Alla fine erano entusiasti tutti. L'autore, Christian Cremona, giovane di Lonate Ceppino, neo laureato, studi al liceo Artistico Frattini di Varese, triennio appena concluso in Scienze dei Beni Culturali alla Cattolica. Il relatore, Francesco Tedeschi, l'illustre Luciano Caramel intervenuto in sede di discussione, Elena Di Raddo, critica e storica dell'arte, tutti vecchie conoscenze dell'oggetto della radiografia letteraria, e naturalmente lui, Giorgio Vicentini.
La tesi è stata discussa pochi giorni fa: si intitola "L'opera pittorica di Giorgio Vicentini negli anni Ottanta e Novanta", ma dentro a quella rilegatura c'è molto di più, cronologicamente, criticamente, emotivamente.
Christian, come è venuta l'idea di concludere il corso triennale dedicandoti a Giorgio Vicentini?
"La mia intenzione era quella di concentrarmi su un artista vivente, del mio territorio perché avessi la possibilità di conoscerlo personalmente, entrare in relazione con lui. Non mi sarebbe bastato fare un lavoro basandomi sui testi critici, per quanto necessari; né sulle opinioni di terzi, per quanto arricchenti. Credo che fondamentale sia il pensiero dell'artista stesso, il racconto che l'artista fa di sé. Tra i nomi indicati dal mio docente c'era anche Vicentini e ho scelto lui".
Perché lui?
"Perché mi ha colpito fin dal primo incontro. Mi ha mostrato i suoi ultimi lavori, i cicli 'Colore nudo' e 'Colore crudo'. Mi hanno impressionato. E non ho avuto dubbi".
E come è stato l'incontro con l'artista?
"Un'esperienza fantastica, bellissima. Ero intimorito, senza una precisa idea sul come cominciare. Ma lui mi ha subito aperto la propria disponibilità in termini di attenzione e di entusiasmo".
Quanto è contato il lato umano nel tuo rapporto con Giorgio?
"Tanto. A questo aspetto ho dedicato un capitolo della tesi intitolandolo 'Un po' di me', mutuando quel Un po' di un po' chelo stesso Vicentini diede anni fa ad una mostra. In questo capitolo ho elencato tre note di stupore: tre precisi momenti che hanno segnato umanamente la nostra collaborazione".
Vale a dire?
"La prima è quando lo stesso Vicentini ha definito 'senza cristallo' il nostro primo incontro. Quando davanti al mio imbarazzo, lui mi ha subito trattato da amico. La seconda si riferisce alla mia sopresa quando ha voluto che lo accompagnassi a Milano dove doveva consegnare ad un collezionista un suo lavoro".
E la terza?
"La più bella e sorprendente. Mi ha chiesto di partecipare con qualcosa di mio, all'installazione realizzata presso la Cattolica di Milano nel gennaio scorso. Io gli ho dato il mio zaino, che è un'icona della mia vita, fin dalle medie, i miei libri d'arte contemporanea, i miei appunti, i miei disegni. Lo considero un grande onore".
Il titolo del tuo lavoro focalizza un preciso periodo dell'arte di Vicentini.
"E' il titolo scelto dal mio relatore. Gli anni Ottanta e Novanta costituiscono il momento in cui Vicentini mette a fuoco la sua poetica e si afferma come artista. In realtà io ho voluto partire dai suoi esordi, dai primi lavori in masonite, fino ad arrivare agli ultimi cicli realizzati sul finire del 2007".
Scelta apprezzata?
"Direi di si. Apprezzata non solo dal punto di vista critico e scientifico e per gli apparati che ho riunito, ma anche per la piacevolezza della scrittura. Sono convinto che l'arte debba piacere anche dal punto di vista divulgativo. Che il lettore vada accompagnato. Nel mio lavoro ci ho messo molto di mio, anche dal punto di vista sentimentale, lirico; che un aspetto che sento nel mio carattere così come nel modo di approcciarsi di Vicentini".
Esprimi il tuo punto di vista critico sull'artista.
"Trovo che giochi su tantissimi piani. E' tecnicamente bravo. Ed è duale. Da una parte è in grado di compiere una rigorosa analisi sul colore, sulla bellezza del solo colore. Dall'altro comunica con immediatezza cose quotidiane. Pochi artisti riescono ad unire queste caratteristiche, della serietà, del rigore e insieme l'entusiasmo quotidiano, la capacità di stupirsi, di provare meraviglia per quello che lo circonda e anche di lavorare su diversi materiali non necessariamente codificati dalla tradizione. In questo credo che senta tantissimo l'influsso di un artista che è sempre ben presente al suo lavoro, Serge Poliakoff".
Cos'è l'arte per Giorgio Vicentini?
"Anni fa, definì la pittura un 'Errore grave', che era anche il titolo di una sua mostra. Ma credo che per lui sia una cosa assolutamente seria, importante. In cui credere fortemente".
E per te cos'è l'arte?
"E' qualcosa che deve comunicare. Non deve essere legata logiche di mercato, non deve svendersi. Chi dipinge o crea dovrebbe chiedersi perchè compie quel gesto, dovrebbe assumersi delle resposabilità. Deve essere una necessità porsi questa domanda".