L’occupazione militare del Tibet da parte della Cina sta avvenendo da decenni sotto gli occhi del mondo senza che nessuno dica nulla. Tutti zitti, fanno finta di niente: nemmeno una nazione si oppone, non c’è petrolio da contendersi o risorse da prosciugare. Ci son solo preziosi equilibri di potere tra i confini da mantenere assolutamente intatti. C’è un grande spazio vuoto utile per i milioni di cinesi che effettivamente non sanno più dove mettersi.
Il Dalai lama, unica anima illuminata, con una manciata di esiliati, come un Che Guevara disarmato e sorridente, sta combattendo da tempo, con coraggio, una resistenza coerente e audace ma non può fare molto, da solo, contro un continente di formiche invasate ed ubbidienti, ammaestrate e soggiogate dalla promessa di una falsa idea di progresso fatto di cellulari multicolori, carte di credito, frigoriferi e strade asfaltate. Sembrano soltanto numeri, assoggettati ad un potere insensato e disumano che distrugge la dignità del popolo tibetano, ne frantuma la millenaria cultura, imponendo addirittura il cinese nelle scuole, fagocitando le bellezze architettoniche per poi ricostruirne una brutta copia perché anche il turismo è pur sempre una risorsa e i turisti vogliono un centro storico caratteristico dove passeggiare. D’altro canto, cosa ci possiamo aspettare da una sedicente “democrazia” che applica la pena di morte a più di duemila persone all’anno? Cosa si può pretendere da una dittatura armata che si fa chiamare “Repubblica Popolare”?
Il soldato al posto di blocco mi dà il benvenuto con la sua faccia compiacente d’ordinanza. So che lui è solo una pedina inconsapevole manovrata dal regime e forse non ha colpe ma proprio non ce la faccio: non si stringe la mano agli assassini.
Il Viaggiator Curioso,
Altopiano Tibetano, 29 aprile 2016