Tale progetto era perseguito anche attraverso il lusso delle loro dimore, specie quella di Giovanni (l'attuale Palazzo Arcivescovile), che stupì anche Francesco Petrarca, reduce dalla Corte papale di Avignone, quando nel 1353 lo visitò, e vi riconobbe il fasto di una "reggia": "Vi è una gran sala, scrisse, con i muri e le travi coperti d'oro, meravigliosa nel suo grande splendore".
"Il palazzo di Giovanni – spiega Serena Romano – era un'immensa residenza dell'arcivescovo e degli uffici della curia, che Giovanni realizzò nel corso di circa dieci anni, fra il 1335 e 1345. La parte del palazzo dove si trova il salone è probabilmente quella finita entro il 1338; il ciclo dipinto appartenne agli anni in cui Giovanni, diventato signore della città dopo la morte di Azzone nel 1339, e arcivescovo a pieno titolo nel 1342, lanciava il suo programma di propaganda per immagini nella città ormai totalmente sotto controllo".
Un ciclo "profano" dunque dall'alto valore simbolico e dal chiaro messaggio politico. Una storia in cui Giovanni desiderava per certi versi "identificarsi", con i due fratelli che lottano contro gli usurpatori fino a fondare un nuovo regno destinato a dominare il mondo nei secoli, vista quale metafora delle vicende dei Visconti, cacciati, scomunicati, ma infine ritornati come signori di una "nuova" Milano.
Di quella ricchezza si credeva che tutto fosse andato perduto nelle molte trasformazioni subite dal palazzo, specie in epoca borromaica; invece all'inizio del XX secolo apparvero alcuni lacerti di affreschi trecenteschi. Pochi altri comparvero nel secondo dopoguerra, ma quasi indistinguibili, e solo di recente ne sono apparsi i nuovi, vasti brani.
Accertato il tema del ciclo pittorico, e individuati i tempi della sua realizzazione (entro il quarto decennio del XIV secolo), resta ancora da definire chi ne fu l'autore. Il primo a occuparsene, Pietro Toesca, parlò di un seguace di Giotto, "interamente educato all'arte fiorentina".
Ma la Wittgens, e più recentemente la Castelfranchi Vegas, hanno pensato a un modello riconducibile a Lorenzetti e ai suoi lavori nella basilica di Assisi. Così come innegabili sono alcune consonanze stilistiche tra questi frammenti e i coevi dipinti prodotti alla corte avignonese.
Secondo Serena Romano "il gruppo di pittori attivo per Giovanni Visconti mostra alcuni significativi punti di contatto con le opere storiograficmanete riferite a Stefano fra Assisi, Pisa e Chiaravalle, ma anche forti nessi con la cultura di corte avignonese, come indicano gli scorci e le prospettive, nonchè le sue preziosità materiche e soprattutto una già raggiunta autonomia, specie per le scelte formali vigorosamente plastiche e per il naturalismo stupefacente delle scene ancora in situ".
Nomi certi, è evidente, non se ne possono fare, in mancanza di ulteriore documentazione. Ma alla luce delle nuove indagini, considerando il gusto per lo scorcio e il dinamismo narrativo delle scene, le scelte formali vigorosamente plastiche e i preziosismi materici, "si può pensare a maestranze locali di alto livello – conclude Serena Romano- capaci di innestare il celebre, e a questo punto precocissimo, naturalismo lombardo nell'alveo della grande pittura di matrice giottesca".
La visione che ebbe dunque Petrarca della "grande sala dipinta di Giovanni Visconti" è un'esperienza non più replicabile, per noi oggi. Ma possiamo almeno immaginarne lo splendore, partendo da pochi, mirabili frammenti e aiutati dalla moderna tecnologia.