La rassegna vuole indagare i differenti stili connessi al fotogiornalismo, al reportage sociale e geografico, facendo emergere stili e linguaggi espressivi che identificano gli autori.

LE MOSTRE
PIGI CIPELLI STORIE DAL MONDO IN 30 IMMAGINI Una selezione di immagini tratte dagli innumerevoli servizi realizzati per importanti testate giornalistiche. Pigi Cipelli, milanese,comincia a fotografare alla fine degli anni Ottanta. Dopo pochi anni Mauro Galligani, storico fotoreporter e picture editor, lo chiama a collaborare con il settimanale Epoca. Per Epoca, dal 1992 pubblica reportages dall’Italia e dall’estero, segue l’assedio di Sarajevo ed il conflitto nella ex Jugoslavia. Realizza uno dei primissimi reportages sul dramma dell’Aids in Africa, firma il primo servizio fotografico al brigatista Renato Curcio in carcere a Rebibbia, numerose copertine, ed un reportage sulla vita in Yakuzia, il cuore della Siberia, a meno 40 gradi. Dal 1994 collabora anche con il settimanale Panorama per i servizi di esteri, e pubblica diversi lavori su testate internazionali come Stern,Newsweek, New York Times. Chiude Epoca nel ’97 e Pigi inizia a fotografare per il magazine del Corriere della Sera. Il primo servizio per Sette, è il viaggio in gommone con gli scafisti albanesi che da Valona trasportano profughi e droga attraverso il canale d’Otranto. Per questo lavoro, con l’inviato del Corriere Francesco Battistini vince il Premiolino, importante riconoscimento giornalistico raramente assegnato ai fotografi. Sempre da free lance continua la sua collaborazione con i settimanali d’informazione. Negli ultimi, ha affiancato ai lavori di reportage, la realizzazione di servizi e copertine su personaggi della musica della tv e dello spettacolo per il settimana Mondadori Tv Sorrisi e Canzoni. 

NINO CANNIZZARO VUCCIRIA RELOAD “Quannu s’asciucanu i balati ra Vucciria” “Luci, ombre, anima e resistenza della Vucciria di Palermo, da mercato storico a centro della movida notturna” Al crocevia di culture e commerci per secoli, nel cuore di Palermo e dell’antico quartiere della Loggia, la ‘vanniata’ della Vucciria e la confusione che porta nel nome l’antico mercato della capitale siciliana, cambia profumo ma non l’anima, lasciando il regno dell’abbondanz
a di frutti della terra e del mare nel dipinto di Renato Guttuso, insieme alle pietre del suo lastricato, destinato ad asciugarsi solo per prefigurare eventi improbabili. «I balati ra Vucciria ‘un s’asciucanu mai» Il lastricato del groviglio di vicoli silenti e palazzi fatiscenti, botteghe chiuse e fontane abbandonate anche dai coccodrilli ghiotti di picciriddi ‘ra Vucciria’, è ormai riarso dal “cuore troppo caldo” di Palermo, mentre le ombre del crepuscolo rianimano il suo ventre molle che ‘profuma’ di street food e resistenza … alla crisi, alla modernità, al ritmo del sound system di ‘abbanniate’ e djset a cielo aperto da movida alternativa. Il profumo di un cambiamento che resiste agli urti, ‘ammucciato’ negli anfratti di Vucciria come ‘lu Purpu vugghiutu’ schivo di natura, scovato per la strada con tanto limone, ‘ciumi ri vinu’ e schiuma di birra, fili volanti, venditori ambulanti, bombole del gas, estetica del degrado urbano e locali notturni che hanno smarrito i confini tra dentro e fuori, senza rinunciare ai segnali di fumo che arrivano dalle viscere di mangiafuoco e da quell’anima cotta alla brace da ‘u’ stigghiolaru’, o gustata sin dal medioevo ‘cu ‘u pani cu ‘a meusa’ insieme a tradizioni e identità. Glossario popolare palermitano: Vuccirìa: in palermitano il termine è traducibile in “confusione” e da il nome al suo storico mercato “Quannu s’asciucanu i balati ra Vucciria”: espressione popolare per prefigurare gli eventi più improbabili Balati: le grosse pietre rettangolari che lastricano la strada Abbanniata o vanniata: termini riferiti alla pratica di gridare notizie per la strada in generale, al mercato in particolare Picciriddi: ragazzini Lu Purpu vugghiutu: il polpo bollito Stigghiolaru: il venditore di stigghiuola, stigghiola o stigghiuole, ovvero la budellina di agnello o di capretto cotta alla brace Ciumi: fiumi Pani cu ‘a meusa’: il panino con la milza che si mangia per strada sin dal medioevo. Nino Cannizzaro è un fotografo siciliano attento alle dinamiche che trasfigurano il paesaggio, già esplorate con le ombre che si addensano sullo stretto di Messina e “Le detroit perdu”; il cemento che si erge lungo i binari della “Palermo-Messina andata e ritorno”; le tracce di storie d’Italia e guerra fredda inquadrate con le prospettive inconsuete di “Quando Jupiter guardava a est”, quelle più viscerali e introspettive di “Hum -Ronzio”, il ventre molle di Palermo che ‘profuma’ di street food e resistenza con “Vucciria Reload”.A questi progetti già esposti e premiati in diverse occasioni, si aggiungono quelli in progress e di lungo respiro, diverse collaborazioni, il lavoro da freelance e tutto quello che porta avanti come membro del collettivo Spontanea | Italian Street Photography. Website: www.ninocannizzaro.com

