L'avevo detto – Come al solito la sua è stata una scelta giusta, lungimirante. Mark Rothko entrò nella collezione Panza di Biumo nel 1958. Con un'opera che il conte amante dell'arte contemporanea statunitense acquistò per 6000 dollari. Non proprio poco, neanche a quel tempo. L'artista, a quell'ora, non era esattamente un minore. Nello stesso anno, per dire, una sua sala personale sarebbe stata allestita alla Biennale di Venezia; uno straordinario ambiente di 10 tele, in parte ricomposto in questi giorni nella splendida monografica che Roma dedica all'artista nel rinnovato Palazzo delle Esposizioni.
Cifre record – Non una bassa cifra, si diceva. Ma niente a che vedere con le recenti quotazioni che fanno di Mark Rothko l'artista più costoso dell'arte contemporanea. Il suo White Center, acquistato da Rockfeller negli anni Cinquanta, anch'esso per poche migliaia di dollari, è stato battuto da Sotheby's nello scorso maggio per la cifra record di 53 milioni di euro. Più del doppio di quanto non sia costato l'intero restauro della sede espositiva romana. "Avevo visto bene", ribadisce il conte Panza. Difficile dargli torto.
Bowery – "Ci siamo conosciuti nel 1960 – ricorda Panza – ero già un suo collezionista e naturalmente fu molto gentile con me. Ci invitò nel suo studio di allora, situato nella Bowery, a New York, un ex banca dei pegni e mi mostrò fin dalla prima volta una vastissima quantità di opere. Una cosa sorprendente, perchè di solito era restio a mostrare tante opere in una volta sola". Rothko non vendeva tantissimo. Non voleva vendere tantissimo. Ma vendeva bene. I pochi quadri gli bastavano, ricorda il conte, a vivere dignitosamente.
La collezione straordinaria – "Come giusto si preoccupava molto di sapere dove sarebbero andati a finire i suoi lavori". I Rothko di Panza, sette in totale – che insieme ai Rosenquist, ai Kline, ai Rauschenberg, ai Tàpies, ai Lichtenstein, ai Fautrier, agli Oldenburg sono andati andati poi a creare quella straordinaria sezione adesso conservata al Moca di Los Angeles – inizialmente erano destinati per il colle di Biumo. "Non è mai venuto a Varese, a visitare la mia villa – è il rammarico del collezionista – ma sapeva che era un posto giusto per le sue opere".
La puntualizzazione del conte – In compenso i coniugi Panza hanno a più riprese frequentato l'artista nei loro viaggi oltreoceano. "Ci si incontrata di frequente, normalmente ci invitava al ristorante cinese". E' l'ultimo decennio della vita dell'artista di origine russa. Il decennio della consacrazione: la mostra al Moma di New York, nel 1962, la collaborazione con Philip Johnson, artefice dello skyline di New York, il rapporto con la Marlborough Gallery. Dalla cima del mondo Rothko impiega poco a scendere vertiginosamente. "Non fu un artista depresso, come si dice – puntualizza Panza – tanto è vero che uno dei suoi capolavori, la Rothko Chapel del 1967, a Houston, in cui utilizza i neri e i marroni, ma anche, i rossi, i viola, i blu di grande intensità sono l'ennesima prova del suo spirito contemplativo. La ragione piuttosto è un ictus che l'ha colpito nel 1969. Un problema che lo ha fortemente condizionato e forse spinto alla decisione estrema".
Il magnetismo espressivo – Vedere i Rothko di Panza a Varese è difficile. Un tentativo, racconta il collezionista, di trovare un accordo tra il Fai e il Moca è non è andato a buon fine per gli eccessivi costi sul tappeto. Soluzioni più vicine, oltre a questa temporanea di Roma, sono a Basilea, alla Fondazione Beyeler o alla Tate Modern di Londra. Forse il posto giusto per capire il segreto di quella pittura straordinaria: "L'apparizione di una forza estrema del colore – ricorda Panza le sue prime impressioni di fronte ai lavori di Rothko – la capacità di creare un ambiente con la sola pittura, la sua percepibile vitalità, il magnetismo espressivo, la scoperta della dimensione dell'ignoto".