In primo piano si stagliano sagome nere, frastagliate e imponenti. Sullo sfondo un'alchimia di colori amalgamati che rimandano a uno scenario surreale. Disseminati qua e là oggetti prelevati dalla quotidianità. Riccardo Cavalleri racconta attraverso le sue opere i ricordi, le impressioni di un paesaggio, mescolandole alle emozioni e a frammenti di realtà che rendono ogni tela una sorta di diario personale stratificato, entro cui sono concessi allo spettatore riferimenti simbolici per orientarne la visione, ma anche un ampio margine di libertà nello scegliere di abbandonarsi al fascino delle sue opere. Ne parliamo con lui.
Nella tua ultima personale alla Cascina dell'Arte le tue opere si presentavano nei termini di un contrasto giocato su due o tre colori al massimo, soprattutto tra bianco e nero. Tu stesso avevi affermato che in questa battaglia di forze opposte stava prendendo il sopravvento il colore bianco. Ora invece ci troviamo di fronte a nuovi colori sulla tela. Cos'è successo?
"Hai ragione. Questo dimostra quanto sia imprevedibile la ricerca di un artista. In quel momento vedevo che il bianco stava divenendo la componente fondamentale. Ma nel frattempo è passato un anno e ho avuto modo di studiare e riflettere su ciò che stavo facendo e di capire in quale direzione volevo muovermi. Così, come vedi, sono spariti i dittici e con loro quella visione per contrasti. La gamma cromatica si è arricchita e sono andato a stringere su una dimensione differente."
Il tuo stile informale non nasce semplicemente dall'esigenza gestuale, impulsiva e casuale della gettata di colore, ma trae origine dalla realtà, non è vero? "Sì, è così. Lo si evince anche dai titoli che do ai mie quadri: alberi, tramonti, paesaggi, etc. Rispetto alle opere precedenti credo che quest'ultime rendano più visibili i soggetti a cui mi sono ispirato. L'ispirazione nasce sempre a contatto con la natura e poi trasferisco sulla tela quell'insieme aggrovigliato di ricordi, fatto di immagini sedimentate nella memoria, mescolate alle emozioni. Colore e materia sono i mezzi con cui realizzo questa trasposizione, in un equilibrio sottilissimo tra gestualità e ordine compositivo".
C'è uno studio rigoroso della composizione nelle tue opere?
"Assolutamente sì, studio con cura le geometrie dei tagli, delle pieghe, per ottenere una precisa "architettura della tela". Rispetto alle opere precedenti ho sviluppato anche una maggiore attenzione nella distinzione dei piani, rendendo più materici i primi e più calmi e solenni quelli di fondo. Nei primi piani ho inserito un po' di tutto: musicassette, diapositive, anche un pennello. Tuttavia permane una componente di casualità che emerge, ad esempio, nella parole delle pagine di giornale che affiorano in superficie e che spesso mi stupiscono per l'imprevedibile senso che assumono".
Sicuramente uno degli aspetti più affascinanti dei tuoi quadri è la resa del colore. Come ottieni queste differenti textures?
"In mostra ho portato appositamente dei fogli preparatori, delle prove colore, che mostrano il lento processo di ottenimento delle tonalità che ricerco. Per quanto riguarda gli "ingredienti" che utilizzo…beh, quello è un segreto! Tendenzialmente la mia è una tecnica mista: uso colori acrilici mescolati ad altri elementi, ma ho delle ricette speciali per ottenere ad esempio le velature brune e tenerle sempre separate dal colore di fondo. E altrettanta ricerca c'è dietro la resa del nero, che ottengo combinando tre diversi tipi di nero per rendere quell'effetto particolarmente lucido. Credo che le superfici che ottengo ricordano in qualche modo i quadri surrealisti, alla Ernst, che creano attraverso il colore atmosfere di tono arcaico, onirico…."
A proposito di nero: a differenza del bianco, che si è ridimensionato, questo colore continua a dominare… "Sì, in questi lavori mi sono voluto concentrare sulla resa di paesaggi in controluce. Quindi spesso campeggiano sulla tela grosse sagome nere che rimandano al soggetto di partenza e che dovrebbero in qualche modo orientare lo spettatore nella comprensione dell'opera. Il bianco invece è assolutamente limitato in poche zone, ma è valorizzato nella sua funzione perché costituisce i punti di luce che orchestrano l'intero studio dei colori. Attraverso il controluce riesco a fornire allo spettatore dei riferimenti precisi del paesaggio che sto creando, ma al contempo, attraverso la tecnica informale, gli viene concesso ampio gioco di immaginazione perché ognuno nelle forme e nei colori che si creano sulla tele riconosce ciò che è più vicino alla sua sensibilità".
E ora quale credi sia la tua ultima tappa, il punto di partenza per il futuro?
"Le ultime opere a cui sto lavorando sono i cosiddetti "paesaggi avvolti" che presento in questa mostra a Castiglione Olona. Qui ho portato qualche pezzo, ma ne ho molti a casa, perché appunto sto sperimentando in questa direzione. Uso stoffa, tela, juta, tappezzeria per "impacchettare" la tela e creare così una dimensione avvolgente, su cui intervengo con il colore. Questo conferisci ai miei paesaggi informali una dimensione intima, come se ognuno di essi fosse la visione personale, chiusa in se stessa, del proprio mondo".