CLAUDIO ARESI SP 40 Lo sfruttamento della prostituzione e i modelli di uno schiavismo moderno sono una piaga sociale molto diffusa nel nostro Paese. Questo reportage è stato condotto su un caso specifico che riguarda una strada provinciale di Milano e una periferia urbana degradata e allarmante. Strada Provinciale 40: è ormai piu di vent’anni che è frequentata da prostitute. Quasi tutte le ragazze arrivano dalla Nigeria. vogliono sfuggire ad una situazione di estrema miseria e degrado sociale oltre che umano. Vengono scelte giovanissime. Fatta la scelta lo sponsor va dalla famiglia con dei regali dicendo che in Europa hanno bisogno di belle ragazze per fare la modella, la parrucchiera, la sarta, l’attrice. Una volta arrivate in Italia vengono sbattute in strada, davanti ad un fuoco con le altre ragazze vestite in mutande, si trovano a vivere la loro prima esperienza di strada sul marciapiede su cui si lavora. L’UNODC, agenzia ONU per la lotta al crimine organizzato, ha rilasciato numeri scioccanti: oltre 6.000 donne nigeriane vengono portate ogni anno in Europa a scopo di sfruttamento sessuale, per un giro d’affari annuo di oltre 228 milioni di dollari. Claudio Aresi Vivo in provincia di Milano, mi autodefinisco fotografo per vizio, in quanto non essendo per me un lavoro è il mezzo che uso pe
r appagare la mia curiosità nei confronti della vita e di tutte le sue sfaccettature. Amante della fotografia street, considero la strada un palcoscenico naturale dove gli attori sono i passanti che, inconsapevolmente raccontano la nostra società, gli usi, i costumi, i propri bisogni e i propri sentimenti. Negli ultimi anni mi sto dedicando a progetti a lungo termine di reportage sociale. Amo sperimentare tecniche diverse come gli infrarossi e light painting. Dal 2016 sono membro della LPWA (Light Painting World Alliance).

MONICA BONACINA ANYTYA In principio è un suono: come eco di gong, denso e tendente all’infinito. Poi è una visione: prateria di stelle alpine, fiume ad anse morbide, vette dal ghiaccio perenne, cavalli selvaggi, tra l’asprezza delle montagne e la dolcezza dell’altopiano. Zanskar, “terra di rame bianco”, nome di durezza e morbidità. Valle himalayana in Ladakh, remota e minuta, timida tra i grandi, l’India che la contiene, la Cina e il Pakistan che la incorniciano. Terra dove il vivere è fatica, d’estate il sole coltiva il possibile, d’inverno l’isolamento gela l’impossibile. Culla del misticismo buddhista, nei secoli e millenni, rifugio di asceti ed eremiti, Naropa e Padmasambhava tra altri. Punteggiata di gompa, stupa, muri mani, ruote di preghiera, bandiere di mantra al vento. Ovunque, a qualsiasi quota. Ho attraversato lo Zanskar per la prima volta nel 2005: ogni giorno una tappa, in una visione quasi dall’alto, come in volo. Sono tornata, sola, nel 2013, per fermarmi, appoggiarmi, immergermi. Di monastero in monastero, con monaci e monache, nel loro quotidiano vivere, spirituale e materiale. Così, semplicemente. Giorni passati in silenzio, tra i confini temporali di ogni alba e tramonto, scanditi da gesti e riti. Dove la luce è cordone ombelicale, ad un capo il piccolo dentro, all’altro l’immenso fuori. Soprattutto tra le monache, le donne dello spirito, della preghiera, della protezione, ho cercato di fermare nei miei scatti quel quotidiano vivere, quel dialogo, spesso senza parole possibili, tra me, estranea e straniera, e loro, anime antiche in un antico mondo. Accolta nel presente, il loro, di spazi, gesti, riti. Benedetta per il futuro, il mio, così lontano da lì. Anitya, l’Impermanenza, segno sanscrito dal suono femminile. Uno dei princìpi cardine della dottrina buddhista: la percezione del costante divenire di sé e del mondo, l’abbandono dell’attaccamento al materiale, la consapevolezza dell’essenza immateriale del tutto. L’ho cercata nel quotidiano dei monasteri di Dorje Dzong, Zangla, Karcha, Tungri. Scandita da gesti che si ripetono quasi immutati nei giorni: in cucina, mentre si impasta tsampa e si scioglie burro di yak nel te bollente, a scuola, dove monache bambine imparano un poco di presente e futuro, nelle celle, minuscole e stipate di beni essenziali, nei templi, della meditazione e