Varese – Gino Paoli ha ricevuto un riconoscimento prestigioso nella Sala Napoleonica delle Ville Ponti. I responsabili del Premio Chiara, Festival del Racconto hanno voluto celebrare il suo talento attribuendogli il premio “Le Parole della Musica” “per la sua prolifica attività come cantautore e poeta in musica, dalla quale sono scaturite canzoni simbolo della musica italiana. Testi e melodie senza tempo, capaci di rimanere impressi nel cuore di più generazioni”.
In primo piano non le note, il canto, i successi di Gino Paoli, ma le sue parole. Per esaltare il fondamentale e meraviglioso legame tra parole e musica. Tra la necessità di dire qualcosa e la sua espressione.
Un incontro che ha permesso di scoprire l’uomo e le emozioni che sono dietro decenni di successi e alla base di una vita piena di gioie e di amore. Perché – come Paoli stesso ha sottolineato – «sono una persona che non ha desideri. Ho avuto praticamente tutto ciò che desideravo. Sono sazio».
Muovendosi sul filo delle domande di Enrico De Angelis – dirigente del Club Tenco – e con la conduzione di Vittorio Colombo – direttore dell’edizione di Lecco de la Provincia – Gino Paoli ha affascinato il pubblico con le sue parole e la sua schiettezza, con la capacità di accendere un sorriso e di coinvolgere nel suo percorso, sottolineando che «le parole più importanti della mia vita sono: possibile, probabile e provvisorio. Perché la vita non è mai qualcosa di definitivo, è un continuo divenire che ci trasforma. Io mi sto trasformando, sto mutando, anche in questo momento!».
A corollario di tante belle parole, delle immagini storiche hanno mostrato Paoli che canta i suoi maggiori successi e anche Ornella Vanoni, Mina e Zucchero che, solo trentenne, fu uno dei tanti giovani artisti da lui sostenuti.
Gino Paoli ha guidato il pubblico nei suoi ricordi ricostruendo la propria formazione musicale e accostando tutti quegli stimoli e conoscenze che sono sottesi a ogni sua canzone.
«Mio padre era un fanatico della musica operistica e sopra di noi abitava un podestà che aveva due figlie: una suonava il pianoforte, l’altra cantava. Il sabato scendevano da noi e mio padre duettava con la cantante al suono del pianoforte. Poi il lunedì c’era l’opera alla radio e tutti dovevamo stare zitti, mentre lui ascoltava. Si sedeva in poltrona e regolarmente, dopo dieci minuti s’addormentava. Mia madre diceva “Aldo, andiamo a dormire!” e lui “No, io ascolto”».
«Il risultato è che io conosco tutta la musica operistica, la melodia, Puccini. Poi ho incontrato i classici napoletani di autori come E.A.Mario. Il terzo elemento è stata la musica americana che mi è arrivata con i carri armati». Paoli è convinto che la musica cantautorale tragga ispirazione proprio da questo intreccio di conoscenze.
Il musicista continua poi a raccontare, portandoci in un altro tempo della storia quando, al finire la Seconda Guerra Mondiale, scopriva la Musica Americana attraverso i V-Disc.
I V-Disc, o Victory Disc, erano dei 78 giri che contenevano brani incisi gratuitamente per i soldati americani da grandi musicisti come Louis Armstrong, Nat King Cole e Billy Holiday.
«Abitavo nell’ultima cava di Pegli, un quartiere di Genova. – racconta Paoli – Subito dietro casa mia c’era una postazione di cannoni anti-sbarco, a lunga gittata, con i tedeschi e i prigionieri russi. Quando c’è stata la liberazione gli americani hanno deciso di fermarsi nello stesso punto. Nei loro carri armati c’era di tutto, compreso un piccolo giradischi per ascoltare i V-Disc. Avevano persino gli stuzzicadenti e la carta igienica!».
«L’unica cosa che gli mancava era la roba fresca. La mia famiglia aveva l’orto di guerra: nel giardino, invece dei fiori, c’erano polli, galline, verdura e frutta. Coltivavamo anche i pomodori e quando gli americani li vedevano dicevano: “I want, I want”. Allora io facevo scambio: un pomodoro in cambio di un V-disc.
Così ho cominciato a conoscere la musica americana».
«Questa è la mia estrazione musicale: da una parte la musica operistica, la melodia, Puccini. Dall’altra la musica americana. Amo anche le note degli chansonnier francesi, che tanto hanno significato nel mio percorso. Tanti elementi che sono il fondamento della mia musica, ciò da cui traggo ispirazione».
Paoli, come sottolinea De Angelis, è stato anche capace di portare il Jazz nella grande melodia italiana e continua a fare dischi e tournée con grandi jazzisti.
«Sono convinto che chi ama ancora musica, la musica-musica, siano proprio i jazzisti. Loro amano suonare. – afferma – La Musica è la mia vita e il mio mestiere, canto le cose che amo. Infatti sto facendo uno spettacolo con Danilo (Danilo Rea, pianista jazz) e canto un po’ di tutto: da Libero Bovio (autore di testi in lingua napoletana del primo Novecento) a un’aria dall’“Elisir d’amore” di Donizetti».
