La prima volta che se ne parlò fu all'incirca nel 2000. Un industriale si presentò al Castello di Masnago con un volume uscito non da molto "Spes contra spem", curato da Enrico Crispolti. Era uno dei primi "abboccamenti" con l'amministrazione varesina. L'obiettivo: gettare le basi per dare corpo ad una idea, rimasta come sospesa negli anni. Dare a Varese la concretezza di un museo dedicato a Renato Guttuso.
Quel mister x, quell'industriale allora avvolto dall'anonimato più completo, si scoprì più tardi essere Francesco Pellin, operante nel varesotto, residente in città, e animato da una singolare virtù: una fedeltà da collezionista rara, del tutto esclusiva verso le opere di Guttuso; al punto, ricorda Crispolti in un recente catalogo, da rifiutare, per mantenere fede a questa sorta di "pacs", l'acquisto di due Picasso, giudicati dallo stesso Guttuso "molto belli".
Nel 1999, portandosi avanti, Pellin e la moglie avevano già istituito l'omonima Fondazione, con un patrimonio di circa 130 opere, per un arco temporale che va dagli anni Trenta fino alla morte del maestro. Un corpus che per quantità e qualità vale almeno quello donato dall'artista stesso alla Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma. Tra gli scopi statutari, la diffusione e la divulgazione del lavoro del massimo pittore realista del Novecento: da qui il Catalogo Ragionato in tre volumi uscito nel 1990, a cura proprio di Crispolti. Un lavoro ponderoso, che avrebbe dovuto fare in qualche modo da fidejussione sulla serietà dell'uomo e della sua operazione.
I contatti con l'amministrazione di Varese, da allora, sono proseguiti più o meno silenziosamente. Ma non fluidi come ci si sarebbe potuto e dovuto attendere. Pellin poneva, giustamente dal suo punto di vista, alcune condizioni. Il suo non era un gesto di magnanimità tout cour: chiedeva ma prometteva garanzie. Sopratutto in termini di collaborazione con l'amministrazione comunale per reperire i fondi necessari alla costruzione dell'edificio che avrebbe dovuto ospitare la collezione.
Chiedeva, come giusto, garanzie di tipo scientifico: un progetto serio e non campato per aria, chiedeva per sè, un riconoscimento legittimo all'interno della futura fondazione che avrebbe retto il museo ed economico che ne sarebbe derivato. A fronte di tutto ciò, la città avrebbe, se non nell'immediato, nel giro di pochi anni beneficiato pressoché per intero dell'intero corpus guttusiano.
Era anche emersa l'indiscrezione che il terreno possibile per l'operazione potesse essere quello immediatamente retrostante alla palazzina di via Copelli e alla piscina comunale, all'interno del parco di Villa Mirabello. Di più: un noto architetto varesino aveva già redatto un progetto, definito in ogni suo dettaglio, per l'intero museo. Le procedure, dunque, sembravano essere in fase avanzata.
Un progetto a lunga scadenza, insomma, che richiedeva lungimiranza, impegno, pazienza e voglia di scommettere sul futuro. Pellin ha atteso, per cinque anni. Le trattative si bloccano, per mai chiariti quanto inattesi ostracismi. Quando poi l'allora sindaco Fumagalli sembrò tornare sui suoi passi era effettivamente tardi.
Pellin, nel frattempo i suoi tesori li ha movimentati, eccome. Nel 2005 si è assistito ad un improvviso rifiorire di iniziative legate all'accoppiata Guttuso-Pellin: prima alla Fondazione Mazzotta di Milano poi al Chiostro del Bramante a Roma; due super mostre, che unite, o forse polemicamente in contrasto, vai a sapere, con quella di Palazzo Bricherasio a Torino curata dall'erede Fabio Carapezza Guttuso hanno riportato in auge il pittore di Bagheria.
Già, Roma. E' proprio qui che sembra essere il capolinea della varesina Fondazione Pellin, almeno così pare dall'unica affermazione strappata a Francesco Pellin qualche mese fa. L'incontro fatale sembra essersi consumato proprio qui, nel Chiostro bramantesco, sotto lo sguardo delle Sibille di Raffaello. Una infatuazione di Walter Veltroni in persona, una lampadina che si è accesa nel vulcanico sindaco amante della cultura pop e dei colpi mediatici, degli investimenti culturali.
Allo stato dell'arte, la situazione dovrebbe essere questa: la Fondazione Pellin sta attendendo di firmare un accordo con il comune di Roma. Dal Campidoglio pare sia gli sia stato promesso uno edificio storico, sontuoso, centrale, non lontano dal Quirinale. Dalla vaghezza delle informazioni emerge la convinzione che fosse una proposta di "quelle che non si possono rifiutare".
Francesco Pellin rifiuta, questo si, qualsiasi commento, ora, e promette annunci futuri. Da tutto ciò pare di capire ormai che Varese rimanga fuori dai suoi orizzonti. Com'è come non è, la sensazione è sempre quella non troppo vaga che sotto il Sacro Monte si rimanga sempre con un pugno di mosche in mano.