preghiera. L’ho cercata e lei, Anitya, l’Impermanenza, si è lasciata un po’ guardare. Forse anche fotografare. Monica Bonacina. Il caso mi ha vista nascere sulle rive del Lario, terra dagli orizzonti solidi e verticali, le montagne: il mio pensiero si è così formato, concreto come la pietra, veloce come l’eco, protetto come in culla. Un cromosoma mi ha sempre fatta sentire esploratrice, con l’irrefrenabile voglia di curiosare oltre quegli orizzonti: il mio pensiero ha potuto così divenire anche astratto, lento e spazioso. Ringrazio quindi la mia terra e tutte le terre d’altrove, per come oggi sono. Mio nonno era fotografo amatoriale, io la sua piccola modella e curiosa aiutante in camera oscura. Sono ora l’erede dei suoi album stampati, delle sue pellicole impresse, dei suoi esperimenti con la luce, su cose, persone, paesaggi. Bianconero, solo bianconero. A 8 anni mi ha regalato la macchina fotografica, un classico. Scattare, dapprima solo per gioco e ricordo, si è poi pian piano trasformato in passione. Qualche anno fa persone molto care mi hanno caldamente invitata a divulgare le mie immagini ad un pubblico che non mi (e non le) conoscesse, a cimentarmi in una ricerca espressiva più attenta e meno timida. Perplessa e impaurita, ho ubbidito. Alcuni incontri importanti hanno poi segnato il mio percorso. Sara Munari (Lecco) e Antonio Manta (Arezzo), due bravi fotografi, artisti e professionisti affermati, che stimo, a cui sono grata ed affezionata, a cui riconosco l’avermi formata e spronata, con la sapienza e semplicità che li caratterizza. Thierry Maindrault (Avignon), curatore di esposizioni fotografiche in Francia, che ha guardato oltreconfine, intravisto e creduto nelle mie opere, con affettuosa severità e competenza. Una volta scattavo esclusivamente per istinto, quasi senza pensiero, ancor meno premeditazione. Ora, rispetto al passato, fotografo con un po’ più di consapevolezza, intenzione, conoscenza, sia quando mi muove l’intuito, sia quando mi muove la ragione, indissolubilmente fusi, pur che possa prevalere l’uno o l’altra. A volte colgo l’attimo, a volte aspetto. Non ho sempre la macchina fotografica con me, mi capita di dimenticarla anche per mesi. Ho imparato a “vedere” una fotografia e a rinunciare a farla, una sensazione bellissima. Non sono una professionista. E non vorrei esserlo. Adoro il senso di libertà e leggerezza che mi dà l’essere una fotografa appassionata, semplicemente curiosa, a volte attiva ricercatrice, a volte pigra osservatrice. Mi succede a volte di esser colta da un’ispirazione imprevista o da un’idea fugace, che poi pian piano, lasciando che anche il caso, la fantasia, l’improvvisazione facciano il loro corso, prendono la forma di un tutt’uno narrativo coerente, pensato, voluto. Propendo per il bianconero, netto e profondo, ma al colore, vivo e vivace, non ho mai rinunciato. Pur privilegiando i generi Reportage e Street Photography, amo sperimentarmi anche in altro: soggetti, locations, tecniche, ogni volta diverse, in un’aperta ricerca di ogni aspetto della realtà che possa attrarre l’occhio ed emozionare, senza alcun cliche’ predeterminato. Le mie mostre principali, anitya, fantas(m)ie, NEROcomeNEVE, marEmosso, rappresentano la mia strada, fotografica, artistica, umana, fin qui. Un reportage classico che lascia spazio ad un reportage concettuale, un reportage concettuale che inaspettatamente evolve verso un puro astrattismo naturalistico, un tutto e sempre bianconero che approda ad un cromatico astrattismo quasi pittorico. A chiunque offro le mie immagini e chiunque ne potrà trarre impressioni, emozioni, considerazioni, valutazioni, dettate dal proprio soggettivo ed indiscutibile punto di vista. Il mio, molto quietamente, può affiancarsi, fondersi, addirittura scomparire. Credo sia proprio questa la bellezza dell’espressione artistica: libera per l’autore, libera per il fruitore.
SABATO 21 OTTOBRE ore 18: IL MESTIERE DEL FOTOREPORTER OGGI Incontro-dibattito con il fotografo PIGI CIPELLI Proiezione di servizi e reportage dal mondo
GIOVEDI 26 NOVEMBRE ore 21,15: REPORTAGE GEOGRAFICO E NATURALISTICO Incontro con il fotografo MARCO URSO. Proiezione e presentazione del suo nuovo libro.
 Villa Pomini – Via Don Luigi Testori, 14 – Castellanza (Va)
dal 21 ottobre – 5 novembre 2017
21 OTTOBRE 2107 ORE 18 – visita guidata alle mostre e cocktail Orari di visita. venerdì e sabato 15/19 – domenica 10/12 – 15/19 –Ingresso libero
Segreteria organizzativa: afi.foto.it@gmail.com / afi.fotoarchivio@gmail.com Sito web: www.archiviofotografico.org
Informazioni: Claudio Argentiero T.347 5902640 – curatore
Redazione