non sia così. Guardiamo cosa succede nei musei pubblici. Nel Museo d'arte moderna e contemporanea può accadere che si facciano mostre di un artista totalmente sconosciuto anche agli addetti ai lavori, ignoto allo stesso direttore. Probabilmente perchè segnalato da qualcuno e dunque inevitabile. Come Franco Viola esposto all'inizio dell'anno. Chi era costui? Nessuno ancora lo ha capito. Questo perché manca una struttura che si faccia responsabile delle scelte, che decida strategie, manca una figura di critico che vagli e rifiuti se è il caso. E Varese è piena di questi esempi. Il Castello di Masnago, la Sala Veratti e via dicendo. Il primo che arriva, meglio alloggia".
Si riferisce a Ciaurro, in mostra attualmente al Castello di Masnago?
"Ciaurro è un bravo artista, un ottimo pittore. Varesino. Gli ho organizzato una mostra, l'ho seguito. Non è lui il problema. Ma è il metodo. Che consente a chiunque di presentare un progetto e approdare negli spazi di un Museo, appunto senza che ci sia un filo conduttore culturale forte da seguire".
Cosa suggerirebbe?
"Ho avuto modo in questi anni di frequentare, a parte Gottardo Ortelli, critici come Bonini, Cerritelli, altri artisti o docenti di Brera, sopratutto. Da tutti loro ho tratto l'idea che quanto meno il primo passo per una amministrazione sia quella di provare a chiedere con umiltà a qualcuno di esterno a Varese: cosa si può fare per far funzionare questa macchina? quanto costa? Ma serve appunto qualcuno da fuori, che porti idee, esperienze, conoscenze, e che al contempo sappia valorizzare il patrimonio già presente sul territorio. E non mi si dica che è un problema di soldi. Cinquantamila euro per la mostra di Salvini sono stati trovati".
Questo per quanto riguarda la struttura tecnica amministrativa, ma anche la rosa politica non contempla per il comparto culturale molte chances, se non la delega del sindaco?
"Non è possibile pensare che Varese non abbia un assessore di competenza ma solo una delega. Ho l'impressione che il primo cittadino stia vivendo questo incarico di controvoglia. Ma sopratutto non capisco quale idea di città di cultura abbiano in mente. Si parla di grandi eventi. Ma quali e quando? E la quotidianità della cultura museale dov'è?"
Pessimista senza speranza…
"Io sono un privato e posso fare quello che voglio. Posso fare anche scelte sbagliate, sulla mia pelle. Vendo o non vendo, rendo conto solo a me, al massimo deludo la mia clientela. Ma mi arrabbio quando vedo che un capoluogo, con i soldi pubblici, pochi o tanti che siano, non riesce a stare al passo, non sfrutta la potenzialità, abdica dal suo ruolo e non fa cultura, e si limita al piccolo cabotaggio. Si, Varese ha bisogno di una svolta".