Gallarate, 96 metri cubi d’arte. Abbiamo incontrato Federica Pozzi, medico internista che ha lavorato in Uganda, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e ad Haiti, qualche giorno prima della presentazione del diario “Non sono comoda da nessuna parte” presso lo spazio 96 metri cubi d’arte. L’impressione che ne riceviamo è di una donna calma, forte e molto determinata. Insieme al marito Stefano, ingegnere elettronico, ci racconta cosa l’ha spinta a recarsi in Africa e ad Haiti per aiutare le popolazioni locali. A spingerla è stato il desiderio di mettere a servizio degli altri la competenza acquisita negli anni in Italia. Sono luoghi che hanno fame di competenze proprio perché non ce ne sono. A muovere Federica e Stefano è sempre stata la voglia di creare dei progetti concreti e calati nei bisogni reali delle persone; in questi contesti è facile improvvisarsi ma per dirla con le parole di Federica: “Non è vero che piuttosto che niente è meglio piuttosto”. Le comunità devono appropriarsi dei beni e dei progetti portati. Un esempio di questo è la stanza calda realizzata nel Nord Uganda da un medico pediatra per affrontare il problema della prematurità. Si tratta di una stanza incubatrice naturale che resta costantemente sopra i 30 gradi, con una barriera igienica importante.
Ma come è strutturato il libro e perché il titolo “Non sono comoda da nessuna parte”? Federica ci racconta che il titolo si deve ad un episodio della sua infanzia, raccontatole dai genitori. All’età di 3 o 4 anni si trovava in campeggio con lo zio e quando lui trovava una sistemazione per risposare, prima un’amaca e poi una sdraio, lei la reclamava. I genitori le chiesero il motivo di quel gesto impertinente e lei rispose con la frase “Non sono comoda da nessuna parte”. Questa espressione racchiude la vita e il lavoro della coppia di sposi che alla comodità della vita occidentale ha preferito il viaggio alla scoperta di altre culture a cui destinare le proprie conoscenze e il proprio talento. Proprio l’incontro con gli altri è il filo conduttore del libro. Fin dalla copertina, dove vediamo una scena di vita quotidiana: la fotografia di due bambine che attraversano un corso d’acqua, l’una sulle spalle dell’altra. Gli altri sono raccontati attraverso scritti che coprono quasi un decennio: se i primi risalgono al 2009, gli ultimi sono del 2018. Sono stati elaborati nel corso degli anni per informare i propri cari della vita all’estero e non sono stati modificati nella struttura originaria. Con l’editore sono state costruite le prefazioni, redatte da Federica e Stefano, che legano gli scritti in termini geografici.
Quello che emerge in “Non sono comoda da nessuna parte” è l’arricchimento che le persone hanno dato. Ci sono capitoli dedicati alle persone e alle loro storie in Ruanda ed a Haiti. Oggi la difficoltà di Federica e Stefano la stanno vivendo nella migrazione al contrario, nel rientro in Italia. Il mal d’Africa lo conoscono bene.
Eleonora Manzo