Esistono due modi per ricordare un artista: uno pubblico attraverso le sue opere, i suoi scritti e quanto detto e scritto attorno al suo lavoro, l'altro privato concesso a chi lo ha conosciuto e frequentato. Io scelgo il secondo, il primo compete ad altri. La conoscenza e la frequentazione di un artista come Lucio Fontana hanno in loro la magia di fermare il tempo. Nella memoria di quaranta anni le emozioni, le sensazioni non sono sfocate. Gli incontri, i dialoghi, i racconti e le lunghe dissertazioni sull'arte nei tardi pomeriggi estivi sui dondoli nel giardino di Comabbio, a volte con Melotti e Fabbri, restano come tessere di un mitico eterno presente.
Con lo sguardo melancolico e ironico nello stesso tempo, proprio di chi ha vissuto senza riserve, raccontava degli anni del primo dopoguerra. Anni in cui a Milano lui ed altri amici artisti, tra cui Manzoni, Baj, Crippa, Milani, immaginavano l'arte contemporanea anticipando molto di quanto sarebbe avvenuto in seguito. A volte contrariato perché questo non veniva riconosciuto. Solo negli ultimi anni, dopo più di trent'anni dalla sua morte Fontana verrà collocato al suo giusto posto nello svolgersi della storia dell'arte.
Punto di riferimento per gran parte della vita artistica milanese non solo per la sua generazione ma soprattutto per le generazioni a seguire. Con grande generosità ha sempre aiutato i giovani artisti che si rivolgevano a lui ottenendo attenzione.
Credo che Fontana vada annoverato fra i grandi scultori del '900. Portando all'estrema conseguenza la scultura partendo dall'ultimo Medardo Rosso. Procedendo da un filone tradizionale della scultura assillata dal dubbio di essere d'accordo con qualche capolavoro del passato arriva al sacrificio della sapienza delle sue mani esperte nella ricerca esasperata dell'invisibile. In un ritorno al caos, al nulla, attraverso il gesto barbarico del bucare, del tagliare per dare forma al respiro della luce. Quasi un saggio di pura scultura intesa come saggio di anatomia viva.
Come in una identificazione col soggetto non sapendo di che è fatto. Limite estremo di smarrimento e di purezza. Fontana quando parlava dei suoi concetti spaziali dichiarava di non voler fare della pittura o della scultura moderna, essendosi liberato da questa forma di isterismo artistico contemporaneo, logica conseguenza di un'arte che non trova più la sua evoluzione. Penso che Fontana sia un tipico esempio di grande intelligenza intuitiva non comprensibile agli strumenti della logica e del linguaggio. Strumenti come manifesti (Manifesto Blanco) e testi teorici o critici divengono mistificazioni di comodo per qualcosa che va oltre.
Un'intelligenza disponibile a mandare in rovina le ragioni del suo essere per poter essere, in una sorta di monasticità ove sono il nulla e l'asimmetria a dominare. Poi con quel pudore tipico dei grandi gli era facile scherzare sul suo lavoro. Autore delle più salaci battute attorno alle sue opere. Era un metodo di selezione degli interlocutori. Nell'ultima estate parlava dell'urgenza di un nuovo manifesto per delineare le due possibilità dell'arte contemporanea di cui una in predominanza del pensiero-concetto e l'altra per un ritorno alla pittura e alla scultura. Quasi un desiderio di rimettere ordine con un ritorno alle regole. Per poi rivistarle nuovamente nell'avventura della forma.
Esistono artisti che, pur nella loro unicità, trasformano il loro punto d'arrivo in punto di partenza per gli altri. Come processionanti del divenire dell'arte. Sono i Maestri. Fontana è uno dei miei Maestri. In fondo è un Eterno Presente.