Nato a Varese nel 1957, Franco Matticchio ha esordito come illustratore sulle pagine del Corriere della Sera”, per poi diventare nell’86 anche autore di fumetti, collaborando con numerose testate – tra cui “Linus” e il “New Yorker” – e ottenendo numerosi riconoscimenti.  E’ bello scoprirlo nelle sue parole.

 

«Il disegno è una cosa che, per me, c’è da sempre. Ho iniziato a farlo nel ’62. Disegno ogni cosa e mi piacciono gli animali: Mr.Jones di “Linus” era un gatto, per la sigla di Benigni ho pensato a un cane. Però i miei animali preferiti sono i coccodrilli… anche se mi sa che non piacciono quanto cani e gatti!»

Matticchio è molto modesto, perché arriva a dire: «non sono tanto capace di disegnare»! Ma il suo percorso artistico mostra qualcosa di molto diverso. Dopo prestigiose collaborazioni «l’incontro con Linus ha segnato una svolta. In quel periodo era una testata molto importante ed è stato il mio tempo “a fumetti”, una decina d’anni a partire dall’84, ’85, con le avventure di Mr.Jones: il gatto con la benda, che viveva storie strampalate, “senza senso”. Gli succedevano tante cose diverse e lui non capiva mai bene come comportarsi…».

“Linus” è uno storico mensile italiano dedicato esclusivamente ai fumetti, nato nel 1962. Ha pubblicato, oltre alle strisce di Peanuts del grande Charles Schultz – che è all’origine del nome – anche gli eroi di carta di Hugo Pratt, Guido Crepax, Dino Battaglia, Enzo Lunari, Altan, Jacovitti, Andrea Pazienza e tante altre splendide immagini, serie e racconti. Una collaborazione significativa, quindi, quella di Matticchio.

Come nascono i suoi disegni, che muovono tra dolcezza, calore e ironia, con un pizzico di amarezza?
«Nascono spesso da soli. Le idee mi vengono nei momenti più disparati: può succedere proprio mentre sono al lavoro o mentre cammino, adesso – mentre parlo – e, a volte, anche di notte. Per un certo periodo ho dipinto dei quadri, sempre frutto di idee estemporanee, che io poi mettevo sulla tela.

Mi ha appassionato la realizzazione de “I miei amici animali”, una scatola che contiene una serie di oggetti, di ricordi. L’ho dipinto nell’81, quando avevo 24 anni. In quel contenitore ho messo cose che per me hanno un valore simbolico e richiamano l’infanzia, come Topolino. Da piccolo ero fanatico di Topolino, continuavo a copiare le sue immagini. Fu intorno al ’68, quando ricopiai quasi iperrealisticamente la storia “Topolino e il Pippotarzan”, che mi resi conto che non sarei mai entrato nella scuderia della Disney. Ma ho voluto mettere anche Topolino nella mia scatola, oltre a diverse cose, tra cui un pezzo di carta che avevo raccolto per terra. Mi ha appassionato realizzare un gioco tecnico di proporzioni, tutto in scala 1 a 3: un centimetro diventava 3 centimetri. In quel periodo ero molto attento alla precisione. Oggi faccio cose diverse».

Nel corso degli anni Matticchio ha fatto tante esperienze aggiudicandosi, tra l’altro, il primo premio per l’iniziativa delle Nazioni Unite “Cartoonist Against Drugs Abuse” (1988) e il premio come miglior film pubblicitario al Festival Internazionale del Cinema d’Animazione di Annecy per disegni e story-board di un cartone animato per Legambiente (1993).

Proprio nel 1994 ha realizzato la sequenza animata per i titoli di testa de “Il Mostro” di Roberto Benigni. Senza smentire la sua ritrosia Matticchio ricorda: «quelli che lavoravano con Benigni si sono messi in contatto con uno studio di animazione e hanno scelto il mio lavoro, anche se non so bene come sia accaduto… Dovevamo dar vita a dei titoli di testa animati e noi l’abbiamo fatto in 20 giorni, molto velocemente.
Naturalmente ho letto la sceneggiatura, quindi ho messo giù un po’ di idee. Quella che mi piaceva di più era un piccolo cane strano, un po’ zombie…mostruoso!».

Matticchio ha realizzato anche le copertine di diverse opere, come quelle di Carlo Emilio Gadda.
«Ho letto tutti i suoi libri, a partire da “La cognizione del dolore”, e mi è venuta l’idea di fare ogni copertina con uno sfondo colorato diverso, con cartoncini che ho riempito con i particolari che trovavo nel libro, segnandomi ogni cosa che mi sembrava divertente.

