La fucina – "Geniale e di straordinaria umanità". Giorgio Lotti risponde d'un fiato quando gli chiediamo di confidarci un ricordo del suo rapporto di lavoro e di vita con Enzo Biagi, padre nobile del giornalismo scomparso pochi giorni fa. Il fotografo e il cronista si conobbero a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nell'epoca d'oro del fotogiornalismo italiano. Biagi era stato chiamato nel 1952 da Arnoldo Mondadori a dirigere "Epoca", la risposta italiana a riviste già leggendarie come "Paris Match" o "Life". Lotti entrò nell'altrettanto leggendaria scuderia di giornalisti ma soprattutto fotografi, pochi anni dopo.
Le attenzioni – "Ho avuto 37 direttori nella mia esperienza professionale – ricorda Lotti – da Benedetti a Pannunzio, da Cappelli a Nini Origlia, fino a Carlo Rosella nelle ultime stagioni di "Panorama". Ma quelli che ricordo di più sono due: Nando Sampietro ed Enzo Biagi. Le due persone più incredibili. Di una umanità oggi introvabile, totalmente rispettosi del lavoro degli altri, generosi, sempre attenti, comunicativi, disponibili verso il nostro lavoro".
L'epoca d'oro – Erano gli anni delle inchieste giornalistiche, in cui la fotografia andava assumendo un rilievo sempre maggiore. Non la fotografia dei paparazzi che pure infestava la nostra stampa a larga diffusione. Ma la fotografia che certificava il fatto o lo amplificava di senso, traslitterandone l'eco attraverso l'immagine, secondo la regola aurea del vero giornalistmo di inchiesta. Lotti incarnava e avrebbe incarnato per molti anni ancora, insieme ad altri grandi, quella capacità di dire con rispettosa distanza.
Il rapporto di fiducia – "Aveva saggezza, stile, esperienza – continua Lotti – incarnava la grande tradizionale giornalistica. Non c'era servizio ai tempi che non prevedesse il giornalista e al suo fianco un fotografo, un lavoro di equipe, per capire meglio, per cogliere tutti i dettagli e restituire la complessità dell'evento o del personaggio. Cose che adesso mancano al giornalismo". Il fotografo ricorda ancora le telefonate di Biagi costantemente attento al lavoro dei suoi inviati: "Ci chiamava e ci chiedeva di che importanza fosse la notizia, di quanto spazio avremmo avuto bisogno. Ma soprattutto, una volta rientrati, ci chiedeva, con totale fiducia, di disporre la sequenza delle immagini. Solo noi testimoni oculari, insisteva, potevamo sapere il famoso 'chi, che cosa, dove, quando e perchè', la regola prima anche del fotogiornalismo".
Tutta un'altra…epoca -Terminata l'esperienza ad "Epoca", Enzo Biagi, i cui reportage antigovernativi non erano passati inosservati, passò alla Rai, dove le sue inchieste non trovarono, ugualmente, difese tali da proteggerlo. Lotti proseguì a lavorare per la testata, fino alla sua chiusura. "Ci siamo incontrati altre volte, spesso in occasione di servizi fotografici per i suoi libri", ricorda ancora il fotografo. "Sempre gentile, sempre con quella cultura e quella preparazione incredibile, che mai ti faceva pesare. Un grande direttore come forse non ce ne sono più. Adesso i direttori non fanno la gavetta, sono dei manager. E nelle redazioni è entrato il marketing". E' tutta un'altra epoca, in tutti i sensi.