Protagonista è sempre la Musica. «La musica è difficile da spiegare. Credo abbia una magia particolare. E’ l’arte più astratta in assoluto, che nasce da un’altra cosa astratta: il suono. La musica è qualcosa che ti coinvolge, ti fa compagnia, ti rilassa. Rinunciare alla musica e, soprattutto, a farla è da pazzi. Ho sempre voluto che i miei quattro figli facessero bene tre cose: che conoscessero una lingua, che praticassero uno sport – io ho fatto nuoto agonistico, box e ho ballato tanto rock’n’roll – e che sapessero suonare uno strumento. Se conosci la musica hai una chance più degli altri. La musica dà veramente tanto».
Gino Paoli ha fatto anche parte di un gruppo di artisti originari di Genova e dintorni, composto da Umberto Bindi, Fabrizio De André, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi e Luigi Tenco. Non ama la definizione “scuola genovese”, ma ricorda i loro diversi percorsi: «io dipingevo, Bruno (Lauzi) frequentava Giurisprudenza a Milano, mentre Luigi (Tenco) si era iscritto a Fisica e suonava in un gruppo di cui faceva parte anche Fabrizio (De André), che era vice-preside nella scuola privata di proprietà del padre. Loro erano i tre depressi. Poi c’era anche Paolo (Villaggio) che era impiegato dell’Ilva. Si trovavano sempre davanti a bar Olimpia con il muso lungo…».
«Fabrizio scriveva le sue canzoni, ma aveva il timor panico di suonare davanti al pubblico. Una volta Sergio Bernardini della Bussola di Viareggio gli diede un assegno in bianco perché si esibisse. Lui non voleva, ma la moglie gli disse che doveva farlo perché ne avevano assolutamente bisogno. Allora lui, al momento dell’esibizione, prese un leggio, ci appoggiò sopra un enorme spartito musicale e si accucciò dietro, tutto nascosto, per suonare le sue canzoni!».
Nel corso della sua carriera Gino Paoli ha lavorato con grandi maestri come Ennio Morricone, si è spesso scontrato con la censura, si è costruito la fama di personaggio scomodo, anticonformista e anche un po’ scorbutico e, secondo il suo racconto, ha sempre fatto attenzione alla tecnica.
Ricorda sorridendo gli espedienti che inventava con i colleghi per realizzare i suoni.
«Allora si registrava su un nastro a due piste. Calcolate che ogni strumento ha una pista a sua disposizione, indipendente dalle altre, e che oggi si è arrivati a più di 26 piste! Per aggiungere degli effetti noi utilizzavamo dei dischi appositi e una volta, mentre stavo registrando con Tenco e avevo bisogno di un effetto-eco, mi sono infilato in testa un bidone di ferro! ».
E’ poi importante parlare dell’amore per la letteratura di Gino Paoli in occasione di questo riconoscimento nell’ambito del prestigioso Premio Chiara. «Quello che accomunava tutti noi artisti di Genova era la voglia di leggere, di scoprire. Io ho sempre letto tantissimo, – ricorda l’artista – la mia era quasi una mania. Mio padre voleva che andassimo a letto alle 9, allora mi ero fatto una lampadina che nascondevo sotto le coperte e leggevo tutto quello che trovavo. Non mi sono fermato neppure davanti ai romanzi rosa di mia madre scritti da Delly – che era lo pseudonimo di due fratelli francesi! Poi la mia professoressa di filosofia ha iniziato a consigliarmi dei grandi autori».
«Ho sempre letto veramente tanto, ma quando entro in una libreria mi arrabbio perché, vedendo quelle montagne di libri, mi rendo conto che ho letto pochissimo rispetto a quello che ci sarebbe da leggere!».
E, mentre legge, Gino Paoli prosegue il suo percorso artistico in continua mutazione.
Suona jazz in giro per l’Italia e sta realizzando un disco che spiega in note la sua idea della vita: «E’ un disco che non è un disco, con canzoni che non sono canzoni. Si chiama “Canzoni interrotte” ed è un po’ difficile descriverlo… Credo che l’artista, per poter dire qualcosa debba essere un trasgressore. Se guardiamo alla storia della pittura, gli impressionisti furono dei trasgressori, vollero stabilire nuove regole rispetto alla pittura classica. Ma poi è venuto un momento in cui anche loro vennero trasgrediti».
«In un mondo in cui non ci sono più limiti da superare un artista deve riuscire a trasgredire se stesso, liberandosi da ogni regola e ripartendo da zero. Deve esprimere in musica quello che vuole dire e, raggiunto l’obiettivo, fermarsi. Fermarsi nel momento della perfezione. Nasce così l’idea di “canzone interrotta”».
In questa piovosa primavera del 2018, come già in ogni precedente edizione di “Le parole della musica”, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere aspetti diversi e affascinanti di un artista di successo. Paoli ha concluso l’incontro dicendo: «La mia fortuna straordinaria è stata quella di incontrare tante persone che mi hanno dato qualcosa e che hanno avuto un peso nella mia vita. C’è gente che pensa a Dio solo per chiedere aiuto quando ci sono delle difficoltà. Se io dovessi credere in Dio, vorrei dirgli grazie per come ho vissuto».
Chiara Ambrosioni