Perchè no? – La mostra è nata da una serie di coincidenze fortuite, da un insieme di 'perché no?' che, da limitativi sono diventati sempre più possibilisti e carichi di entusiasmo. Scintilla del motore, causa involotaria e volontaria di una splendida mostra dedicata all'arte africana in una sede quale quella del Museo di Mendrisio, mai prima d'ora dedito a tagli di questo genere, è Ezio Bassani, 83 anni, varesino, artefice in anni lontani di quel cenacolo di vivacissimi protagonisti della sprovincializzazione della cultura varesina, Isella, Chiara, Bortoluzzi.
"Il direttore del Museo di Mendrisio venne a vedere la mostra che curai alla Gam di Torino nel 2003 – riassume Bassani il concatenarsi degli eventi – e si innamorò. Ci conoscemmo poco dopo. Ci dicemmo perché non fare un qualcosa di simile anche in Ticino. Perché no?".
La collezione – Bassani da tempo monitorava la preziosa collezione di Wally e Udo Horstmann, già vista in piccoli brani, ma di fatto chiusa nella casa dei proprietari a Zug, nella Svizzera profonda. "Proposi loro di esporre un'ampia selezione della loro raccolta.
I coniugi vennero a vedere il museo ticinese, un po' titubanti a dir la verità, ma quando videro il posto, la serietà delle intenzioni e del progetto, anche loro dissero: 'Perché no? Perchè non farla qui?'. E così è nato tutto. Quasi per caso, poi è diventata una storia vera, importante, in cui i miei meriti personali sono minimi. Importanti sono la qualità della collezione e la serietà del museo".
Professor Bassani, la collezione Horstmann è una collezione prestigiosa. La conosceva già bene, prima di questa mostra?
"La conoscevo molto bene. I proprietari mi avevano già prestato alcune opere per precedenti esposizioni da me curate. E' una collezione di assoluta qualità, credo sia composta da qualche centinaia di opere. Di queste però solo pochi lavori erano noti al pubblico, per essere stati esposti in importanti musei, penso al Metropolitan di New York, per dirne uno. Di fatto è una collezione così vasta da essere "accatastata" nella loro casa".
In quanti anni è stata elaborata e costituita dai coniugi Horstmann?
"Una trentina d'anni, attraverso le acquisizioni in asta, presso mercanti. Udi Horstmann svolgeva una attività imprenditoriale in Africa. E, come succede, ha cominciato a vedere alcuni di questi pezzi e se ne è innamorato. E' una malattia".
La stessa che ha colpito lei?
"Io sono stato colpito dalla malattia ormai più di cinquant'anni fa. Allora svolgevo ancora il mio lavoro di dirigente nel settore della vendita della carta, un attività che mi permetteva di girare il mondo con una certa libertà. Vidi i primi pezzi africani a Roma, alla fine degli anni Cinquanta. Poco dopo a Londra ebbi modo di contattare i primi veri esperti, storici, mercanti, di questo ambito. E li è nato tutto, si è mossa la slavina".
Un pioniere.
"Ho avuto la fortuna di innamorarmi e di approfondire materie pressoché sconosciute, ignorate. Poi c'è stato l'incontro con Ludovico Ragghianti che mi ha invitato a tenere lezioni presso il Centro Studi di arte africana dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze".
Da lì, il nome di Bassani è divenuto una autorità internazionale nella materia. Con mostre e pubblicazioni importanti in Italia e all'estero. Quali ricorda più volentieri?
"Quella a New York, poi itinerante, Art in ivory, che ho preparato con l'ex curatore di dipartimento del British Museum di Londra, sugli avori africani. Una bellissima mostra sugli avori commissionati dai portoghesi alle popolazioni africane nel 1500. Poi quella del Forte Belvedere nel 1989 a Firenze, trasferitasi a Parigi, e poi l'ultima importante, quella alla Gam di Torino, nel 2003, dal semplice titolo: Africa. E 170.000 visitatori".
Progetti per il futuro?
"Vorrei continuare a mantenere aperte le questioni su cui sto cercando di focalizzare la mia attenzione. Nel mondo artistico africano non esiste ancora la storia, la storicizzazione; non c'è la scrittura, mancano i documenti, lo studio si fa per lo più sui confronti stilistici e sulle rare notizie storiche. Queste sono le principali preoccupazioni e sono più o meno le medesime alla base della mostra di Mendrisio".
Ce ne parli.
"E' un percorso che vuole illuminare, non solo la qualità specifica dei lavori, ma appunto le difficoltà che si incontrano studiandole: di datazione, innanzitutto, un problema per il quale ho avuto la possibilità in questo caso di avvalermi di analisi radiografiche al carbonio; di attribuzione; di definizione del linguaggio espressivo, per la quale si usano termini termini mutuati dalla letteratura occidentale: realismo, astrattismo, cubismo".
In mostra poi vengono comparati lavori della stessa tribù eppure diversi tra loro, o anche oggetti destinati alla medesima funzione ma non assimilabili nella struttura.
"Esatto, è un altro dei problemi. Io affermo che la destinazione di un oggetto non determina la forma. Le immagini degli antenati possono essere realistiche o assolutamente astratte. Così la dimensione non fa l'artisticità di un oggetto. In mostra ci sono anche di 10 cm, di assoluta bellezza. Attenzione: l'arte africana è misteriosa, non si presta a facili schematismi".
E gli studi come vanno, in questo senso?
"La mostra prevede anche questo aspetto. Una sala alla fine del percorso dà la possibilità al pubblico di vedere, e in parte consultare, i maggiori studi fatti nel settore, a cominciare da quello capitale di Carl Einstein nel 1917, Negerplastik, sull'onda anche di quello straordinario interesse degli artisti d'avanguardia europei per l'arte oceanica".
Che in mostra sono ugualmente ricordati
"Si, con una proiezione continua di circa 80 fotografie vengono riprodotti esempi di arte primitiva negli studi dei maggiori artisti di inizio secolo. E' in fondo anche una mostra didattica".
Lei ha una collezione privata d'arte africana?
"L'avevo, ma ho deciso di darla a condizioni di particolare vantaggio all'amministrazione di Milano per quello che doveva diventare il Museo delle Culture Extraeuropee, di cui è già pronto il progetto dell'architetto Chipperfield all'Ansaldo, ma di cui ancora non si sa nulla".
E Varese. Si ha l'impressione che come lei esistano numerosi specialisti che nella loro città vengano abbastanza obliati.
"Ma, non so, forse è per colpa della natura di questi specialisti, che non sgomitano, che non si mettono in mostra per forza. Io credo che tutto funzioni se uno si dà da fare, poi la gente prima o poi se ne accorge. Certo, non do gran peso se mi chiamano daggli Stati Uniti o da Parigi piuttosto che nella mia città".
MAESTRI D'ARTE AFRICANA FORME E STILI
Ottantaquattro sculture dalla collezione Horstmann
a cura di Ezio Bassani
Mendrisio Museo d'arte
Piazza San Giovannia – Mendrisio
dal 28 aprile al 22 luglio
orari: da martedì a domenica: 10- 12/14- 17
museo@mendrisio.ch
Telefono ++41 91 646 76 49
Fax ++41 91 646 56 75