Sono cannonate, neanche tutte a salve, quelle che cominciano ad essere sparate in vista dell'apertura della nuova Gam. Sono colpi che non lasciano tranquilli chi da anni insegue il sogno di una nuova struttura in cui l'arte possa finalmente declinarsi in solare autonomia, di spazi, di scelte, di pensiero, di fardelli di eredità.
Che la politica, le sue scelte, le sue mani, e i suoi soldi ne possano e ne vogliano stare lontani è naturalmente un sogno cui anche la nuova Gam non potrà sottrarsi, facendo buon viso a cattivo gioco. E quanto emerso dalle ultime riunioni in commissione cultura a Gallarate hanno l'aria di essere solo l'antipasto.
Mentre, è ovvio, la direttrice Zanella e il suo staff, lavorano da tempo, si presume, alla prima, alla seconda, alla terza, o forse come si usa fare nelle grandi istituzioni museali ad un piano pluriennale di eventi espositivi, nei giorni scorsi, i rappresentanti politici hanno messo in scena il balletto delle proposte, dei suggerimenti, delle "bombe", delle idee che "fanno dibattito".
Il presidente della commissione Alessandro Petrone vorrebbe Dalì; qualcun altro suggerisce Caravaggio, il sindaco ha in serbo una bomba, l'opposizione cede al profilo più basso e punta agli artisti di casa. All'appello mancano solo l'arte egizia e i camuni e poi le cartucce sono quasi state sparate tutte. "Purché – fa riecheggiare come un Farinacci d'oggi, il presidente – non si punti più sull'arte della dissacrazione e dell'ironia, forma d'espressione nata morta, escrementizia, frutto del nichilismo e che porta alla devastazione".
Ora, la colpa forse anche dei vertici del Museo che nonostante il tempo a disposizione, ancora non hanno svelato le carte e non hanno fatto chiarezza sulle reali intenzioni della direzione. E hanno accennato in fase di presentazione nel maggio scorso a Picasso, poi ad un Premio Gallarate per aumentare la collezione, poi ancora il buio. Insomma a tutt'oggi, da chi doveva dirci qualcosa non si hanno conferme.
Ma stupisce, una volta di più, non solo l'entrata a gamba tesa di una politica che travalica spesso e volentieri i suoi ruoli con giudizi che nel merito mostrano limiti imbarazzanti – puntare a Dalì per poi straparlare di arte dissacrante e ironica (!); che non rispetta la natura intrinseca di quel museo che con fatica, soldi, tanti soldi, loro stessi stanno construendo. Ma sopratutto va a incidere nel rapporto fiduciario tra i ruoli professionali che auspicabilmente dovrebbero mantenersi divisi, almeno fino ad un rendiconto finale a risultati, ottenuti o eventualmente, disattesi.