Ho messo tutto insieme un po’ a casaccio….in un ambiente particolare e con un orizzonte. All’inizio l’idea era che ogni orizzonte proseguisse nel libro successivo, in una sorta di continuum».

Sono di Maticchio anche copertine di Scerbanenco e di storie di Tom Sawyer, oltre alle belle copertine dei libri dello scrittore e giornalista varesino Mario Chiodetti: come vi siete incontrati?
«E’ stato lui a contattarmi e ci sono senz’altro degli elementi in comune tra il suo modo di narrare, delicato e un po’ retrò, e il mio modo di disegnare, il mio tratto.

E’ mia la copertina del suo “La nostra vita somigliava a un tappeto magico”; per il successivo “Il disco della Fougez”, oltre alla copertina, ho realizzato anche alcuni disegni raccolti all’interno del libro».

Di lui Chiodetti scrive: “Franco Matticchio non è un pittore, non è un illustratore, non è un fine acquerellista. Di più, è un gatto. Forse lo sa. Come i gatti tende agguati, alla banalità, ai luoghi comuni, alla standardizzazione delle idee, alla sfibrante tecnologia, e sorride stirando le labbra simile al micio davanti al passerotto, in questo caso la monotonia del vivere. Riservato e solitario, apparentemente annoiato ed estraneo al mondo circostante, Franco è gattesco anche nello sfavillare dell’idea, che si manifesta rapidissima e assoluta, magari in apparenza incomprensibile, ma sempre chirurgica e sferzante”.

L’opera di Matticchio può essere ancora indagata per fonte di ispirazione, tematiche e tecnica.
«I disegnatori che hanno ispirato le mie linee sono certamente Magritte – che ho iniziato ad amare quando facevo il liceo – e Domenico Gnoli, un ottimo pittore e illustratore: due cose che non sempre vanno insieme. Purtroppo non l’ho mai incontrato perché è morto nel ’70 a soli 36 anni …. probabilmente contrasse un brutto virus in uno dei suoi viaggi. Amo anche Roland Topor, un artista francese molto attivo tra gli anni ‘60 e ’70, dalla linea tratteggiata e dalle tematiche forti. Mi piacciono molto anche Hopper e gli astrattisti».

Il tema delle sue opere nasce sempre dalla realtà e dagli stimoli circostanti, con l’idea che l’ambiguità sia vincente
«Si, l’ambiuguo è sempre intrigante….e devo ammettere che talvolta io stesso mi stupisco di quello che disegno. Poi sta all’osservatore capire cosa voglio comunicare! Per le tematiche la mia produzione vive continui cambiamenti e fasi».

Quanto alla tecnica, oltre alla speranza che non venga mai a mancare la carta su cui disegnare – «perché io non so usare il digitale, anche se va di moda!»- Matticchio ha frequentato il Liceo Artistico Frattini a Varese, «ma nessuno mi ha mai insegnato come usare, ad esempio, l’acrilico: ho imparato da solo andando per tentativi! Credo di essere portato, quindi ci sono riuscito!».

Si, Matticchio è sicuramente “portato”. Nel 2011 un suo dipinto è stato esposto alla Biennale di Venezia e a Milano, a Palazzo Reale, era visibile il suo “Nascondino” che, dice l’artista, «forse è la mia opera che mi piace di più, che più mi rappresenta. E’ personale… mi sa che questa donna scappa proprio da me!».

Matticchio espone nel mondo: a Milano, a Parigi e, ora, a Varese, alla Galleria Ghiggini.
Come spiega Eileen Ghiggini «lo spunto per la mostra arriva proprio da Mario Chiodetti, per il legame con la copertina del suo “Il disco della Fougez”. Matticchio ha accolto con piacere l’idea e abbiamo realizzato una sorta di percorso su alcuni temi che ricorrono nella sua produzione e sono cari alla galleria: i cavalli, il gioco, le donne e i gatti».

La mostra “Franco Matticchio. A bruciapelo” in corso alla Galleria Ghiggini a Varese fino al prossimo 26 maggio permetterà di conoscere la mano di un artista molto speciale che, con sguardo disincantato, dice ancora di sé:
«Ogni volta che faccio un disegno non so mai cosa verrà fuori. Per fortuna, negli anni ho imparato tanti trucchi! Poi io non butto via nulla, non inizio un disegno senza poi portarlo a compimento. Se qualcosa non mi convince lo lascio un attimo da parte, poi lo riguardo e lo metto a posto».

Ma l’elemento più importante è senz’altro la sua bravura.

Chiara Ambrosioni

Franco Matticchio, A bruciapelo
a cura di Mario Chiodetti
fino al 26 maggio
Galleria GHIGGINI1822, Via Albuzzi 17, Varese
www.ghiggini.it
da martedì a sabato 10-12.30/16-19